La battaglia perfetta (parte 1 di 2)


Il 2 dicembre 1805 Napoleone compì il suo capolavoro. Quella mattina il “Sole di Austerlitz” illuminò la più strabiliante battaglia mai combattuta.
Il pezzo, per ragioni di copiosità, è stato spezzato in due parti. La prima viene pubblicata subito e si riferisce agli avvenimenti preparatori alla battaglia (ossia sino al 1 dicembre). La seconda parte, che racconta della battaglia del 2 dicembre, è in programmma su queste pagine domenica 29 agosto prossimo.

Pochi sanno che a due passi da Brno, in Moravia, una regione della Repubblica Ceca, vi è un fazzoletto di terra di soli 268 metri quadrati, di proprietà extraterritoriale francese. Su di esso sventola costantemente il tricolore transalpino, accompagnato dalle bandiere ceca, austriaca e russa. e al centro dell’area, su di un piedestallo di forma pressoché cubica. Sui fianchi, una stele in bronzo riporta il discorso che Napoleone Bonaparte tenne alle sue truppe il giorno della battaglia e sulla sommità del piedestallo un bassorilievo in bronzo raffigura un complesso scacchiere di contrapposte unità militari, con nomi e toponimi incisi e a rilievo. Al centro, accanto alla posizione del colle – il metallo reso lucido dallo strofinio di tante dita – una N maiuscola e una corona. A indicare che esattamente qui, su questa elevazione all’apparenza insignificante detta “tavola di Napoleone”, c’era il quartier generale francese all’alba della battaglia di Austerlitz, il 2 dicembre 1805, 11 frimaio dell’anno XIV per il calendario della Rivoluzione. Esattamente 12 mesi dopo che il piccolo Primo console corso era diventato imperatore di Francia.
È la collina di Žuráň, dove per quasi tutto il giorno Napoleone assistette allo svolgimento della battaglia, detta anche la Battaglia dei tre Imperatori, considerata il suo capolavoro. Nel primo anniversario della sua incoronazione a imperatore dei Francesi, sconfisse gli eserciti riuniti russo e austriaco – comandati dallo zar Alessandro e da Francesco II, imperatore del Sacro Romano Impero – con una apparente facilità che può sembrare miracolosa.
Napoleone non volle dividere con nessuno la gloria di quella giornata e non assegnò un titolo nobiliare apposito, come fece con quasi tutte le altre vittorie. Berthier fu principe di Wagram, Rivoli fu assegnata a Massena, e persino l’incerta giornata della Moscova venne attribuita a Ney, quasi a presagio del guaio che il maresciallo avrebbe provocato a Waterloo e che probabilmente contribuì a far perdere la Francia al piccolo grande corso.
Il nobile francese emigrato Langeron, che comandava una delle colonne nelle quali era organizzato l’esercito alleato, ha lasciato nelle sue memorie una spiegazione chiara e convincente delle ragioni del disastro: gli austro-russi erano un esercito di reclute comandato da generali inesperti della guerra che ne affrontava uno composto da veterani di decine di battaglie agli ordini di comandanti di provata esperienza. Le sue memorie, per chi volesse approfondire, sono edite da Sellerio con il titolo La battaglia di Austerlitz.
Alla vigilia della battaglia Napoleone non si trovava in una posizione favorevole, come sempre in svantaggio strategico dato che combatteva contro tutto il mondo. Le sue vittorie in battaglia alleviavano la situazione, ma non erano in grado di ribaltarla. Nell’inverno del 1805 l’imperatore poteva contare sul suo splendido e fedele esercito, ma si trovava a mille chilometri da Parigi e aveva di fronte forze nemiche superiori alle sue per numero e, almeno per quanto concerneva i russi, non ancora sconfitti. Inoltre c’era il pericolo che anche la Prussia dichiarasse guerra alla Francia: la sua regina non faceva mistero dell’antipatia che provava per la Rivoluzione e i suoi eredi, e l’imperatore russo era stato accolto a Berlino con grande calore, tanto da dedicargli la celebre Alexanderplatz.
In quel periodo si attendeva da un giorno all’altro lo sbarco sul continente di contingenti inglesi e svedesi: se gli alleati avessero saputo temporeggiare, risolvendo in qualche modo i giganteschi problemi logistici che li affliggevano, o avessero accettato una battaglia puramente difensiva la situazione francese si sarebbe fatta precaria.
