Afghanistan, ritorno al passato (ora ci prova la Cina a conquistarlo)


Dopo una settimana dall’inizio dell’annunciato ritiro delle truppe alleate occidentali dall’Afghanistan, sebbene la situazione sia ancora estremamente fluida è possibile tracciare un primo bilancio di questi vent’anni di occupazione americana, tentando anche una possibile previsione per i mesi a venire. Occorre premettere che l’invasione del territorio controllato dai talebani era stata programmata e pianificata da tempo dal governo di George W. Bush; l’attentato dell’11 settembre fornì soltanto il pretesto per l’attacco. E’ vero che c’erano stati cori di protesta in tutto il mondo per l’efferatezza degli studenti di Dio e dei loro alleati di Al Qaeda, specialmente dopo la distruzione a cannonate delle due grandi statue di Buddha di Bamiyan, ma se si analizzano bene i fatti dopo averli riordinati cronologicamente ci si accorge che l’11 settembre fu solo un pretesto, e nemmeno tanto bene architettato.
Dunque, vediamo: Bin Laden proclama la guerra santa senza quartiere al diavolo dell’occidente (leggi USA); l’11 settembre 2001 sappiamo bene cosa è accaduto: passato il dolore e il lutto collettivo, Bush proclama di dover annientare il nemico, che notoriamente si nasconde in Pakistan. Quindi che fa? Invade l’Afghanistan! Capite che non ha senso?
Ma allora perché questa mossa? E’ molto semplice, basta guardare al di là della notizia sventolata dai media e dare un’occhiata alla carta geografica. Se osservate l’Iran, nemico giurato degli americani da Khomeini in avanti, noterete che si trova proprio a metà strada tra Iraq e Afghanistan.
Ecco spiegato almeno una parte del mistero: con l’Afghanistan Bush aveva conquistato la prima base. Poi nel marzo del 2003, muovendo guerra a Saddam Hussein (unico elemento stabile della regione, col suo partito Baat che come in Siria teneva testa a tutti i regimi sciiti) avrebbe potuto stringere gli iraniani in una morsa di ferro! Il che significava garantirsi almeno vent’anni di strategia petrolifera di semimonopolio, nonché un corridoio sicuro per potare il gas dagli altipiani di Turkmenistan e Uzbekistan fino ai porti del Pakistan, alleato di comodo degli USA semplicemente perché la nemica India è da sempre alleata dei russi.
Insomma, un gioco di alleanze traballanti che smontare risulta sempre pericolosissimo, andando a compromettere equilibri metastabili che rischiano in ogni momento di deflagrare in guerre strane, nelle quali a rimetterci sono solo le povere popolazioni di quell’area.
Ma non c’era solo questo motivo a scatenare la famelica voglia di nuove conquiste da parte dello Zio Sam. No, c’era anche un motivo più nascosto, recondito, catafratto tra le pieghe della politicamente corretta invasione per esportare la democrazia. La ragione stava nel fatto che i campi di papaveri dell’Afghanistan producono circa il 90% dell’eroina mondiale!
Il regime dei talebani aveva iniziato a fare piazza pulita delle sterminate coltivazioni che da centinaia di anni permettono a quelle popolazioni di sopravvivere nonostante il basso reddito pro capite. Infatti la produzione dell’oppio sfuggiva al controllo dello stato centrale e si disperdeva in mille rivoli di denaro che contribuivano, bene o male a sfamare quella gente.
Si badi bene: non sto dicendo che fosse un bene, ma almeno dal loro punto di vista bastava a fare odiare il regime oltranzista di Kabul.
Siano quindi benvenuti i nuovi invasori, che a differenza dei russi avrebbero permesso nuovamente la coltivazione e la vendita della droga. Va ricordato, per inciso, che solo una minima parte dell’oppio prodotto al mondo (e quasi nulla dall’Afghanistan) finisce alle industrie farmaceutiche; il resto contribuisce ad arricchire i signori della droga di mezzo mondo.
Peraltro i 2000 miliardi di dollari spesi in questi vent’anni sono stati dissipati nei mille rivoli di una corruzione dilagante a tutti i livelli, che ha pian piano coinvolto anche gli invasori.
