Disastro Afghanistan: tutto da rifare. Feroci vendette su donne e bambine


Tutto da rifare in Afghanistan. O meglio, nulla di fatto nella terra dei talebani e a nulla sono valsi venti anni di sforzi dei paesi occidentali per, diciamo così, liberare il paese e il mondo da uno dei focolai del fondamentalismo islamico.

Queste, in estrema sintesi, i dati e le cifre salienti dell’insuccesso della politica estera che ci ha visto coinvolti:

– 7 ottobre 2001: inizio dell’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA e di una coalizione di paesi alleati nel quadro dell’operazione “Enduring Freedom” (NDR: da sottolineare che la traduzione letterale è “libertà duratura”, altisonante locuzione che gli eventi di questi giorni hanno ridicolizzato), scattata per annientare i talebani in quanto responsabili dell’attentato alle torri gemelle avvenuto a New York (USA) in data 11 settembre 2001 e catturare, o eliminare come poi è avvenuto, il loro capo Osama Bin Laden.
– 8 Paesi partecipanti (USA; Gran Bretagna; Italia; Francia; Germania; Canada; Australia; Polonia). Svariate altre nazioni hanno però contribuito a diverso titolo, in special modo il Pakistan, fornendo soprattutto basi logistiche e fonti di intelligence (Albania, Belgio, Croazia, Danimarca, Irlanda, Lituania, Norvegia, Nuova Zelanda, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia. Fra i paesi islamici hanno fornito una diretta collaborazione: il Bahrein e la Giordania, l’Uzbekistan ha fornito le basi logistiche).
– 3.232 morti (tra cui 53 italiani) tra le truppe delle nazioni della coalizione a cui si aggiungono altri 196 decessi avvenuti nell’ambito della missione enduring freedom anche se fuori dal territorio afghano.
– 26.000 feriti a titolo più o meno grave tra le fila della coalizione (tra cui 561 italiani);
– 1 trilione di dollari (ossia un miliardo di miliardi, cioè 1 000 000 000 000 000 000 di dollari, un mucchio di soldi che si fa fatica pure a immaginare) spesi dagli USA. Gli italiani hanno speso “solo” 8,7 miliardi di euro (dei quali ben 840 milioni relativi a contributi diretti alle Forze armate afghane).
– 28 Dicembre 2014: il presidente Barack Obama annunciava la fine dell’operazione Enduring Freedom in Afghanistan (tuttavia l’impegno militare in Afghanistan è continuato e la missione, attualmente ancora in essere, è stata chiamata Operation Freedom’s Sentinel).

Questi numeri, pur nella loro sintetica freddezza, ma il pensiero va soprattutto alle tante vittime, danno l’idea dell’inutile enorme sforzo che l’Occidente ha profuso nel vano tentativo di importare a forza il suo modello culturale in un paese che non lo ha mai voluto veramente e dove non ci sono, e non sono mai state create, le condizioni per un duraturo cambio di mentalità una volta che le forze della coalizione fossero andate via.

Come spesso accade l’errore di fondo da parte della politica occidentale è stato di partire dal presupposto che il nostro modello socio politico economico sia il migliore in assoluto, ossia quello più desiderabile alla scala planetaria e quindi importabile ovunque. Insomma forse si ha la presunzione che i popoli della Terra non attendono altro che l’arrivo dei nostri militari, un po’ come furono attese le forze alleate da un parte degli italiani dopo il famoso 8 settembre.

Al di là di ogni considerazione personale se sia meglio la cultura araba o quella occidentale (è chiaro che tra noi occidentali si ha gioco facile a propagandare il nostro modello culturale come quello più eticamente accettabile, specie se si vogliono giustificare agli occhi della opinione pubblica nostrana operazioni di postcolonialismo come quelle condotte da decenni in medio oriente) l’errore è stato pensare che anche senza un vero percorso di fisiologica evoluzione democratica come quello compiuto dai paesi europei e dall’Italia nel corso di centinaia di anni (dobbiamo pensare alla rivoluzione culturale del rinascimento, all’illuminismo, passando per il risorgimento e altre bazzecole del genere) e senza lo sviluppo delle necessarie condizioni culturali di base perché certi modelli di vita attecchiscano e vivano autonomamente senza essere imposti artificiosamente da forze estranee al tessuto culturale del paese, sarebbe bastato semplicemente la presenza per qualche anno di alcune migliaia di militari tra le montagne afghane e installare qualche parabola nelle cittadine rurali perché la società afghana si convertisse per sempre a modelli di vita occidentali.

