Chitarra Classica – Intervista a Roberto Màsala


Roberto Màsala è nato a Sassari nel 1954. Ha studiato presso il Conservatorio di musica “L. Canepa” di Sassari sotto la guida di Armando Marrosu.
Ha in seguito frequentato i corsi di perfezionamento tenuti da Oscar Ghiglia presso l’accademia Chigiana di Siena, dove ha ottenuto il diploma di merito, partecipando inoltre al concerto finale.
Fin da giovanissimo ha ottenuto importanti piazzamenti in concorsi nazionali e internazionali.
A Mondovì, dopo aver vinto il trofeo “Ansaldi” per le particolari doti interpretative, è stato più volte invitato a far parte della Commissione giudicatrice già composta da valenti musicisti tra i quali Ruggero Chiesa, Angelo Gilardino e Giovanni Nuti.
Nel 2015, al Convegno di Alessandria ha ricevuto la “Chitarra d’oro” per la didattica.
Dal 1978 è docente di chitarra classica presso il Conservatorio di Musica “Luigi Canepa” di Sassari. Dal 1985 suona prevalentemente su chitarra Ramirez a 10 corde.

WM: Ciao Roberto, è un piacere intervistarti per WeeklyMagazine, ci racconti dei tuoi inizi e degli insegnanti che hanno contribuito alla tua formazione?

R.M.: Prima di cominciare, lascia che ti ringrazi per questa gradita opportunità. Non è frequente che mi vengano rivolte domande e tante attenzioni per questa mia attività che, da tanti anni, è diventata anche la mia professione. Devo tutto a mio fratello Bruno, fin da giovanissimo chitarrista e clarinettista in un gruppo musicale che si impegnava a organizzare serate nei locali pubblici della Sardegna settentrionale. Bruno mi spinse a prendere contatto con il Signor Vittorio Marrosu, insegnante di chitarra classica nella mia città, nonché liutaio. Quell’incontro, inizialmente accolto con me con un certo scetticismo, mi aprì un mondo magico che subito mi catturò. Qualche anno dopo conobbi poi il figlio Armando Marrosu, allievo di Pujol, che mi seguì per diversi anni al Conservatorio. Fra i due, non posso dimenticare l’importante esperienza didattica con Gianluigi Gelmetti, recentemente purtroppo deceduto e già allora valente chitarrista e direttore d’orchestra, che inaugurò la cattedra di chitarra nello stesso Conservatorio. A conclusione degli studi accademici, seguii alcuni corsi di perfezionamento con Oscar Ghiglia, all’Accademia Chigiana di Siena e durante gli Incontri Chitarristici di Gargnano.

WM: Vuoi delineare brevemente il profilo umano e artistico di questi diversi Maestri?

R.M.: Certo! Vittorio Marrosu era il classico dilettante ispirato da nobili propositi di divulgazione. Aveva il merito di incoraggiare gli allievi, fornendo loro le basi, senza “fare alcun danno”, ma con i limiti tipici di quei tempi. Gelmetti mi pose di fronte ad una dimensione sconosciuta: quella della musica in genere, in cui inserire, da chitarrista moderno il nostro strumento, con la doverosa consapevolezza di rispettare i contorni dell’universo colto a cui mi stavo avvicinando. Mi ricorderò sempre che Gelmetti, quando diresse due concerti brandeburghesi di Bach, durante uno degli “Incontri Musicali” pensati da Guarino, volle illustrare al pubblico temi , modulazioni, sviluppi servendosi non del pianoforte, ma della stessa chitarra. Esempio unico, credo, nel mondo della direzione d’orchestra! Marrosu entrò poi nella mia vita come figura umana davvero unica ed estremamente formativa. I suoi modi, la passione per l’insegnamento, la disponibilità e le doti umane mi cambiarono completamente e seppero insegnarmi soprattutto ad insegnare e a trasmettere agli altri con pazienza, decisione, ma anche libertà di idee, le mie conoscenze musicali, quando sarei diventato a mia volta insegnante. Di Pujol prese sicuramente i lati più umani e sensibili, anche se della “Escuela razonada” del maestro catalano ci dava un’immagine forse edulcorata e filtrata dalle personali esperienze. Oggi non posso dire di applicare i principi della scuola di Pujol, ma il mio metodo si avvale di tutte le molteplici esperienze vissute con i vari Maestri. Fra questi non posso non citare Ghiglia per le sue illuminanti lezioni. Mi ricordo che fu l’unico a farmi capire davvero la loure di Bach BWV 1006, ma soprattutto ricordo che alcune sue frasi mi fecero poi lavorare per decenni. Ne cito una fra tutte: “Attento ché stai suonando in sardo!!”, parole che non dimentico e che hanno subito avuto una riprova con gli allievi.