Lo stesso governo democratico afgano era ospite fisso alla grande greppia, e una notizia dell’ultima ora ci dice che lo stesso ex presidente Ahmid Karzai e il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah sono da fatto ai domiciliari, con tanti saluti al governo di inclusione che auspicava un certo Occidente. Non passeranno molti giorni e sapremo che anch’essi sono tati giustiziati in nome di quel Dio che dicono grande e misericordioso.
Anche qui l’esempio delle colonie britanniche non è servito che a riempire le biblioteche di libri mai letti. Ufficiosamente, gli USA aveva campato per decenni su questo mercato illecito (sebbene non lo abbiano mai ammesso e non lo ammetteranno mai), così l’11 settembre fu la scusa buona, il casus belli, che offrì a Bush e ai suoi generali l’occasione giusta.
Però quando si inizia una guerra, bisognerebbe dare retta ai generali. L’Afghanistan è un Paese tribale, quindi, così come gli inglesi in India crearono un esercito su base tribale (vi era il reggimento Gurka, quello dei Sikh, e così via) anche in questo caso i nuovi padroni avrebbero dovuto irreggimentare i soldati afgani su tale modello: i pashtun, gli hazari, i tagiki e così via. Ciò per garantire una coesione tra i commilitoni in caso di conflitto: infatti un soldato è più motivato a combattere per difendere i suoi compaesani e la sua regione, e sarà molto preoccupato che il padre del suo vicino di tenda non venga a sgozzarlo perché a lasciato che suo figlio morisse! Invece gli americani, che sanno sempre tutto, hanno costituito un esercito misto, col risultato che abbiamo potuto tutti vedere: alla prima avvisaglia di arrivo del vecchio regime è stato il fuggi fuggi generale, e quasi tutti i cosiddetti soldati si sono dispersi senza nemmeno combattere.
Probabilmente se gli americani avessero addestrato le donne sarebbe andata assai meglio: abbiamo visto cosa hanno saputo fare le soldatesse curde contro l’ISIS: con metodi non certo ortodossi di trattamento dei prigionieri (evirazioni, sepoltura del malcapitato vivo e dentro una pelle di maiale, e altre amenità del genere) si sono fatte temere al punto che i jihadisti scappavano quando le vedevano scendere in campo! Invece i grandi dispensatori di democrazia non hanno imparato nulla dal passato e hanno ripetuto gli errori dei russi e di tutti coloro che hanno tentato negli ultimi 2500 anni di conquistare quella terra. Il popolo afgano non è mai stato vinto, né da Alessandro Magno né da chiunque altro dopo di lui. Preferiscono morire, e questa loro determinazione ne fa un popolo invincibile e fiero. I mujaheddin, i combattenti del popolo, nel momento in cui giurano fedeltà alla loro terra celebrano anche il loro funerale, così muoiono in anticipo e sono già pronti per la vita che verrà. Si capisce bene che una mentalità così non può essere facilmente imbrigliata in ideologie di qualsiasi tipo: lo stesso termine mujaheddin significa letteralmente “combattente della jihad (la guerra santa islamica)”, ma in loro questo significato viene stravolto e diventano i combattenti per la libertà, già impegnati vittoriosamente nella lotta contro i sovietici invasori e poi contro il regime talebano. Nonostante il divieto del regime oltranzista islamico, questi impareggiabili cavalieri continuano a giocare a Buzkashi sugli altipiani dell’Hindu Kush, in barba al profeta e ai suoi studenti, e ora rappresentano forse l’unica speranza di salvezza per il loro popolo dopo il ritorno del terrore. Il figlio del leggendario comandante tagiko Massoud ha infatti riunito i mujaheddin nelle montagne del Panshir, a nord di Kabul, e cerca di opporre una strenua resistenza nonostante i talebani stiano già ammassando truppe e armi verso i loro territori. Armi, peraltro, sottratte in buona parte ai fuggitivi a stelle e strisce! Già, perché a sentire quanto gli stessi generali stanno raccontando a Washington sono stati lasciati indietro, per mancanza di tempo, automezzi, armi di ogni tipo, carri armati, centrali radio e radar, elicotteri, missili (!) e addirittura 20 aerei F35! Sì, proprio quelli che coi abbiamo pagato a caro prezzo grazie al Pinocchio di Rignano sull’Arno, le armi più costose mai costruite dall’uomo e che oggi vengono lasciati incustoditi alla mercè dei tagliagole del mullah Baradar, degno successore di Omar (si veda a questo proposito l’articolo in questo stesso numero che elenca armi e mezzi abbandonati dagli americani e dai loro soci).