Ma Napoleone era un genio. Nei giorni precedenti la battaglia riuscì a travestire la forza in debolezza, a ritirarsi quando non era necessario, a mostrare le truppe in un disordine fittizio, a fingersi irresoluto per indurre il nemico ad avanzare ed infine a offrirgli come ultima e decisiva esca il fianco destro in apparenza sguarnito, dietro il quale correva la strada che collegava i francesi a Vienna e rappresentava la loro principale linea di collegamento. Come vedremo, accettò persino di recitare la parte del timoroso e preoccupato di fronte all’arrogante principe Dolgorutkji, mandato dallo zar in risposta alla richiesta di un abboccamento avanzata anche quella per fingere di volere effettuare un estremo sforzo diplomatico per evitare la battaglia.


La strada che da Brno porta a Olmütz era di importanza strategica per le comunicazioni e la logistica, sia per i francesi sia per gli alleati. Non essendo in grado, per mancanza di forze, di proseguire verso Olmütz, Napoleone progettò di indurre gli avversari ad attaccarlo subito mediante un inganno: simulare di essere in difficoltà e di temere una battaglia. Dopo alcuni scontri di avanguardia sfavorevoli ai francesi, Napoleone decise di indietreggiare e di passare sulla difensiva per dare l’impressione agli alleati che il suo esercito fosse in condizioni di estrema debolezza, desideroso di trattare un armistizio per negoziare una pace; circa 53 000 soldati francesi – tra le quali le forze di Soult, Lannes e Murat – furono incaricati di prendere possesso di Austerlitz e della strada per Olmütz, per attirare l’attenzione del nemico. Le forze austro-russe, che contavano circa 89 000 uomini, sembravano essere in numero di gran lunga superiore e sarebbero state quindi tentate di attaccare un’armata francese in chiara inferiorità numerica. Tuttavia, i comandanti coalizzati non erano a conoscenza del fatto che i rinforzi di Bernadotte, Mortier e Davout si trovavano già a distanza utile e che avrebbero potuto essere richiamati a marce forzate da Iglau e Vienna rispettivamente, portando il numero potenziale delle forze francesi a 75 000 soldati, con conseguente sensibile riduzione della loro inferiorità numerica.
L’esca di Napoleone non si limitò a questo. Il 25 novembre, il generale Anne Jean Marie René Savary fu inviato al quartier generale alleato a Olmütz per consegnare un messaggio dell’imperatore, che esprimeva il suo desiderio di evitare una battaglia; sfruttando l’occasione, egli poté esaminare segretamente la situazione delle forze della coalizione. Come previsto dall’imperatore, questo atteggiamento apparentemente remissivo fu scambiato dai coalizzati per un chiaro segno di debolezza. Quando il 27, Francesco I offrì un armistizio, Napoleone espresse grande entusiasmo nell’accettarlo; lo stesso giorno, l’imperatore ordinò a Soult di abbandonare sia Austerlitz che l’altopiano del Pratzen e, nel farlo, di creare un’impressione di confusione durante il ritiro, allo scopo di far credere al nemico che le armate francesi fossero allo sbando e indurlo a occupare le alture senza ulteriore indugio. Il giorno successivo, 28 novembre, l’imperatore francese richiese un colloquio personale con Alessandro I e ricevette la visita dell’aiutante più impetuoso dello zar, il conte Dolgorutkij. Il generale Louis Alexandre Andrault de Langéron, come detto un émigré messosi al servizio dell’armata imperiale russa, scrisse a proposito di quest’incontro che: «Il principe, più abituato ai balli di San Pietroburgo che ai bivacchi, si sorprese quando vide uscire da un fosso, una piccola figura molto sporca e mal vestita, e gli dissero che era Napoleone, che lui ancora non conosceva». L’incontro faceva parte della trappola architettata da Napoleone, che manifestò volutamente in questa occasione la sua presunta ansia e le sue esitazioni, dando mostra inoltre di incertezze e timori. Dolgorukij comunicò le condizioni dello zar, in primo luogo l’abbandono da parte dei francesi della riva sinistra del Reno, e fece altre proposte inaccettabili; Napoleone infatti rifiutò, ma al suo ritorno al campo il principe dichiarò: «Napoleone tremava tutto dalla paura. Ho visto l’armata francese alla vigilia della propria sconfitta. La nostra sola avanguardia basterebbe a schiacciarli». Il conte riferì allo zar, ribadendo ulteriormente al sovrano la generale impressione di disfacimento del morale e della combattività delle truppe francesi.
