
Il Real Africano: un’avventura tra due continenti
La complessa e avventurosa storia del reggimento haitiano che combatté in Russia per l’Imperatore.
Lo scampolo di storia che leggerete in queste righe prende le mosse nel 1801, quando Napoleone Bonaparte, tra i tanti problemi da risolvere nella veste di Primo Console, si trova tra le mani l’affaire caribbean e decide di trovargli una soluzione definitiva. L’isola di Santo Domingo, alias Haiti, era allora una colonia suddivisa tra le dominazioni spagnola e francese. La parte legata alla Francia riforniva la Patrie di zucchero, cacao e spezie.
Il prologo della vicenda si apre proprio sulle varie rivolte grazie alle quali i dominicani stavano per sfuggire al controllo francese, sotto la guida del carismatico generale haitiano Toussaint Louverture. Dal 1791 l’isola era infatti al centro di uno scontro geopolitico di vaste proporzioni. Divisa tra francesi e spagnoli, su di essa gravavano da sempre anche le mire dell’Impero Britannico, desideroso di avere un’altra base portuale e commerciale nei Caraibi. Sebbene la schiavitù fosse allora una delle leve del potere europeo in quelle terre, l’isola aveva visto nascere in quegli anni una rivolta degli schiavi che nulla aveva da invidiare a quella di Spartaco contro Roma o a quella, ben più duratura, degli Zanj sotto gli Abbasidi. Nell’anno 1800, mentre Napoleone sbaragliava gli austriaci a Marengo, dopo alterne vicende, battaglie e incursioni della Royal Navy (che perderà migliaia di uomini), finalmente indigeni, creoli e coloni rimettono Santo Domingo sotto l’egida francese. Ma il creolo Toussaint Louverture non vuole concedere troppo spazio alla “madrepatria”: il 7 luglio 1801 si autoproclama governatore a vita, fa votare una Costituzione e rende Santo Domingo semi-indipendente dalla Francia. Di fatto la sua politica è prudente, ma ciò non basta a tranquillizzare il Primo Console, che per tutta risposta, con la sua nota risolutezza, organizza una poderosa spedizione militare sotto il comando dell’amico e marito della sorella Paolina, il generale Charles Leclerc: l’obiettivo è riportare definitivamente Santo Domingo sotto il saldo controllo francese, e ripristinare, almeno in parte o sotto altre forme, la schiavitù.
La spedizione approda sull’isola nel febbraio 1802, e Lecrec deve subito far fronte ad un’accanita resistenza. Gli haitiani si difendono bene, evitano battaglie campali, fanno imboscate e sperano che la febbre gialla si porti via alla svelta le truppe venute dall’Europa. Ma Leclerc è un generale duro, forgiato dalle campagne rivoluzionarie, e i suoi uomini non sono da meno: la maggior parte della forza, infatti, (tanto per rimanere in tema di stranezze storiche), è composta da volontari polacchi, arruolatisi per spingere Napoleone a muovere guerra allo Zar e liberare il loro paese.
Dopo diversi mesi di scontri furibondi, dove i polacchi dimostrano tutto il loro valore, la resistenza haitiana è piegata, il capo Toussaint Louverture è tradotto in Francia e l’ordine è ristabilito. Ma la spedizione non è un completo successo: più della metà degli uomini è morta di malattia, l’isola rimane preda di una tensione politica e sociale che la porterà a proclamare l’indipendenza di lì a poco e Napoleone perde l’amico e cognato Leclerc, che muore di febbre gialla a novembre di quello stesso anno.
Ma è proprio a questo punto che la nostra storia ha inizio. L’anno successivo Napoleone riceve una lettera riservata personale da parte delle autorità portuali di Brest, la quale lo informa che sulle fregate di ritorno da Santo Domingo ci sono 1500 uomini di colore, irreggimentati in un corpo chiamato Pionniers Noirs. Tra gli uomini c’è di tutto: soldati veterani che servono la Francia da prima della Rivoluzione, nuovi haitiani collaborazionisti, ex-partigiani di Louverture, come pure soldati caraibici disertori dagli eserciti spagnolo e inglese. Arruolati a Santo Domingo per sopperire alla mancanza di rincalzi, i Pionniers Noirs sono stati trasportati in Francia perché odiati dalla popolazione locale. Ma neanche nella madrepatria le cose sono facili. Per quanto la schiavitù è abolita e l’aria di repubblicanesimo e diritti universali si può respirare ancora ovunque, stiamo sempre parlando del 1803, e i francesi sono piuttosto sospettosi di quei “mori” in divisa.