Chiaramente la realtà dimostra che non è così e non appena l’Occidente, che aveva squilibrato la società afghana con la sua presenza militare, ha fatto un passo indietro gli afghani sono ritornati pressoché al vecchio equilibrio sociale.

È come tenere una pallina lungo le pareti di una ciotola: non appena la si lascia, se non si agisce strutturalmente sulla forma della scodella, la pallina ricasca inevitabilmente nel fondo.

Per quanto attinente invece la “dimensione militare” della missione enduring freedom e quale siano le ragioni oggettive per spiegare il suo sostanziale insuccesso nello sbaragliare definitivamente i talebani, oggettivamente è difficile dirlo ma, probabilmente, ha pesato anche una non identitaria veduta tra i comandi militari dei vari paesi che si sono alternati alla guida.

Indiscrezioni da parte di chi ha partecipato ai più alti livelli di comando raccontano infatti che alle impostazioni militari più concrete e risolute di paesi come gli USA e la Gran Bretagna, si alternavano indirizzi meno incisivi quando la guida era affidata a comandi provenienti da paesi come l’Italia.

Queste indiscrezioni che oggi trapelano da alti Ufficiali che nel pieno della missione enduring freedom erano in posti chiave, sembrano lo specchio di una nazione come la nostra sempre in bilico tra il vorrei ma non posso e, in definitiva, sempre rallentata dal dover dare conto a un’opinione pubblica bigotta e mai benevola verso le operazioni militari all’estero (siamo noti per una sorta di storica ipocrisia di intervenire ma non troppo, di occupare senza sembrare troppo “militari”, arrivando addirittura a definire le pallottole adottate dai nostri esercito come “umanitarie” …!), senza rendersi conto che la presenza di truppe straniere è sempre percepita come una occupazione bella e buona del proprio paese da parte delle popolazioni che la subiscono per cui capitalizzare i successi militari quando c’erano le condizioni favorevoli, forse avrebbe pagato di più che non avere avuto il coraggio di andare fino in fondo.

Il cambio di presidenza USA, passata da Trump a Biden, e la decisione del progressivo ritiro delle forze statunitensi si pensa abbia poi concorso – e in modo determinante – al precipitare della situazione in un paese che ancora non era stato davvero socio riformato, lasciandolo allo sbando e riconsegnandolo nelle mani degli studenti di Allah.

Ma, sia come sia, mentre qui facciamo filosofia e ci chiediamo accademicamente come mai gli ultimi venti anni sono sono stati un sostanziale fallimento militare e politico, i talebani si sono ricompattati e ora avanzano inarrestabili riprendendo il completo controllo delle zone rurali, mai davvero completamente fuori dalla loro influenza, e delle grandi città. Stando alle drammatiche notizie di ieri (NDR: sabato 14 agosto), gli studenti di Allah sono orami a soli 10 km dalla capitale Kabul e gli occidentali non possono fare altro che consigliare ai connazionali di abbandonare la nave che affonda ma per gli afghani, per chi di loro è stato indotto a credere in un futuro “alla occidentale”, non c’è alcuna possibilità di fuga.

Ora è lecito attendersi una lunga scia di sangue e di vendette, coi talebani che “rieducheranno” per benino la popolazione e si scateneranno nei confronti di quella parte del popolo afghano (in particolare contro la minoranza hazara, del resto le dichiarazioni dei fondamentalisti in tal senso sono inequivocabili) che a qualunque titolo aveva simpatizzato con gli occidentali. E, orrore nell’orrore, le più colpite saranno le donne, soprattutto le giovani adolescenti. Parliamo di bambine anche di appena 12 anni che diventeranno bottino di guerra e trastulli sessuali per i guerrieri musulmani. Pare che i diligenti studenti di Allah stiano compilando accurate liste di nomi di fanciulle e donne nubili, o anche donne sposate ma rimaste comunque single perché ripudiate, per procedere a un loro meticoloso rastrellamento una volta che si saranno pienamente insediati nelle grandi città. Soprattutto per queste donne, che non possono più sperare aiuto da parte di nessuno, e tantomeno dell’occidente, si stanno aprendo le porte dell’inferno.

La storia di passati insuccessi (NDR: il Vietnam, il Sahel, è più recentemente la Libia, tanto per citarne alcuni…) non ha insegnato nulla e la dura lezione che l’Afghanistan ci ricorda, in definitiva, è che la democrazia non si può esportare e tantomeno imporre.

Taliban militants from a group led by Mullah Manan Niazi that has itself joined Mullah Rasool’s splinter group ‘The High Council of Islamic Emirate of Afghanistan’ which split from the Taliban after the death of Mullah Omar.