La macchinazione ebbe successo. Molti degli ufficiali alleati, tra cui gli aiutanti dello zar e il capo di stato maggiore austriaco Franz von Weyrother, considerando con eccessivo ottimismo la situazione apparentemente favorevole, sostennero fortemente l’idea di attaccare subito i francesi senza attendere ulteriori rinforzi, facendo vacillare la più prudente opinione di Alessandro. Nonostante i perduranti dubbi e le resistenze del generale Kutuzov, il suo piano di ritirarsi fino alla regione dei Carpazi fu respinto e le forze alleate caddero nella trappola di Napoleone.
Al mattino, quando si trattò di combattere, tutto era già deciso. Napoleone aveva persino anticipato ciò che sarebbe successo in un proclama letto la sera precedente fra i bivacchi dei soldati «mentre loro marceranno per aggirare la mia destra, mi presenteranno il fianco». Come previsto, gli austro-russi avanzarono contro la destra francese scoprendo il proprio fianco dove furono attaccati e travolti dalle divisioni del maresciallo Soult; la guardia russa contrattaccò inutilmente e fu battuta anch’essa; lo sfondamento del centro austro-russo a poche ore dall’inizio della battaglia portò ad una delle più complete e gigantesche rotte della storia militare. Gli sconfitti si dettero alla fuga e l’intero esercito austro-russo si trasformò in una fiumana indistinta di fuggitivi che abbandonavano i cannoni, i fucili, i carriaggi e spesso persino le bandiere così presto che le perdite non furono pesanti in termini di morti e feriti come avvenne invece a Waterloo, dove la decisione non giunse che a pomeriggio inoltrato, dopo scontri feroci e sanguinosissimi.
La battaglia fu combattuta su tre fronti principali, separati ma strettamente correlati. Sul fronte meridionale l’ala sinistra russa affrontò la destra francese per l’attraversamento del fiume Goldbach. Al centro due divisioni del corpo d’armata di Soult investirono sul Pratzen la 4ª colonna coalizzata agli ordini del feldmaresciallo Johann Kollowrat e del generale Michail Andreevič Miloradovič . A nord, l’avanguardia russa di Bagration, il reggimento di ulani del granduca Konstantin Pavlovič Romanov e la cavalleria del principe del Liechtenstein si scontrarono con le forze di Lannes, Bernadotte e con la Guardia imperiale.
La battaglia ebbe luogo a circa dieci chilometri a sud-est di Brno, tra questa città e Austerlitz (l’odierna Slavkov u Brna) in quella che oggi è la Repubblica Ceca. La parte settentrionale del campo di battaglia è dominata dalla collina di Santon, alta 210 metri, e dai 270 metri di altezza della collina di Žuráň che sarà per la maggior parte della durata della battaglia sede del quartier generale di Napoleone; entrambe le alture si affacciano sulla strada di importanza strategica vitale tra Olomouc (Olmütz in tedesco e nella maggioranza delle fonti) e Brno (o Brünn), che correva su un asse est-ovest. A ovest di queste due colline sorge oggi come allora il villaggio di Bedřichovice, e tra le colline scorre verso sud il torrente Bosenitz (Roketnice) per incontrarsi quindi con il torrente Goldbach (Říčka); quest’ultimo scorre tra i villaggi di Kobylnice, Sokolnice e Telnice.