WM: Puoi parlarci del contesto in cui veniva vissuta la chitarra in Sardegna ?

R.M.: Posso dire poco del Conservatorio di Cagliari: potrei essere impreciso e parziale. Posso parlare di quello della mia città, anche perché il corso di chitarra è nato grazie all’interessamento dei miei genitori, i quali vollero farmi studiare seriamente in un istituto di buon livello. Loro mi spinsero a prendere contatto con Piero Guarino, pianista, compositore e allora direttore del Conservatorio “Luigi Canepa” di Sassari. Guarino mi spiegò che quello di chitarra non era un insegnamento presente fra quelli dell’Istituzione, ma mi invitò a fargli sentire qualcosa con la chitarra. Io ero reduce da alcuni premi conquistati a Milano, presso l’Accademia della Chitarra Classica diretta da Vincenzo Degni, e presentai al maestro il repertorio in mio possesso. Guarino mi promise di fare il possibile, mi consigliò di seguire nel frattempo le lezioni delle materie “complementari” e subito dopo istituì la cattedra di chitarra, che allora, come in tutta Italia, non poteva che configurarsi come “corso straordinario”. Venne a insegnare Gelmetti. Armando Marrosu subentrò due anni dopo. Quest’ultimo creo una vera e propria scuola, come dicevo prima, basata sui principi di Emilio Pujol, e ci spinse a creare un’associazione che si occupò poi per anni di organizzare concerti, attività nelle scuole e, soprattutto, il concorso internazionale “Emilio Pujol”. Sotto traccia la chitarra comunque era sempre presente in Sardegna. Recentemente un mio allievo ha trovato nella soffitta della sua casa, in un paesino del centro Sardegna, la traduzione in italiano (arricchita di numerose modifiche ed esempi personali) del metodo di Molino manoscritta da uno sconosciuto chitarrista di cui non si può leggere il nome e risalente probabilmente all’Ottocento.

WM: Qual è stata la svolta che ti ha portato al passaggio dalla sei corde alla dieci corde?

R.M.: Inizialmente lo studio delle suite di Bach, ma, subito dopo, l’ascolto, anche dal vivo, dei concerti di Narciso Yepes e la consapevolezza che le maggiori possibilità di questo difficile strumento potevano consentirmi una migliore lettura, paradossalmente, anche di quelle composizioni “segoviane” non sempre del tutto eseguibili sullo strumento tradizionale senza gravosi tagli armonici. Cito per tutti “Platero y yo” e gli appunti di Castelnuovo-Tedesco. Col passare del tempo, ho adoperato molto questo strumento per le trascrizioni. Un caro amico un giorno mi disse: ”Ma se vuoi suonare Chopin e Ravel, perché non hai studiato pianoforte?” e io risposi: “Perché mi piace il suono della chitarra, soprattutto qual contatto diretto con le corde che non potrei mai provare con la mediazione di un martelletto!”. Devo comunque precisare che il passaggio dalla “sei” alla “dieci” è stato in qualche modo graduale. Per alcuni anni ho adoperato una bella Ramirez a otto corde, con la quale mi sono diplomato (occasione in cui ho conosciuto Ruggero Chiesa, commissario estraneo) e perfezionato a Siena, come dicevo prima con Oscar Ghiglia.

