PsicologicaMente – Disforia


“Voi ridete di me perché sono diverso, io rido di voi perché siete tutti uguali” (Jonathan Davis).

Cari lettori,
l’articolo di oggi per analizzare le varie sfaccettature della Disforia.
Di certo tutti noi abbiamo sentito parlare dell’euforia, che indubbiamente indica uno status umorale assolutamente positivo, ma cosa dire della disforia, questa sconosciuta?
Ebbene, con questo termine, molto familiare invece al linguaggio specialistico, si individua un concetto che in ogni caso ha definizioni non univoche e consensuali.
Anche questa volta ci viene in soccorso l’etimologia della parola, di ovvia derivazione greca, la quale è decisamente esplicativa: se l’eu-forìa fa un indubbio riferimento al sentirsi bene, nella disforia c’é quel prefisso “dis” che rimanda ad un sentirsi male, ad un’angoscia ed una pena difficile da sopportare.
Si intuisce, quindi, che disforia ha a che fare con la percezione di un malessere, anche se questo chiarimento etimologico non ci aiuta a comprendere effettivamente come potrebbe manifestarsi questo, chiamiamolo malumore.
In effetti, tutto si complica ulteriormente se pensiamo che l’aggettivo disforico può essere abbinato ad altri termini che ne ampliano ulteriormente il contenuto.
Il disturbo disforico può essere premestruale, si parla di disforia di genere, di disforia somatica, della disforia da neurolettici, di disforia post coitale, infine di disforia isteroide.
Analizzare tutte queste varianti è impresa difficile e riduttiva in così poco tempo e spazio, quindi mi concentrerò sul lato affettivo e sulla disforia di genere.
Innanzitutto direi che possiamo inquadrare questa patologia nei disturbi dell’umore che sono un’insieme di sindromi chiamate anche “disturbi affettivi” nei quali il paziente vive una grave alterazione del tono umorale.
Nello specifico quello che stiamo analizzando è un disturbo caratterizzato da sentimenti spiacevoli, quali tristezza, inquietudine, sensazioni di frustrazione e pessimismo, tensione e irritabilità.
Come dicevo in precedenza si tende a definirla come un malumore ma, in effetti, andrebbe piuttosto connotata come una vera e propria depressione, caratterizzata da fenomeni di tensione, ansia, scontentezza e pessimismo “cronico”.
In questo quadro si inserisce una tendenza a reagire in modo spropositato ai vari stimoli esterni, cui consegue l’incapacità di autocontrollarsi e un comportamento impulsivo, che talvolta si traduce in aggressività.
Insomma, questo fenomeno si manifesta soprattutto con stati misti, caratterizzati da fasi di transizione tra mania e tristezza estrema, tipici del bipolarismo e della ciclotimia.
La disforia caratterizza anche anche lo status dei soggetti affetti da disturbi della personalità borderline e nei cosiddetti stati paranoidali.
Ma esistono anche altre condizioni che possono includere lo status disforico quale sintomo come ad esempio il disturbo da stress post-traumatico, la schizofrenia, l’epilessia del lobo temporale, l’ipoglicemia, il dolore cronico, l’acatisia, le disfunzioni sessuali e l’insonnia.
La disforia è presente anche nel quadro del disturbo disforico premestruale, che si manifesta con sbalzi dell’umore, fenomeni comportamentali nonché malessere fisico.
Ancora, tale disturbo dell’umore può scaturire dallo stress, dall’uso e abuso di farmaci o alcolici ed anche dall’astinenza da nicotina.
Come accennato, ed in ultima analisi, laddove questa condizione emotiva si collega a problemi connessi all’identità sessuale si rappresenterà una fattispecie detta, appunto, disforia di genere o di disturbo dell’identità di genere.
Ed è proprio questa condizione che ormai attira l’attenzione dei più fino a diventare un vero e proprio fenomeno mediatico.
Di recente abbiamo tanto sentito parlare di omotransfobia e disforia di genere con riferimento alle discussioni aperte in merito alle tematiche emerse a seguito del DDL Zan, ma, in effetti non si sa molto di questa patologia né possiamo vantare a livello medico una formazione adeguata e sufficiente a spiegare e curare il fenomeno.