Il campo di battaglia di Austerlitz è un grande rettangolo di circa 120 km². Le strade da Olmütz e da Vienna per Brno lo delimitano a nord e a ovest rispettivamente. A sud degli stagni, certamente ghiacciati quel giorno, e dei campi paludosi chiudevano il campo di battaglia. L’altopiano di Pratzen, al centro, domina tutto il territorio elevandosi per 10-12 metri, ed è stretto tra i torrenti Littawa e Goldbach, che formano tra loro una “V”. Austerlitz si trova circa 5 km a est del Pratzen sulle rive della Littawa. La neve ancora poco spessa rendeva scivolosi i dislivelli. Napoleone studiò a lungo il campo di battaglia che aveva scelto e, durante uno dei suoi sopralluoghi, si rivolse ai suoi generali dichiarando: «Signori, esaminate con attenzione questo terreno, sta per diventare un campo di battaglia; ognuno di voi avrà un ruolo da svolgere su di esso. … Se volessi impedire al nemico di passare, è qui che mi piazzerei, sui rilievi (del Pratzen). Ma allora non otterrei che una normale battaglia… Se, invece, io sacrifico la mia destra ritirandola verso Brno e i Russi abbandonano queste alture per aggirarmi, fossero anche 300 000 uomini, essi verranno colti in flagranza di reato e perduti senza speranze…»
La spinta sul Pratzen sarebbe stata condotta da 17 000 soldati del IV Corpo di Soult. Il terreno dove il IV Corpo si era posizionato era ammantato da una fitta nebbia durante la fase iniziale della battaglia; la buona riuscita del piano di Napoleone dipendeva dalla persistenza della nebbia: le truppe, infatti, sarebbero state scoperte prematuramente se la nebbia si fosse dissipata troppo presto mentre, se si fosse alzata troppo tardi, sarebbe stato impossibile determinare quando le truppe nemiche avrebbero lasciato il Pratzen, impedendogli di sincronizzare correttamente l’offensiva.
Nel frattempo, per sostenere il suo debole fianco destro, il 30 novembre l’imperatore ordinò al III Corpo di Davout di lasciare Vienna e raggiungerlo a marce forzate e di unirsi agli uomini del generale Claude Juste Alexandre Legrand, che dovevano tenere l’estremo fianco meridionale dell’armata e sopportare l’urto principale dell’attacco coalizzato: Davout aveva dunque 48 ore per coprire oltre 110 chilometri e il suo arrivo tempestivo era fondamentale nel determinare il successo del piano francese. Infatti, la disposizione di Napoleone sul fianco destro era molto rischiosa, in quanto i francesi avevano solo un velo di truppe a presidiarlo. Tuttavia, secondo Napoleone il rischio era calcolato perché Davout era uno dei suoi migliori marescialli, la posizione del fianco destro era protetta da un complicato sistema di corsi d’acqua e stagni e, infine, i francesi avevano già disposto una linea secondaria di ritirata attraverso Brno. Il 1° Corpo del generale Jean-Baptiste Jules Bernadotte fu posizionato dietro il Santon, mentre i granatieri del generale Nicolas Charles Oudinot e la Guardia Imperiale sarebbero rimasti di riserva, pronti a sostenere il fianco meridionale in caso di necessità e partecipare alla presa del Pratzen aggirando il nemico. Il V Corpo del generale Lannes, contrapposto alle truppe russe di Bagration, avrebbe presidiato il settore settentrionale del campo di battaglia, dove si trovava il Santon e la nuova linea di comunicazione verso Brno; la cavalleria di Murat, alla sua destra, avrebbe mantenuto il collegamento tra il V Corpo e Soult.
Entro la mattina del 1º dicembre 1805 l’esercito austro-russo, imitato da quello francese, si era spostato verso sud, esattamente come previsto da Napoleone: durante il pomeriggio della stessa giornata, mentre le due armate si riposavano presso i loro bivacchi, Napoleone con alcuni ufficiali e venti combattenti della Guardia fece un rapido giro di perlustrazione tra le due linee, quindi salì sulla collina di Santon per poi ritornare al suo bivacco dietro la collina di Žuráň. Era quasi buio, ma fu in grado di distinguere le linee del nemico che dal Pratzen si allungavano a sud, verso i laghi di Aujezt, indicandogli chiaramente che intendevano aggirare i francesi sulla loro destra. Da quel momento l’imperatore fu sicuro che il nemico si stesse comportando secondo i suoi piani e pare che, esultante, esclamò: “È una mossa vergognosa! Cadono nella trappola! Si consegnano! Prima di domani sera, questa armata sarà mia!»
L’unica residua ansietà era rappresentata dalla perdurante assenza di Davout, ma egli era fiducioso del suo prossimo arrivo anche perché lo aveva raggiunto la notizia che la prima avanguardia del maresciallo si trovava già a poche miglia dal Goldbach.

(Il pezzo continua, con il diario della battaglia del 2 dicembre, nella prossima uscita di WeeklyMagazine in programma domenica 29 agosto prossimo)