WM: Cosa ti ha colpito maggiormente nell’estetica esecutiva di Yepes?

R.M.: Prima di tutto la grande sonorità, che subito attribuii all’eccezionale strumento che utilizzava, ma poi anche alle sue doti particolari. Repertorio vasto, eseguito con personalità spesso alternativa, a volte discutibile, ma sempre affascinante. Più tardi, leggendo anche diversi testi, capii la chitarra a dieci corde non veniva da lui utilizzata come un liuto rinascimentale e neppure alla maniera del Mertz ottocentesco, ma con soluzioni ed accordature del tutto nuove, che oggi adotto quasi regolarmente. Si veda al proposito il mio tutorial “Le tre principali accordature dei bassi nella chitarra a dieci corde”.

WM: Nella tua formazione ha molto influito la presenza di A. Segovia.

R.M.: Come per tanti di noi, chitarristi della mia generazione, gli ascolti degli LP di Segovia sono stati illuminanti e marcatamente formativi, anche se Marrosu, giustamente, ci ha sempre invitati a non imitarlo. Ascoltavo molto Segovia anche perché, quando trovavo difficoltà nel reperire gli spartiti, ricavavo i brani utilizzando il registratore Geloso a bobine e a tre velocità di mio padre. Operazione, questa, che mi fu assai utile sotto l’aspetto teorico e armonico e per affinare l’orecchio. Di Segovia ho sempre molto amato le scelte relative al repertorio, l’utilizzo del suono come mezzo espressivo e quella valorizzazione delle caratteristiche dello strumento, che giustificavano proprio dal punto di vista timbrico, la piena autonomia della chitarra da altri strumenti considerati più nobili.

WM: In qualità di docente di Conservatorio, come valuti l’attuale percorso di studi rispetto al precedente (vecchio ordinamento)?

R.M.: Secondo me, si è passati troppo bruscamente da un estremo all’altro. Così come in passato lo studente poteva trascurare la conoscenza di materie molto importanti per la propria formazione, oggi i giovani si lamentano di non avere adeguato tempo da dedicare al proprio strumento, alla pratica del repertorio, al contatto con il pubblico. Gli esami sono assai numerosi, si dimostrano assai impegnative le lezioni e oneroso l’impegno per onorare le varie scadenze. Si dovrà trovare, secondo me una mediazione per poter salvaguardare sia l’aspetto puramente esecutivo, senza rinunciare alle opportune conoscenze di carattere teorico.

WM: Con le nuove tecnologie digitali ci delizi spesso con video e tutorial molto belli ed interessanti. Hai altri progetti al riguardo?

R.M.: Il mio progetto è semplicemente quello di proseguire ad arricchire il mio catalogo. Desidero far conoscere il più possibile le possibilità della chitarra a dieci corde, ma senza trascurare anche argomenti di carattere didattico che spesso alcuni amici mi suggeriscono. Non è impossibile che mi dedichi anche alla composizione e che voglia proporre in futuro qualche mio lavoro più articolato, rispetto alle brevissime pagine fin qui pubblicate. Devo dire, comunque, che questa attività mi diverte e appassiona. Ho rinunciato all’attività concertistica in seguito ad un brutto problema cardiaco avvenuto qualche anno fa e che mi costringe a non affaticarmi troppo. Con i video posso dedicarmi a un solo brano per volta e, anche se poi lo dimentico qualche giorno dopo, rimane immortalato nel mio canale.

WM: Possiedi diversi strumenti in abete e cedro, ce ne parli?