Ma voi ci credete? Voglio dire, vi sembra possibile che un esercito moderno e organizzato, sapendo da oltre un anno che entro il 31 agosto 2021 avrebbe dovuto andarsene, abbandoni sul campo armi e bagagli senza nemmeno distruggere o disattivare tutto quanto? Il mitico fucile dei G.I., l’AR15, costa poco, ai tempi della guerra in Vietnam veniva prodotto a soli 9 dollari. Era semplicissimo smontare l’otturatore e renderlo inservibile. Ciò era un punto fondamentale del progetto di quell’arma, proprio perché in caso di ritirata o comunque di cattura da parte del nemico fosse possibile evitare che questi si impossessasse di altre armi funzionanti.
Qui invece sembra (si badi bene: ho detto “sembra”) che la fuga sia stata così precipitosa e inaspettata che i poveri soldatini che magari erano alla toilette non hanno nemmeno avuto il tempo di pulirsi il culo. I rotoli di carta igienica così abbandonati potranno servire ai talebani per farsi ulteriori turbanti? Chi lo sa? Ciò che sappiamo è che il terrore è tornato a Kabul, a Kandahar, Herat e in tutte le città e nelle campagne afgane. Gli studenti di Dio vanno già casa per casa a cercare i collaborazionisti, controllano anche ciò che la popolazione possiede. Se per caso trovano un telefonino per il proprietario è la fine, che sia uomo, donna o bambino.
Il dubbio sorge spontaneo: non sarà che questo improvvido ‘regalo’ al nemico non sia un atto voluto? Non dimentichiamo che l’Iran non è propriamente amica del regime di Kabul e non sarebbe strano pensare a un’azione di forza da parte di Teheran per espandersi in un’area ricchissima di metalli rari e pietre preziose, dando inoltre un colossale smacco al grande nemico occidentale. Ecco allora che armi e aerei da combattimento possono servire di contrasto sul fronte occidentale, mentre a sud il Pakistan starà a guardare, nel timore che anche il suo confine con l’Iran possa essere intaccato.
Procurarsi qualche decina di piloti e un numero sufficiente di istruttori non sarà certo un problema per i talebani, i quali per ora mostrano il volto umano, ma sono sempre i tagliagole di una volta: le esecuzioni sommarie non si contano ormai più e a quanto pare i cimiteri stanno già traboccando di cadaveri freschi. Molti sono di donne e di bambine, le più esposte all’odio bestiale di queste carogne. Le bambine, soprattutto, se un genitore si è macchiato di qualche reato (altrimenti se lo inventano!) vengono strappate alla famiglia e diventano il balocco sessuale di uno di loro, e se si ribellano il loro corpicino viene ritrovato in un fosso o nella polvere a lato di una strada.
Occorre anche osservare che gli accordi di Doha del febbraio dello scorso anno sono stati siglati da Trump ma erano addirittura stati preparati da Obama (che in un qualche modo doveva meritarsi quel Nobel per la Pace avuto sulla fiducia a inizio mandato!). I due precedenti presidenti americani, due fenomeni che possono a buon diritto definirsi complici di questa tragedia. Fonti imprecisate sostengono che in realtà questa fosse una trappola congegnata dal magnate americano: in caso un nuovo mandato alla Casa Bianca avrebbe semplicemente sconfessato l’accordo così come ha fatto per quelli di Kyoto e Parigi; in caso invece di sconfitta elettorale, come è stato, avrebbe messo in seria difficoltà il suo successore. E in effetti ciò si è verificato: Biden – che è probabimente vecchio e rincoglionito da non capire più nemmeno cosa gli suggeriscono i suoi consiglieri – aveva assicurato che non ci sarebbe stata una seconda Saigon, e invece ci è ricaduto coi piedi e gli stivali. I suoi alleati (noi e gli alti membri della NATO) hanno opposto una debole resistenza chiedendo che l’evacuazione potesse proseguire anche in settembre, ma la risposta di Pennsylvania Avenue 1600 è stata categorica. Nessun occidentale rimarrà oltre il 31 agosto. Gli inglesi al momento della pubblicazione di questo articolo avranno già abbandonato il campo. Tipico. Ricordo che a Beirut Ovest mentre noi occupavamo le tende nel campo profughi di Sabra all’ombra dell’enorme tumulo degli oltre mille morti palestinesi, illuminato di notte dai fuochi