I falchi di Stalin (2a parte)


Si è visto che gli assi dell’aviazione russa erano, per la maggior parte, tutti inquadrati nei famosi Reggimenti della Guardia ed erano tutti piloti d’élite, molto ben addestrati ed al di sopra dello standard medio. È il caso del Tenente Ivan N. Košedub che, secondo una graduatoria compilata dallo storico dell’Aviazione sovietica Michail Mosskov e conosciuta in occidente dal lontano 1967, conseguì, durante la guerra, 62 vittorie, in combattimenti aerei. Figlio di un operaio, era nato in Ucraina nel 1920. Fece il tirocinio di volo, alla fine degli anni Trenta, in un aeroclub privato e durante la sua attività operativa, ottenne per ben tre volte (unico caso) la decorazione di “Eroe dell’Unione Sovietica”. Ebbe il battesimo del fuoco nel novembre del ’42, ai comandi di un “Lavochikin La-5”. Quell’esordio sarebbe potuto anche essere la sua fine. Infatti, nel corso di un improvviso attacco all’aeroporto, si alzò in volo con i compagni e si gettò nella lotta, dimenticando, ahimè, la regola fondamentale, quella di guardarsi costantemente le spalle. Quando se ne ricordò, era ormai troppo tardi. Un apparecchio nemico stava sparando su di lui, colpendo in più parti la sua macchina. Dovette rinunciare al duello e rientrare malconcio alla base, prima che i danni subiti lo costringessero ad un atterraggio di fortuna. Quella lezione fu per lui salutare e quell’episodio lo rese sicuramente il migliore. Massima attenzione agli spostamenti dell’avversario, cosciente determinazione, rapidità decisionale ed un costante impegno, per presentarsi in combattimento nelle migliori condizioni fisiche, furono le sue peculiarità. Quando, nel febbraio 1944, ricevette per la prima volta la medaglia di Eroe, aveva ottenuto 35 vittorie. Tre mesi dopo ne aveva collezionate 45 ed altre 17 vennero negli ultimi undici mesi di guerra. Continuò la sua carriera ed ottenne un comando di vertice, durante la guerra di Corea, dal 1951 al 1953, quando, da poco superati i trent’anni, con un “MiG-15”, a reazione, si trovò a dover fronteggiare gli “F-86” e gli “F-86F Sabre” americani. Nel 1950 venne pubblicato, a Mosca, un suo libro di memorie, dal titolo “Io servo la Patria”, apparso anche nella Repubblica Democratica Tedesca, con il titolo “Ich greife an” (lett. “Sto attaccando”).
Autore di memorie, è stato anche l’asso Aleksandr I. Pokryškin, che figurava al secondo posto nella graduatoria, con 59 combattimenti vinti. Il volume, intitolato “Le ali di un caccia”, uscì nel 1948, sempre a Mosca. Pokryškin, nativo di Novosibirsk, venne decorato con la stella d’oro di Eroe. La sua preparazione fu particolarmente curata. Appassionatosi al volo, attraverso la lettura di libri specializzati, frequentò una scuola per meccanici aeronautici, acquisendo nozioni ed esperienza, risultate utilissime e basilari, una volta ottenuto il brevetto presso l’Accademia Aeronautica, durante il corso presso la scuola di addestramento caccia, a Kuča. In verità, i compagni lo guardavano un po’ dall’alto in basso, proprio per quella iniziale estrazione da meccanico, ma le sue qualità istintive, così ben armonizzate con l’esperienza, lo segnalarono subito come uno degli allievi più dotati. Riuscì anche a sfuggire al destino, comune ai primi del corso, di finire istruttore in una delle numerose scuole di pilotaggio. Il suo comportamento, in battaglia, si ispirava ad un libro/manuale, del francese René Fonck in cui, l’asso della Grande Guerra, descriveva dettagliatamente la propria tattica di cacciatore. Pokryškin, dopo una maturata esperienza, modificò i suggerimenti di Fonck, trascorrendo lunghe ore a tavolino, per ricalcolare matematicamente le traiettorie, la velocità di tiro e le virate del suo apparecchio. Si convinse, così, che alcuni elementi potevano dargli, nell’attacco, un vantaggio decisivo. Sparare dalla più breve distanza possibile, imprimere all’aereo la maggiore velocità sostenibile nella fase di avvicinamento all’avversario ed aprire il fuoco soltanto al momento di virare. Tutto ciò significava correre un rischio maggiore, ma garantiva una “letale sicurezza d’incontro”. All’inizio dell’invasione tedesca della Russia, Pokryškin si trovava in una unità dislocata in Ucraina. Conseguì ben presto la sua prima vittoria con un “MiG-3”, ai danni di un “Messerschmitt 109”. Nei primi mesi di guerra, e per tutto il 1941, ebbe poche occasioni di combattere, perché adibito a mansioni di scorta e di ricognizione. Nel ’42, finalmente poté iniziare a cimentarsi nella lotta e con quanto ardore lo facesse era continuamente dimostrato dalle condizioni disperate del suo aeroplano, quando rientrava dalle missioni. Fu abbattuto diverse volte e diversi furono gli atterraggi di fortuna. I suoi segreti erano l’altezza, la velocità, la capacità di manovra e la potenza di fuoco. Divenne così famoso, che le trasmittenti russe spesso si inserivano nelle frequenze del controllo radio dello “Jagdgeschwader 52” (importante reparto aereo della Luftwaffwe), per annunciare: “Attenzione piloti tedeschi, l’asso Pokryškin è in volo!”. Le sue esperienze risultarono, tra l’altro, utilissime a tutti i nuovi colleghi. Sopravvisse al citato “Jagdgeschwader 52”, che collezionò, ai danni delle squadriglie sovietiche, oltre 11.000 abbattimenti. C’è da dire che 48 delle sue 59 vittorie le ottenne pilotando un Bell P-39 Q “Airacobra” americano; alcune, con la tecnica dello speronamento, di cui era maestro.
