Messa da Requiem


La vita di Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theofilus Mozart (NDR: Il nome di “Amadeus” che spesso viene usato è la traduzione latina del nome greco Theofilus ossia, letteralmente, “amante di Dio”) fu, eufemisticamente, molto più breve del lungo nome che portava. Durò un soffio di vento, un soffio molto intenso, violento, ricco di emozioni, ma pur sempre un soffio. E l’ultimo periodo che gli fu dato ancora di vivere, fu oscuro e triste per lui, uno dei più grandi compositori di tutti i tempi, ideatore di uno stile distinto, tradizionale ed al tempo stesso contemporaneo.
Nei primissimi giorni di ottobre del 1791, la moglie Costanza Weber, pregevole cantante lirica, si recò, come spesso accadeva, in compagnia della sorella Sofia, a Zell im Wiesental, loro città natale, nella provincia tedesca del Baden-Württemberg. Mozart si trovò da solo, nella sua abitazione viennese, occupato a comporre, poiché doveva ancora finire il “Tito”, ininterrottamente dalle sei della mattina fino a tarda sera. Per poi correre in teatro ed assistere alla rappresentazione del “Flauto Magico”, da pochissimo terminato. La sala, gremita come sempre. Diceva: “Quello che più mi rallegra, è l’approvazione silenziosa! Ci si accorge benissimo come quest’opera piace sempre di più”.
Fu in un pomeriggio di quelle intense giornate, che si presentò a lui uno strano personaggio, col fine di chiedergli se fosse disposto a scrivere, a fronte di un onorario di cinquanta ducati, le musiche per una Messa da Requiem. La mattina seguente, l’uomo si rifece vivo, con il denaro promesso, alla condizione che il maestro non cercasse mai di scoprire il nome del committente. Cosa che Wolfgang promise immediatamente. Solo in tempi relativamente recenti si è saputo che si trattava del Conte Walsegg, il quale desiderava far passare per suo il requiem, che sarebbe stato eseguito in occasione della ricorrenza della morte della giovane consorte. Mozart, che ne rimase fino alla fine all’oscuro, nella sua febbrile ansia, era convinto di trovarsi di fronte ad un messaggero dell’al di là, che gli avesse ordinato di scrivere la propria, di sinfonia funebre. Iniziò, quindi, quel lavoro agitato ed angosciato, progredendo lentamente, nota dopo nota.
Per di più, le sue speranze di essere nuovamente preso in considerazione dalla corte e di ottenere, magari, un posto di “maestro di cappella”, erano fallite ancora una volta. Uno dei suoi biografi ufficiali, Franz Xaver Niemetschek, attribuiva la causa di quegli insuccessi alle dicerie, che circolavano sul suo conto a Vienna. Scrisse: “I suoi nemici e diffamatori divennero, verso la fine della sua vita ed anche dopo la sua morte, più maligni e sfacciati, al punto che molte leggende denigratorie, arrivarono fino alle orecchie del monarca. Quelle dicerie e quelle menzogne, erano così spudorate e così infami, che il monarca stesso, senza che nessuno lo avvisasse del contrario, si indignò sommamente”.
Una delle conseguenze di quelle infamie fu che nei posteri nacque la convinzione, mai abbandonata, che Mozart fosse morto, per avvelenamento, dopo aver lungamente ingerito l’allora famosa “acqua toffana”, un preparato al mercurio, con il quale, a quei tempi, furono eliminate un’infinità di persone. Una volta, durante una gita al “Prater” (uno dei parchi più famosi al mondo), disse a Costanza: “Me la sento troppo, con me non durerà più a lungo. Certamente mi hanno dato del veleno, non posso liberarmi da questo pensiero”. E nell’estate del 1829, suo figlio Wolfgang Franz raccontò ai coniugi editori inglesi Novello come, circa sei mesi prima della morte, a suo padre fosse venuto il terribile pensiero che “qualcuno lo volesse levare di mezzo, avvelenandolo”. E che lo stesso, un giorno, si recò da sua madre, lamentando dei lancinanti dolori ai reni ed una terribile fiacchezza. Era sicuro che qualcuno dei suoi invidiosi nemici gli avesse dato una mistura velenosa. L’incarico per il Requiem, non fece che rinforzare ancora di più quei tristi pensieri.
Il 18 novembre 1791, il grande musicista apparve per l’ultima volta in pubblico. Fu in occasione della consacrazione del nuovo “tempio” della loggia “Zur neigekrönten Hoffnung”, dove diresse personalmente la “Piccola cantata massonica (K. 623)”, da lui appositamente composta per quell’evento. Due giorni dopo, ebbe un collasso. Fu costretto a mettersi a letto, e non si alzò più. Peggiorava di ora in ora. Gonfiore alle mani ed ai piedi, crampi, vomiti improvvisi ed assoluto abbandono delle forze. La diagnosi fu quella di una “febbre miliare” (malattia infettiva che provocava febbre acuta e prolungata, associata a eruzioni cutanee simili alla granella del cereale miglio, da cui miliare).
Continuò, nonostante tutto, a lavorare, senza interruzione, al Requiem. Insieme agli orchestrali, che venivano a trovarlo, ripassava le parti già finite. All’ottava battuta del “Lacrimosa”, alle parole “homo reus”, il lavoro si interruppe.
Il 28 novembre, il dottor Nikolaus Closset ed il primario Matthias von Sallaba tennero un consulto, ma non poterono fare nulla per aiutarlo. Lunedì 5 dicembre 1791, due minuti prima delle tredici, Mozart spirò. Secondo il parere dei medici moderni, si trattò di un’insufficienza renale, provocata da una qualche patologia congenita, che causò un’intossicazione uricemica, con conseguente coma.
Il 6 dicembre, la modesta cassa di legno di abete fu benedetta all’aperto, di fronte alla cappella del crocifisso del Duomo di Santo Stefano, e portata, con il cerimoniale più economico, pagato otto fiorini e cinquanta Kreutzer, più tre fiorini per il carro funebre, attraverso la periferia della Landstrasse, fino al cimitero di San Marco.
Fu seppellito in una fossa comune, profonda circa due metri e mezzo, dove le bare venivano poste su tre strati. I pochi amici, presenti alla benedizione del feretro, si subito si dileguarono. La vedova, rimasta a casa in preda ad una crisi isterica, si era gettata sul letto del marito, dove rimase per due giorni. Quando il povero corpo venne calato nella fossa, non erano presenti altro che i becchini, ignari ed indifferenti, del cimitero di San Marco.
A soli trentacinque anni, dunque, se ne andò uno dei più grandi e significativi compositori di tutti i tempi, creatore uno stile distinto, che fondeva tradizione e contemporaneità. Wolfgang Amadeus Mozart, concertista eccelso di clavicembalo, già a sei anni, genio musicale assoluto, illimitato e versatile, disseminò di capolavori ogni settore dell’arte del comporre, dalla musica strumentale a quella vocale, dall’orchestrale sacra a quella teatrale, capolavori che, pur non rinunciando a tratti di serenità e compostezza sempre interiori, permeò di una sensibilità ormai indiscutibilmente moderna.
Era nato il 27 gennaio 1756, a Salisburgo, ed era figlio di Leopold, anch’egli talentuoso musicista, il quale riuscì a sviluppare le geniali doti di Wolfgang, a porle su di una solida base e ad istradarle ordinatamente.