La letteratura dei “rastrellatori di letame” (2a parte)


Come raccontato nella parte precedente, il libro fantascientifico di Edward Bellamy, “Looking Backward 2000-1887” (Guardando Indietro 2000-1887), uscito proprio nel 1887, riscosse un successo così straordinario, da far sorgere, negli USA, centinaia di clubs “nazionalisti”, il cui scopo era la statalizzazione delle industrie e delle risorse naturali.
William Dean Howells, aggiunse, al sogno di Bellamy, un’altra fantasia letteraria, con il romanzo, inizialmente a puntate, “A Traveller from Altruria” (Un viaggiatore da Altruria), dove il protagonista, un certo Homos, mette in risalto le ineguaglianze della vita americana con la società ideale di Altruria.
La critica alle distinzioni sociali, intrapresa dalla cosiddetta “letteratura di protesta”, esplose, nel 1890, con la pubblicazione del libro di Jacob Riis “How the Order Half Lives” (Come Vive l’Altra Metà). Riis era un immigrante danese, deluso, nell’aspettativa, dalla falsa magnificenza della decantata democrazia d’oltreoceano. Come giornalista di cronaca nera, presso il quotidiano newyorkese “Sun”, era venuto a conoscenza di aspetti di vita, non certamente familiari all’americano medio. Il romanzo raccontava, in forma molto semplice ed aneddotica, storie di tuguri della Grande Mela, di malattie, delitti e vizio, che fiorivano tra quelle mura ammuffite, storie sull’avidità degli affittacamere e sulla brutalità della polizia. Le sue rivelazioni suscitarono la stessa offesa e lo stesso stupore emersi dalle rivelazioni esistenti tra i fittavoli del Sud, avvenute intorno al 1930. Così come, altri scritti dello stesso Riis, di Jane Addams, di Lilian Wald e di Mary Antin, fecero seguito a questo attacco iniziale, aprendo la via alle riforme edilizie del seguente decennio.
Dal carattere molto simile, era il volume di John Spargo, “The Bitter Cry of Children” (Il Pianto Amaro dei Bambini), che descriveva, con particolari impressionanti, l’estensione e le condizioni del lavoro infantile. E così “Following the Color Line” (Seguendo la Linea del Colore), di Ray S. Baker, che rivelava la persistenza dello sfruttamento dei neri, sia nell’agricoltura che nelle industrie. “Daughters of the Poor” (Figlie dei Poveri), di George Kibbe Turner, bollava, senza reticenze, le relazioni esistenti tra la politica ed il traffico delle bianche.
La denuncia delle malefatte delle società per azioni e della corruzione degli ambienti politici, fu il tratto più caratteristico dell’azione svolta dai riformatori. Le pagine scritte sull’argomento furono innumerevoli. Già nel 1894, Henry Demarest Lloyd aveva lanciato, con il volume “Wealth Agaist Commonwealth” (Ricchezza Contro il Benessere Comune), un attacco di grandi proporzioni alla famosa compagnia petrolifera Standard Oil (fondata nel 1870 dalla famiglia Rockefeller). Dieci anni più tardi, Ida Tarbell tornò alla carica, con un dettagliato dossier, dal titolo “History of the Standard Oil Company”, in cui analizzava, con logica inflessibile, i metodi usati dalla società, dissolta poi dalla Corte Suprema nel 1911, per accaparrarsi le risorse naturali e per acquistare favori legislativi.
Nello spazio di pochi anni, testi di questo tipo apparvero a dozzine. “The Greatest Trust in the World” (La Più Grande Fiducia nel Mondo), un attacco di Charles Edward Russell contro il trust delle carni bovine; “Story of Life Insurance” (Storia dell’Assicurazione sulla Vita), di Burton J. Hendrick, contribuì fortemente a far sorgere, nel pubblico, la richiesta di una definitiva regolamentazione del sistema assicurativo statunitense; “History of Great American Fortunes” (Storia delle Grandi Fortune Americane), di Gustavus Myers, che tracciò il percorso, dall’età coloniale al XX Secolo, dei grandi gruppi economici, con una forte conclusione sull’assioma dell’origine piratesca di gran parte di essi.
