PsicologicaMente – Il disadattamento giovanile


“Quella fase precaria dell’esistenza che è l’adolescenza, dove l’identità appena abbozzata non si gioca come nell’adulto tra ciò che si è e la paura di perdere ciò che si è, ma nel divario ben più drammatico tra il non sapere chi si è e la paura di non riuscire a essere ciò che si sogna.” (U. Galimberti)

Cari lettori,
Questa settimana ci occupiamo di un tema molto importante: parleremo del disagio giovanile, uno status che al giorno d’oggi moltissimi ragazzi, già dall’età infantile, si trovano a vivere.
In psicologia questa espressione, “disagio”, è adoperata per indicare genericamente un malessere che taluni definiscono anche “disadattamento” o, in alcuni casi, “devianza”.
Un simile status è il risultato di una condizione psicologica di inquietudine, “dis-agio” appunto, percepita a seguito di molteplici fattori quali problematiche familiari, relazionali, scolastiche, ma anche il temperamento e la genetica, il tutto a sua volta inserito in una più ampia sofferenza esistenziale e connessa al processo di formazione dell’identità personale di ciascun individuo.
Detto ciò, è facile comprendere che le relazioni contano molto e che il disadattamento giovanile ha spesso e soprattutto una matrice familiare e può essere compreso e prevenuto solo considerando sia l’emotività degli adolescenti che le paure della famiglia.
Per cogliere qual’è la leva che spinge un giovane ad assumere un comportamento disfunzionale ed una tendenza al disadattamento, credo sia necessario innanzitutto andare ad indagare il quadro emotivo degli adolescenti, nonché il sistema nel quale sono immersi, focalizzando l’attenzione sulle dinamiche interne alla famiglia.
Con riferimento a quest’ultima è certo che un gran peso avrà la capacità dei genitori di accogliere, comprendere e connettersi emotivamente col figlio, gestire nel modo migliore le sue manifestazioni affettive durante la crescita sarà certamente la condizione che consentirà uno sviluppo psico-affettivo sano che lo aiuterà a prevenire il rischio di disadattamento.
Le difficoltà di orientamento sociale ed i conseguenti disturbi del comportamento sono, infatti, collegati ad una qualità degli attaccamenti fondamentali scarsa o inadeguata.
Ciò che davvero farà la differenza sarà la reazione ed il modo di rapportarsi della famiglia nucleare rispetto alle cosiddette “spinte adolescenziali”, ovvero le richieste di autonomia, le contestazioni, la necessità di differenziarsi, gli slanci verso l’innovazione e simili.
Ciò è vero non tanto perché si debba ritenere che i ragazzi soggiacciono passivamente ai comportamenti familiari, sicché colpevole di tutto sarebbe sempre e comunque il genitore, quanto piuttosto perché esiste una relazione importante tra psicopatologie ed altri fenomeni simili con il concetto di co-costruzione di relazioni, significati e comportamenti.
Durante la fatidica fase dell’adolescenza i ragazzi si trovano, spesso in solitudine, a confrontarsi con nuove emozioni e sensazioni talvolta destabilizzanti: l’insicurezza, la confusione, la rabbia, la vergogna, la frustrazione, il senso di colpa, ecc.
Su tutte, quella che certamente prevale negli adolescenti è la paura, in particolare un timore riferito alla sfera del Sé e dell’Altro.
In questa età, infatti, ci si interroga moltissimo sull’essenza propria e di chi ci circonda.
Quante volte mi è capitato di parlare con ragazzi, anche giovanissimi, che vivono la paura di non essere nulla o di non essere “sufficienti”, di non riuscire a trovare un senso alla propria esistenza e di sentirsi fortemente condizionati dall’esterno.
Sono giovani che da un lato temono i pari e gli adulti in quanto pensano di poter essere da loro danneggiati, fisicamente, moralmente e affettivamente, ma dall’altro ne sono anche naturalmente attratti.
Si sentono inadeguati e fuggono il confronto, ed è proprio questo status che diventa uno stallo e, talvolta, incatena e scatena un pervasivo senso di impotenza. A questa impotenza i ragazzi tentano di contrapporsi ma con atteggiamenti ora di fuga e di isolamento, anche violenti e prevaricanti, e questo al solo fine di celare una fragile autostima e neutralizzare la minaccia che essi ritengono venire dall’esterno.
Ma non solo gli adolescenti provano paura, lo smarrimento coglie anche chi si prende cura di loro: la famiglia in primis ma, più in generale, è la società di oggi ad essere una società impaurita, e purtroppo è da questa stessa società che escono quegli “esperti” che poi vengono chiamati ad intervenire per offrire aiuto.
Ma quali sono queste paure che investono anche l’ambiente più intimo dei ragazzi?
Si tratta di angosce che si riferiscono soprattutto al timore di una perdita dell’equilibrio raggiunto sino al momento dello scatto adolescenziale e del caos emotivo conseguente all’insorgere dei cambiamenti e delle ribellioni.