R.M.: Sono affezionato particolarmente al cedro, anche perché la mia prima chitarra di pregio è stata proprio una Ramirez. Ho anche una Rinaldo Vacca in cedro. Ma quando suono una mia chitarra in abete (possiedo diverse chitarre costruite da Riccardo Moni), mi sento di affermare “Anche l’abete è bellissimo!”. Pur nella consapevolezza che ogni strumento e ogni legno è più o meno adatto ad un determinato repertorio, trovo molto piacevole e stimolante “cambiare”. Un po’ come può avvenire in cucina, laddove, una piccola modifica può rendere assai stuzzicante qualsiasi sapore, o con la frequentazione delle persone, la scelta degli argomenti di cui discutere con gli amici. Da ragazzo mi piaceva, a volte, abbassare la chitarra di un semitono o più per suonare i brani con un effetto sonoro diverso e per questo assai affascinante. Per gusto. Per divertimento. Non possiamo infatti essere sempre seriosi e filologi, ma possiamo anche rivolgere uno sguardo al “piacere”, allo svago musicale.

WM: Ritornando al tuo lavoro di docente, cosa consiglieresti ad un giovane chitarrista aspirante alla carriera concertistica?

R.M.: Consiglierei di possedere una preparazione a 360 gradi. Consiglierei di curare l’immagine, la cura della propria figura personale, anche sotto l’aspetto della qualità di scrittura dei curricula, dei documenti vari, al pari dell’abilità strumentale. A volte, in Conservatorio, ci viene la voglia di cestinare alcune domande di insegnamento, per il disordine, la mancanza di cura e razionalità. Anche se non amo i concorsi di interpretazione, so che ottenere prestigiosi riconoscimenti nelle competizioni è di grande utilità. Ma soprattutto è importante avvicinare e conoscere le persone giuste, respirare l’atmosfera stimolante di quegli ambienti musicali che ci possono davvero far crescere dal punto di visto non solo professionale, ma anche umano. Io che vivo in un isola, so bene che la situazione privilegiata dovuta alla pace di un certo isolamento, finisce nel momento in cui bisogna confrontarsi, crescere nell’ambiente. Ai giovani consiglio di rimanere sempre se stessi, di creare un’identità “diversa” nella giusta dose e di combattere per affermarla. Ascoltare i consigli, vivere intensamente le esperienze in modo da trarne sempre insegnamento, ma soprattutto accettarsi e accettare di conseguenza anche limiti e difetti per creare arte anche dalle proprie debolezze. Come dissi un giorno ad un ragazzino molto emozionato per un esame “sbaglia in maniera creativa!”. Ma soprattutto il giovane deve tenere presente che anche in musica l’arte si trova più nel dipinto che nella fotografia!

WM: Dicci qualcosa di più sul tuo metodo di insegnamento. Consigli ai tuoi allievi di suonare su uno strumento a dieci corde?

R.M.: Lascio i giovani liberi di decidere e quei pochi che si sono cimentati con il decacordo lo hanno fatto con grande convinzione. Considero le difficoltà nell’affrontare lo studio della chitarra a dieci corde ben superiori ai vantaggi che si ottengono. Io non temo le difficoltà, ma non posso imporre simili scelte agli allievi. Il mio lavoro da didatta risente, come dicevo prima, degli insegnamenti di Armando Marrosu. A quelle prospettive, io aggiungo un attento lavoro di analisi, che invece Marrosu non faceva, anche perché mi sono reso conto che i colleghi di armonia non sempre sono in grado di comprendere appieno la struttura di certe composizioni chitarristiche e liutistiche (Bach compreso). Anche per questo, ho pubblicato diversi tutorial di analisi, a partire da quello sul famoso studio op. 35 n. 22 di Sor, riproposto poi al Liceo Musicale della mia città. Ritengo l’analisi uno strumento indispensabile per valorizzare al meglio le meraviglie contenute in un brano e a rendere giustizia delle abilità di un compositore. Un giorno un allievo mi disse: “Maestro, vorrei suonare questo brano non come lo fanno tutti, ma in una maniera assolutamente diversa, personale” E io gli risposi: “Giusto, benissimo! Proviamo a farlo come è stato scritto!”

WM: Eccoci giunti alla fine di questa bella chiacchierata. Ti ringrazio moltissimo della disponibilità e spero di risentirti quanto prima.