PsicologicaMente – Ipocondria, l’ansia da malattia


“Quando si tratta di malattie, non direi mai di essere un ipocondriaco. Semmai sono un allarmista. Non è che mi senta malato di continuo, ma quando mi ammalo penso subito che sia la volta buona.” (W. Allen)

Cari lettori, questa settimana ho scelto un argomento che, dato il periodo storico che attraversiamo, è sicuramente di grande attualità: oggi parliamo di “ipocondria”.
Storicamente l’occidente conosce l’ipocondria già da un paio di millenni, l’utilizzo di questa parola risale a Ippocrate, il quale parlò di “male degli ipocondri”, ovvero un disordine dello stomaco e della mente, accompagnato da disturbi digestivi, melanconia e timore di morire.
L’affiancamento dello stomaco come organo al concetto di tristezza non sorprende considerato che, nell’immaginario dei greci, l’addome era considerato la sede di sentimenti e passioni.
Gli ipocondri, in effetti, sono proprio porzioni dell’addome, situate a ridosso delle ultime costole e al di sotto della porzione laterale del diaframma.
In psicologia l’ipocondria si manifesta come la paura di contrarre malattie portata a livelli estremi, un malessere effettivo legato alla sensazione o fobia di contrarre patologie gravi e mortali.
Coloro che ne sono affetti prestano enorme attenzione al minimo cambiamento del corpo e monitorano costantemente il loro status, quindi si attivano quotidianamente alla ricerca ed individuazione di sintomi di varia natura.
Gli ipocondriaci diventano i più massivi frequentatori di ambulatori e pronto soccorsi, sottoponendosi di frequente a screening diagnostici e visite di ogni genere, che ripetono a distanza ravvicinata.
Tuttavia anche l’esito favorevole delle indagini non attenua l’angoscia, non riesce a tranquillizzare questi soggetti, e ciò accade perché essi arrivano a credere addirittura che i medici cui sono stati sottoposti non si sono rivelati in grado di individuare davvero il loro problema e risolverlo.
L’ipocondriaco fraintende ogni segnale del corpo, come se tutto nascondesse, in effetti, una malattia. Nascono le preoccupazioni più varie, anche rispetto alle banalità, come ad esempio il mero battito cardiaco, o addirittura un insignificante raffreddore.
Inoltre, chi versa in questo stato, tende ad allarmarsi in ogni occasione, anche solo parlando con qualcuno che si è ammalato o guardando un notiziario.
Altra caratteristica è la tendenza a raccontare la propria storia medica, scendendo nei dettagli, ad amici e conoscenti, e ciò avviene perché persiste un desiderio costante di rassicurazione, anche se l’effetto benefico che ne deriva è molto limitato nel tempo: si esaurirà al nascere del prossimo sospetto o timore.
Ulteriore elemento distintivo dell’ipocondriaco è che trascorre un tempo indefinito ad informarsi ed a cercare prove che confermino le sue supposizioni pessimistiche.
Ovviamente, di tutto questo stress e di simili comportamenti nevrotici, sicuramente risentono le relazioni sociali: la persona ipocondriaca, non solo coinvolge tutti nella sua continua preoccupazione, ma si aspetta anche dei trattamenti privilegiati ed una grande considerazione.
La famiglia sarà il principale luogo di sfogo e potranno crearsi tensioni, discussioni e fraintendimenti.
Non parliamo poi degli effetti in campo lavorativo, infatti, a meno che non si riesca a limitare lo sfogo delle preoccupazioni al di fuori dell’ambiente di lavoro, queste interferiranno con la prestazione e porteranno ad assenze continue dal lavoro.
Il reale problema sta nel fatto che il soggetto ipocondriaco non comprende che è psicologica l’origine del suo status psichico ed insiste nel cercare una spiegazione scientifica.
L’ansia da malattia solitamente si manifesta in età adulta e le possibili cause possono essere varie.
Ad esempio un singolo evento traumatico, la comparsa di una malessere che mette a repentaglio la vita dell’individuo o di un familiare o di un amico, può certamente scatenare la nascita del disturbo. Altrettanto può incidere l’aver avuto un’infanzia difficile.