fatui, e i francesi presidiavano le macerie di Chatila, gli inglesi avevano piantato le loro tende al porto, sulla banchina di fianco alle loro navi, pronti ad impagliare il gufo alla prima avvisaglia di pericolo. Resteranno fino all’ultimo invece, non abbiamo dubbi, i nostri ragazzi della Folgore, gli incursori e le forze aeree italiane dispiegate laggiù, che siamo certi faranno il loro dovere fino in fondo, con la speranza di salvare più vite possibile, nonostante la tragica situazione degli aeroporti dove la gente continua a morire. Ma a Biden non importa. Lui si ostina a ripetere che gli americani non devono morire in Afghanistan. Certo che se poi muoiono migliaia di civili afgani a lui che importa? Anche il popolo americano, che in principio aveva accolto con un certo sollievo il disimpegno di decine di migliaia di soldati statunitensi da Kabul, una volta palesatasi l’immensità della tragedia e la falsità delle affermazioni del loro Comandante in capo gli hanno voltato in grande parte le spalle e il consenso di Biden sta precipitando come un F35 senza carburante. A che sono serviti gli oltre 2500 militari morti, tra cui i nostri 53 italiani, per non parlare dei 38.000 morti civili? Che senso ha il loro sacrificio di fronte alla codarda rappresentazione di un presidente affetto ormai, forse, da demenza senile, che si addormenta in televisione e racconta balle destinate a essere smentite il giorno successivo? Il presidente Biden dovrebbe essere processato dal tribunale dell’Aja per genocidio: non solo ha tradito un intero popolo, ma nonostante gli USA si ergano solitamente a polizia del Mondo e a peacekeeper nelle aree calde (se c’è qualcosa da mungere, sia ben chiaro) ha permesso e addirittura agevolato il ritorno di un regime oscurantista e medievale che insanguinerà per anni la regione.
Ma non è tutto: l’idiozia della cosiddetta ‘intelligence’ si è spinta ben oltre. Sono arrivati al punto di consegnare già da tempo ai talebani le liste delle persone che avrebbero dovuto lasciare il Paese in sicurezza: interpreti, collaboratori, informatori e tutta una pletora di persone con relative famiglie che non potevano permettersi di rimanere in Patria dopo il ritorno degli integralisti; con il bel risultato che adesso i talebani vanno casa per casa a cercare i loro ‘nemici’ a colpo sicuro. Non hanno nemmeno bisogno di chiedere informazioni o indirizzi! Se questa è l’intelligence beh, c’è una grossa contraddizione in termini!
Cosa accadrà nell’immediato futuro? Nulla. Massima indignazione, grandi discorsi di facciata e promesse di sanzioni che non serviranno a niente. La Merkel ha chiesto a Putin di fare da mediatore. A Putin! Si vede che il Parkinson se la sta mangiando: vi immaginate le grasse risate del buon Vladimir Vladimirovich? Lui che ai tempi ha vissuto, come tanti altri russi, l’incubo di un esercito senza mezzi di sostentamento che veniva decimato da un nemico invincibile a casa propria, in che veste potrebbe presentarsi a Baradar? “Salve, sono il nuovo negoziatore”. “Bene, ci mostra le sue credenziali per cortesia?” “Certamente: dieci anni di invasione del vostro Paese, in cui vi abbiamo procurato 2 milioni di morti e 5 milioni di profughi. I 38.000 morti che vi hanno causato gli americani sono roba da educande”. “Benissimo, si accomodi fuori grazie”.
Poi arriverà la Cina. Adesso è il suo turno e crediamo che non ripeterà gli stessi errori di chi l’ha preceduta. Farà dell’Afghanistan una provincia (autonoma s’intende, per non urtare la fierezza di quel popolo) come a suo tempo fece in Tibet e utilizzerà adeguatamente i mezzi che possiede per estrarre tutto ciò che potrà dal suolo afgano..
Gli americani pagheranno un po’ di più i metalli per i microchip e troveranno altre vie per il loro gas, i russi staranno a guardare e gli Europei se ne laveranno le mani, nello stile che gli è usuale. Il papa chiederà al Mondo intero di pregare ma non alzerà un dito e non spenderà un soldo in favore di quei poveretti.
Ma i Mujaheddin continueranno la loro lotta. C’è da sperare che qualcuno li aiuti, magari di nascosto, senza farlo sapere al buonista dello Stato a fianco.