Nella lista dei superbi aviatori, va segnalato Vladimir Lavrinebkov, con 35 successi accertati. Nato in un borgo di Smolensk, era entrato in aviazione alla vigilia del secondo conflitto mondiale. A bordo del suo “Yak-1” collezionò una serie notevole di risultati, ai danni di caccia e bombardieri nemici. Si scontrò anche, ed in più di un’occasione, con i famosi “Stukas”, abbattendone due. Nell’agosto del ’43, durante una missione di scorta, venne colpito. Ferito, si lanciò con il paracadute, prendendo terra in territorio occupato dal nemico. Fatto prigioniero, durante il trasferimento a Berlino, assieme ad un compagno, riuscì a forzare la portiera del carro ferroviario su cui viaggiava e ad allontanarsi, dandosi alla macchia. Si unì ad una formazione partigiana, per poi essere liberato, assieme all’amico, dall’arrivo dell’Armata Rossa.
Rimasta negli annali, anche l’evasione del tenente pilota Michail Deviataev che, dopo 180 duelli aerei e diverse vittorie, venne abbattuto e fatto prigioniero, nel luglio del ’44. Dopo alcuni mesi di prigionia in un campo di concentramento, riuscì a fuggire e, giunto in un aeroporto militare tedesco, si impossessò, nottetempo, di un bombardiere “Heinkel 111”. Nel febbraio del 1945, fece ritorno in patria e rientrò nei ranghi del proprio Reparto.
Vi furono poi uomini che tornarono a volare, dopo gravi incidenti, nonostante l’amputazione degli arti inferiori. È la tragica storia del Maggiore della Guardia Aleksandr P. Maressyev, altro eroe dell’URSS. In una giornata che all’apparenza era iniziata al meglio, con l’abbattimento di due “Junkers 52”, fu centrato in pieno da un caccia nemico e non riuscì a lanciarsi con il paracadute. Il suo aereo precipitò in una foresta di pini, schiantandosi al suolo. Sopravvisse miracolosamente, ma con le gambe maciullate. Si trascinò lontano dal luogo dell’impatto, mantenendosi in vita, per diciannove giorni, con acqua di sorgente e bacche. Lo trovarono, casualmente, alcuni contadini che lo condussero, con grandi difficoltà, presso l’ospedale più vicino. Le gambe, fratturate in ogni punto, erano andate in cancrena e ed entrambe gli vennero amputate. Un anno dopo, con un paio di arti artificiali, ottenne l’autorizzazione di poter riprendere il suo posto in carlinga, vincendo, fino alla fine del conflitto, 19 duelli aerei.
Né si possono dimenticare quelle donne che, come gli eroici colleghi maschi, furono inviate a combattere contro il nemico nazista. Furono più di 5000, prevalentemente a bordo di bombardieri. Alcune, con prestazioni di tutto rispetto, furono impiegate anche a bordo di caccia. Antesignana del femminismo aereo, il Colonnello Matina Raskova che, su diretto incarico di Stalin, nel 1941, costituì il 122° Reggimento Aereo, primo reparto totalmente al femminile. Il Tenente Lilya Litvak, in assoluto nel mondo, l’asso femminile della caccia, colse 13 vittorie e cadde in combattimento, a bordo del suo “Yak-1”, nel settembre del 1943. Ed ancora. Il Tenente Katia Budanova, decorata con la stella di Eroe dell’Unione Sovietica, ricca di un bottino di 11 trionfi, durante la sanguinosa Battaglia di Stalingrado, effettuò 66 missioni di volo. Ben 7 vittorie vennero attribuite ai Tenenti Tamara Pamyatkina, Tamara Pamatien e Rina Surnatenevskaya, Eroine dell’URSS, con l’onore di aver abbattuto altrettanti bombardieri tedeschi. E lo stesso titolo, toccò anche a Maria Dorina, che eliminò tre caccia nazisti ed a Galina Burdina che, gravemente ferita, ridusse in fiamme, durante un combattimento notturno, uno “Junkers 88”. Va detto che il primato di successi ottenuti in un solo giorno, durante tutto il secondo conflitto mondiale, è da assegnare al Capitano Alexander K. Gorovec, che ne collezionò addirittura 9.
Donne o uomini, non ci fu differenza. Il loro motto, dipinto sulle fusoliere o inciso sui muri delle camerate, diceva: “Vai in cerca del nemico! Non chiederti quanto possa essere forte, chiediti solo dove lo puoi trovare!”.