Nell’immaginario collettivo, molteplici sono le forme che l’identità di genere assume.
Essa è concepita come uno status nel quale sono contrapposti il genere maschile e quello femminile. In verità, come è stato spiegato da alcuni esperti, l’identità di genere andrebbe immaginata come “uno spettro in cui agli estremi si collocano il maschile e il femminile e, tra questi due poli, un’infinita varietà di possibili identità ed espressioni di genere. In un sistema non binario, sono possibili contaminazioni tra i generi, oscillazioni o movimenti fluidi tra i generi o l’appartenenza a nessun genere. Su questa base concettuale, nascono le definizioni di Cisgender (una persona sente di appartenere al genere assegnato alla nascita), e transgender, che sono le persone in cui il genere cui sentono di appartenere non coincide con quello assegnato loro alla nascita”.
Talvolta, quindi, la persona disforica può percepire una incongruenza tra il genere assegnatole alla nascita e quello in cui invece si identifica.
E’ proprio questa sensazione di incertezza che va a compromettere il benessere mentale quindi comportare un disagio significativo che non consente alla persona di vivere una vita consapevole e soddisfacente: così nasce la disforia di genere.
Pensiamo ad una persona che alla nascita presenta sembianze maschili ma che, crescendo, si percepisce viceversa come una donna e che, dunque, prova disagio e sofferenza nei confronti del proprio corpo.
Riuscire a valicare questa contraddizione è davvero difficile perché investe e contrasta le leggi naturali. Solo attraverso un percorso psicologico di consapevolezza del sé e spesso attraverso interventi medici affermativi di genere che possono includere terapie ormonali e/o chirurgiche, si potrà riuscire a dare agio allo spirito.
C’è da dire che, a tal proposito, sono pochi i medici formati a questi trattamenti in Italia.
Ad oggi, nel nostro paese, di disforia si parla solo nelle cartelle cliniche e nei certificati di morte binari e non esistono dati epidemiologici.
Altresì va segnalato che dall’Organizzazione mondiale della sanità arriva invece un segnale importante che ci induce alla riflessione: la disforia di genere non sarà più considerata malattia mentale da gennaio 2022. L’Oms trasferirà la disforia di genere dall’elenco delle malattie mentali a quello più generico dei disturbi della salute sessuale. Alcuni lo considerano un passaggio importante, perché la declassificazione quale malattia mentale potrà contribuire a ridurre le forme di discriminazione verso le persone transgender e, magari, migliorare l’accesso a cure appropriate.
In effetti non esistono, ad oggi, trattamenti pensati specificamente per la disforia in generale e di genere in particolare.
Sicuramente sento di esprimere un consiglio, e cioè che, prima di trattare il disturbo con le cure psicofarmacologiche, bisognerebbe tentare di affrontare il problema supportando la persona con una psicoterapia prevalentemente ad indirizzo cognitivo comportamentale, la quale può certamente aiutare quantomeno a riconoscere precocemente gli stati disforici e ad attuare tempestivamente valide strategie volte a controllare il fenomeno.
Inutile dire che al manifestarsi di uno dei sintomi che sopra elencavo, la situazione non andrebbe sottovalutata e sarebbe auspicabile intervenire nell’immediato onde evitare di compromettere la relazione terapeutica, perché ormai tardiva, o comunque l’aderenza al trattamento che, a quel punto non avrebbe più l’efficacia desiderata.

Notazioni Bibliografiche:
– “La regolazione degli affetti e la riparazione del sé”, A. N. Schore , Astrolabio;
– “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Quinta Edizione”, M. Biondi, Raffaello Cortina;
• “Psicologia dello sviluppo emotivo”, I. Grazzani Gavazzi, Il Mulino;
• Associazione medici endocrinologi (www.ilfattoquotidiano.it)