Insomma, il potenziale cambiamento che questa fase, così delicata della vita dei figli, porta nella famiglia può essere percepito dagli adulti come una grave minaccia alla continuazione della retta vita familiare così come era stata prevista. Si ritiene, insomma, che gli adolescenti abbiano il potere di deformare e deviare la quiete e l’ordine vigente, in sostanza, non è raro, che essi vengano accusati di rovinare la vita ai familiari.
Questa immagine induce, quindi, i componenti della famiglia ad irrigidirsi, a mettersi sulla difensiva e ad attuare un allontanamento dai figli stessi, perché ritenuti un rischio ed un problema.
Si possono verificare atteggiamenti difensivi di due specie.
Si può scegliere di adottare una linea rigida, quindi forme eccessive di repressione, punizioni e rifiuto di instaurare alcun dialogo con l’adolescente.
Al contrario è possibile che il genitore opti per una linea più morbida e, pertanto, cercherà metodi più seduttivi e collusivi, ad esempio farà regali al figlio, cercherà di dissuaderlo dall’allontanarsi da casa ed impedirà la sua autonomia.
Questi atteggiamenti sono entrambi finalizzati a rendere innocua l’eventuale destabilizzazione conseguente al “terremoto” adolescenziale.
Un ulteriore punto dolente è il rischio che nei genitori, ma anche nei fratelli maggiori o zii che vivono quotidianamente l’ambiente familiare si insinui un senso di fallimento rispetto all’educazione umana e sociale della prole.
Questo accade perché gli adulti si bloccano quando i comportamenti di loro ragazzi non soddisfano le aspettative personali e sociali, quando classificano un comportamento come strano o eccessivo.
Allora, anche per i familiari esistono tipi di comportamento volti a reprimere l’ansia e la sofferenza provocata dalla sensazione del fallimento.
Molti genitori tendono a scaricare sul figlio la responsabilità dell’insuccesso, cioè mettono in atto indirettamente quanto necessario ad alleggerirsi ed assolversi completamente.
Altri genitori, viceversa, assumono una tendenza a giustificare sempre e comunque i comportamenti del figlio, scusandolo perché costretto dagli eventi ad agire in un modo che, in verità, non lo identifica.
Su questa scia si inseriscono coloro che iniziano ad attribuire ai ragazzi forme di malattia, di ogni natura, per legittimarne il tracollo. Ciò accade perché, persuadersi di avere un figlio “malato”, può dare l’effetto di placare l’angoscia, può aiutare a rassegnarsi difronte all’incapacità di comprendere il senso di taluni comportamenti.
Tuttavia aggrapparsi ad una eventuale malattia, nel caso di adolescenti problematici, può innescare un meccanismo perverso: più che rimuovere l’angoscia e la difficoltà potrebbe addirittura aumentarle. La malattia, infatti, per come viene socialmente gestita, richiama l’esigenza di una cura, nonché il coinvolgimento di soggetti terzi che intervengono per risolvere il problema.
Tutto ciò ha, in ultima analisi, l’effetto distruttivo di “certificare”, non solo lo status del soggetto, ma soprattutto di cristallizzare l’incapacità di coloro che avevano l’onere di occuparsi di questi.
Detto ciò, viene da chiedersi in che modo interagiscono tra loro queste forme di paura.
Tra il timore dei ragazzi e quello delle famiglie c’è uno scambio continuo, nonché il prodursi di specifici effetti.
Si tratta di conseguenze che ricadono sulla percezione del sé che hanno i ragazzi e quindi sui loro agiti. Difronte a comportamenti eccessivamente punitivi produrranno sensazioni di impotenza e fragilità, nonché di meritevolezza quindi delle punizioni e del rifiuto.
D’altro canto atteggiamenti permissivi e collusivi produrranno forme di onnipotenza e il convincimento di avere il diritto di poter fare ogni cosa. Tutto questo andrà ad inficiare ed a svilire lo sviluppo del senso critico e della responsabilità personale dei ragazzi.
Ma allora, quale atteggiamento adottare?
A parer mio è importante che la famiglia si innovi e interpreti come occasioni di crescita i cambiamenti legati al passaggio dell’adolescenza, è importante il dialogo sincero, l’ascolto attento e non giudicante che la famiglia vorrà avere nei confronti del ragazzo.
Se ciò verrà a mancare, gli animi dei giovani si riempiranno di insoddisfazione, rabbia che poi sfoceranno in forme di disfunzionalità e con il rischio di degenerare in forme di devianza.

Notazioni Bibliografiche:
– “ Adolescenti da brivido. Problemi, devianze e incubi dei giovani d’oggi”, P. Cosling, Armando;
– “Adolescenti trasgressivi. Il significato delle azioni devianti e le risposte degli adulti”, A. Maggiolini, E. Riva, Franco Angeli;
• “La devianza in adolescenza”, A. Ripamonti, Il Mulino .