Se Draghi è un manager deve varare una legge sui partiti


Parallelamente riporto alcune notazioni su come la Lega si è posta, partito di lotta e di governo, rispetto alla questione Green-pass: ottiene sembra, in modo ancora non ben definito, il risarcimento da parte dello Stato per danni conclamati (e gli altri precisano “irreversibili”, precisazione di non poco conto…) dai vaccini imposti, con la premessa di un sì alla obbligatorietà.
È ovvio che l’opposizione interna comporta notevoli distorsioni organizzative e istituzionali.
Quelle organizzative: gli uffici dei ministeri devono lavorare per ministri e sottosegretari in un modo e per altri in un altro. Invece, se un partito è all’opposizione le posizioni dell’esponente politico devono essere supportate non dalle strutture ministeriali, che lavorano per il governo, ma soprattutto da quelle di partito. Ecco uno dei mille motivi che rafforzano il principio vitale dell’efficienza ed efficacia, e quindi dell’organizzazione, dei partiti.
Tutti coloro che si sono trovati ad avere esperienza politica o amministrativa di fatto, e non blablà nei bar, sanno che in Italia, con questi partiti senza organizzazione, l’opposizione è tecnicamente impossibile, se si vuole essere consapevoli, e così conseguentemente la vera democrazia.
Credo che non si possa negare che il nostro Presidente del Consiglio dei Ministri attuale, Mario Draghi, abbia una cultura manageriale. Ma che sia un manager, agli esperti di management qualche dubbio però potrebbe sorgere, in quanto non l’abbiamo visto fare la proverbiale carriera di ufficio in ufficio per incarichi superiori, ma ne conosciamo il percorso aereo, per vie istituzionali e politiche.
Credo che questo si noti nel suo approccio, più da esperto stratega e da abilissimo concertatore che da organizzatore. Egli ha finora dimostrato di usare il suo potere per scelte strategiche: ha i suoi uomini nei gangli vitali del Governo, sono molto esperti, di sua fiducia e hanno il suo stesso stile asciutto e autorevole; ha lasciato ampio spazio ai politici (di basso profilo) che il nostro malato quadro politico ha saputo produrre, sia a sinistra che a destra, in modo che si mettano in mostra per ciò cui hanno dimostrato di essere sensibili soprattutto, cioè consenso, sondaggi e voti, preservando i loro vacui interessi di bottega (così per Di Maio, Speranza, Giulietti e c.).
La parola management in lingua inglese significa in lingua italiana due cose, che vanno intese come consistenti e congiunte: 1. Organizzazione; 2. Direzione.
Ogni società umana (una famiglia, una azienda, un ente pubblico, un evento, ecc.) richiede organizzazione e direzione. Così uno Stato. Dunque ogni società umana avrà il suo management.
Perché invece un partito politico non dovrebbe avere il suo management?
Non c’è dubbio che anche in Politica e in amministrazione pubblica il risultato qualifica l’azione.
Ed è altrettanto incontestabile che nelle società umane, il risultato di direzione non si ottiene se non ci si sa organizzare. Anche se il management pubblico e quello privato differiscono per natura e per diritto: un conto è vedere un’azienda privata, un conto un Comune o un Ministero.
E un conto è vedere un Partito. Che, tra le cose principali, deve selezionare personale politico e amministratori, con competenze specialistiche e particolari… Infatti, chi se non un partito può proporre all’elettorato una persona, un candidato, garantendo che la sua necessaria professionalità sia all’altezza di uno dei molti diversi ruoli pubblici per cui si presenta? Le campagne elettorali sono sempre più brevi ed esteriori, la rilevanza dell’uso dei media è sempre più forte e così la possibilità di guidarli con semplici investimenti di denaro… Ma la disponibilità di denaro non coincide necessariamente con la presenza dei requisiti per la posizione pubblica del caso. Il fatto poi che noi qui ci poniamo il problema dell’Egitto, di Trump o Biden, del terrorismo o dell’Afghanistan è dovuto alla comprensione che il mondo è ormai un unico grande sistema (globalizzazione) occupato da una popolazione umana velocissimamente moltiplicatasi (antropocene) ove gli individui sono tutti potenzialmente in contatto tra loro (mediatizzazione). In queste condizioni non c’è alternativa al considerare il popolo umano tutto coinvolto nella politica: il senso è che il movimento delle masse è condizione politica, perché oggi come non mai le masse sono in contatto e comunicano.
Quindi, devono essere convinte da qualcuno o da qualcosa, e ciò può avvenire o con l’onestà o con l’inganno (persone bugiarde o fake news). Io propendo per la prima, e non solo perché sono filantropo, ma perché è tecnicamente difficilissimo ormai condizionare univocamente il comportamento delle masse. Esempi come il web dei social o le criptovalute dimostrano come, posto un limite, il movimento composito delle coscienze umane trovi la via per aggirarlo e superarlo… E questo è vero sia nel bene che nel male. Ma il bene è sempre un poco più forte, se si lavora con rispetto per la natura umana.
E sono molto meno fiducioso, al giorno d’oggi, all’epoca del G.A.M. (Globalizzazione e Antropocene Mediatizzato), come in tutte le epoche di grandissimo rivolgimento, che la storia sia “magistra vitae”.
Oggi di certo essa non lo è.
In questo, Draghi, dovendo dirigere un treno in corsa su una ferrovia dissestata, ha scelto molto bene: guida la locomotiva e lascia che nei vagoni i primitivi si azzuffino e si mostrino dai finestrini con le loro ridicole bandierine. Ma quando qualcuno bussa al portello della locomotiva lo ascolta e ci lavora. Non come il dilettante suo predecessore, politicoide fino ai capelli, che fingeva di ascoltare tutti, tanto che nessuno lo ascoltava, avendo, da politicoide, accettato di dividere coi primitivi la guida della locomotiva, ridotta a un banco rotante per l’ingegno ebete dei suoi ministrucoli.
Il buon Draghi ha di certo la sua visione per lo scenario del Paese, che è un’Europa grande ma fragile, ma anche difficoltà a innescare il cambiamento organizzativo (se ne conosce le regole…). Deve navigare a vista, le bussole non servono. Siamo di nuovo sull’arca di Noè. E il diluvio è già successo: ora, con a bordo gli animali dei partiti, semiebeti, si tratta di ricostruire (o forse costruire…) la democrazia italiana.
E per farlo ci vogliono partiti veri e solidi anche finanziariamente.
Vanno obbligati a esistere, per legge.