Altrettanto violente furono le rivelazioni pubblicate sulla corruzione politica e sull’alleanza tra politica ed affari. Le più infuocate vennero divulgate, attraverso una lunga serie di articoli, sulle sregolate amministrazioni municipali che, Lincoln Steffens, il più accanito dei “rastrellatori di letame”, riunì in una “raccolta”, intitolata “Shame of the Cities” (Vergogna delle Città). Studiando a fondo, una dopo l’altra, le grandi metropoli americane e classificando, con definizioni scritte, “Filadelfia, corrotta e soddisfatta”, “Pittsburgh, la città vergognosa”, “La vergogna di Minneapolis”, “La svergognatezza di St. Louis”, “Ohio e la storia di due città”, Steffens scoprì, ovunque, condizioni notevolmente simili, regolate da una “specie di legge” delle amministrazioni municipali. Il privilegio, secondo le sue conclusioni, dominava la politica; la giustizia e la morale ne erano escluse. Ma analizzando le condizioni del Colorado, ad esempio, il giudice Ben Lindsey trovò che le stesse regole comportamentali e, soprattutto, procedurali, venivano applicate anche nell’amministrazione dei vari stati. Nel suo “The Beast” (La Bestia), narrò, con trascinante fervore, la realtà del predominio delle imprese affaristiche nello stato.
Quindi, ovviamente, la politica nazionale non restò immune dagli strumenti taglienti dei “rastrellatori”. Lo scrittore David Graham Phillips, in “The Treason of the Senate” (Il Tradimento del Senato), chiamò in causa tutti quei senatori, che si sentivano vincolati ai loro “padroni” finanziari, tradendo così i loro elettori. Chauncey Depew, eletto nello Stato di New York, Nelson W. Aldrich nel Rhode Island, Arthur P. Gorman nel Maryland, Lysander Spooner nel Wisconsin, Henry Cabot Lodge nel Massachusett, Stephen Benton Elkins nel West Virginia, ed altri del medesimo stampo, vennero messi alla gogna.
Tornando ai nostri scrittori, questi ebbero una parte importantissima, come si può ben capire, nella crociata dei “rastrellatori del letame”. Mai nella storia, la letteratura americana si era occupata, così intelligentemente e caparbiamente, dei problemi sociali, né mai aveva contribuito a renderne tanto popolare la comprensione. I loro libri facevano a gara con gli articoli dei giornali. Per ogni volume di analisi sociologica, ne usciva, in contemporanea, uno di narrativa. “Maggie: a Girl of the Streets” (Maggie: una ragazza di strada), di Stephen Crane, fece da complemento a “How the Other Half Lives”, di Riis. E così, “The Financier” (Il Finanziatore) e “The Titan” (Il Titano), di Theodore Dreiser, resero più facile la lettura di “Frenzief Finance” (Finanza Frenetica). La descrizione della speculazione sul grano, fatta da Frank Norris in “The Pit” (Il Pozzo), chiarì molte delle ragioni della protesta agraria. Si poteva gustare il medesimo concetto morale, espresso in “Wealth Agaist Commonwealth”, leggendo anche “A Certain Rich Man” (Un Certo Uomo ricco), di William Allen White. E la storia della corruzione parlamentare, non fu mai narrata meglio che in “Ciniston” o in “Mr. Crewe’s Career” (La Carriera del Signor Crewe), due opere di un “romanziere d’eccezione”, Winston Churchill.
Molti critici definirono, unanimemente, questa letteratura di protesta, una [lett.] “relazione di minoranza dei narratori”. Ma, notandone l’ampiezza, la profondità introspettiva e calcolando l’influenza che essa riuscì ad avere sull’opinione pubblica mondiale, sarebbe forse più corretto concludere che si trattò, al contrario, di una “relazione di maggioranza”.