Ancora, alcuni ritengono che questa paura possa rappresentare una predisposizione, che essa possa celarsi all’interno dei tratti della personalità del paziente. In effetti il timore di essere colti da una malattia rivela un animo estremamente vulnerabile e una radice antica e profonda del problema. I pazienti ipocondriaci hanno un’immagine di sé legata ad una personalità fragile, debole e con ridotte difese immunitarie. Tale percezione origina certamente dal rapporto con le figure significative nella prima infanzia, ad esempio, non di rado, è la figura d’attaccamento ad aver personificato questa immagine di debolezza, sia attraverso messaggi espliciti che, indirettamente, attraverso atteggiamenti iperprotettivi.
L’ipocondria, inoltre, si accompagna spesso al timore della morte, una paura antica e condivisa dall’intera umanità e che il paziente tenterebbe di controllare attraverso continui esami medici tesi a rassicurarsi e ad allontanare l’idea della propria vulnerabilità.
La terapia, perciò, sarà concentrata, più che sul rassicurare il paziente del fatto che non contrarrà nuove malattie, sull’invito ad accettare l’inevitabilità di questi eventi. Solo attraverso l’acquisizione della consapevolezza della caducità umana, la persona potrà comprendere ed apprezzare la vita.
La terapia per il Disturbo d’ansia da malattia può essere di tipo farmacologico, psicoterapeutico o un’integrazione dei due. L’approccio farmacologico potrebbe riuscire ad alleviare i sintomi o aiutare a controllare le fasi più acute, o rappresentare un mero supporto alla psicoterapia.
Va, tuttavia, tenuto presente che, data la natura del disturbo, la persona potrebbe rifiutarsi di assumere i farmaci proprio a causa della paura di ammalarsi o di subire danni alla salute.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è ritenuta ad oggi la forma di intervento più efficace per affrontare con successo il disturbo d’ansia da malattia anche se, a parer mio, altrettanto valida è la terapia strategica breve.
Questa tecnica non va ad indagare il passato, non si focalizza subito sulla ristrutturazione cognitiva del sintomo, questa avviene come conseguenza ma solo in un secondo momento, bisogna prima essere passati all’azione ed aver esperito un primo cambiamento.
La terapia strategica breve punta alla risoluzione del problema esperendo tentativi d’errore progressivi sino a raggiungere uno sblocco. In seguito, una volta verificata l’efficacia delle strategie per la stessa tipologia di problemi, solo allora, si costruisce un nuovo protocollo operativo.
Un reale cambiamento prevede, oltre ad una trasformazione delle cognizioni, anche e soprattutto un mutamento delle percezioni. Queste innescano emozioni che, poi, a loro volta, influenzano le cognizioni ed i comportamenti. Un simile cambiamento, per rivelarsi effettivo ed efficace, deve succedere ad esperienze concrete.
Operativamente, dunque, parliamo di una terapia capace, attraverso tecniche suggestive e stratagemmi, talvolta paradossali, di indirizzare il paziente verso sperimentazioni reali nella vita concreta, saranno queste a veicolare un “cambio di schema” indispensabile per superare il problema.
Ma quali possono essere le “tentate soluzioni” adoperabili in quadri ipocondriaci?
Di certo sarà auspicabile prescrivere la prevenzione o, se possibile, una totale elusione di quelle situazioni o pensieri che inducono a reazioni fobiche, ad un eccessivo ricorso ad esami clinici o alla richiesta di rassicurazioni.
Bisognerà accompagnare la persona ad impegnarsi, piuttosto, nello stabilire un contatto sereno e prolungato con le proprie sensazioni a trovare un’armonia ed un equilibrio con il proprio corpo ed il proprio spirito.

Notazioni Bibliografiche:
– “Il codice dell’anima”, Hillman J., Adelphi;
– “Clinica psicologica in psicosomatica. Medicina e psicologia clinica fra corpo e mente.”, E. Zacchetti, G. Castelnuovo, FrancoAngeli;
• “I disturbi di somatizzazione nel DSM-5”, P. Porcelli, FrancoAngeli.