Napoleone in un primo momento vorrebbe disfarsene o spedirli in altre colonie, ma generale Vandermaësen, in una relazione scritta per conto del Ministro Marittimo Caffarelli, spende parole di lode: “Questo battaglione è superbo: sono tutti uomini alti come granatieri (…). Sono già stati addestrati e irreggimentati nelle colonie (…). Sono paragonabili ai nostri soldati veterani”. Insomma, i Pionniers Noirs sanno combattere, e pure bene: perché non approfittarne? Razzismo o no, la Grande Armée ha continuo bisogno di uomini. Così gli Haitiani qualche mese dopo sono irreggimentati nel Bataillon des Pionniers Noirs e spediti a Mantova sotto il comando del più famoso ufficiale di colore bonapartista, il cubano Joseph Damingue, detto Hercule, noto per il suo eroismo e la sua prestanza fisica, icona vivente delle cariche della Battaglia di Abukir, durante la campagna d’Egitto. Da quel momento in poi il raggruppamento raccoglie tutti i soldati di colore che le autorità napoleoniche riescono a procurare, dai sud-americani delle colonie spagnole e inglesi, ai mamelucchi, fino agli ex-pirati barbareschi: tutti coloro che non sono di pelle bianca e sono in età per la guerra, vengono arruolati. E il “battaglione di colore” combatte, in Italia sopratutto, distinguendosi in Friuli e in Veneto contro gli austriaci (i quali pensano, sbagliando, che Napoleone sia ormai ridotto male se deve adoperare truppe di quel genere).
Detto per inciso, taluni commentatori vedono in questo battaglione ‘esotico’ il germe dell’idea che fece poi nascere, molti anni dopo, nel 1831, la leggendaria Légion Étrangére per volere di Luigi Filippo.
Con decreto imperiale del 1806, poi, i Pionniers Noirs passarono al reame di Napoli di Giuseppe Bonaparte, cambiando nome in Reggimento Real Africano e trasformandosi in fanteria di linea. Ma le perdite in tutti quei trascorsi erano state parecchie e bisognava trovare altri rincalzi. Anche in questo frangente si cercarono ovunque uomini di colore, e nelle file del reggimento affluirono egiziani, tunisini, algerini, levantini, libici e marocchini: un crogiolo etnico da far invidia al più multietnico tra gli stati odierni.
Sotto re Giuseppe il Real Africano acquisì una notevole fama: chiamati “mori” dai napoletani, alcuni si sposarono e presero casa in quella regione, combatterono assai sovente: dall’assedio di Gaeta del 1806, all’attività anti-brigantaggio condotta in Calabria e in Abruzzo, fino alla conquista di Capri. Vennero anche impiegati contro il brigante-guerrigliero realista Fra Diavolo (al secolo Michele Pezza), espressamente richiesti dal generale Joseph Hugo (padre di Victor), per loro bravura nella contro-guerriglia montana. Le truppe sono talmente fedeli all’Imperatore, che protestano vivamente quando nel 1810 ricevono la bandiera imperiale senza aquila dorata: concessione che, per intervento stesso di Hercule Damingue, alla fine avranno.
Ma quando sul trono di Napoli fu insediato il generale Gioacchino Murat toccò ripartire in guerra: la Campagna di Russia stava per iniziare. Al comando del Real Africano viene messo un altro “meticcio” (ma questa volta europeo), Francesco Macdonald, nato tra le mura della fortezza borbonica di Pescara, ma figlio di un mercenario scozzese.
L’armata napoletana venne destinata nella retroguardia della Grande Armée, e a Ottobre del 1812 occupò Kovno (oggi Kaunas), in Lituania. In quei giorni a Kovno si potevano incontrare diversi soldati di colore, stazza da granatiere e in divisa napoletana, che parlavano mezzo francese, mezzo haitiano, mezzo napoletano. A comandarli c’era proprio lui: Francesco Macdonald, un po’ italiano, un po’ scozzese, un po’ francese, che amava il brodo di pesce e parlava con un pesante accento pescarese.
Le sue azioni coprirono valorosamente la ritirata dell’armata principale, subendo gravi perdite. Un centinaio di uomini (principalmente nord-africani), non adatti al freddo, venne rispedito a Napoli, ma il resto resistette e combatté valorosamente. Poi, nel 1813, il Real Africano fu spezzato in due: una parte partecipa alle battaglie di Eissdorf, Bautzen, Lutzen; l’altra è inviata in difesa di Danzica, sotto l’energico generale Jean Rapp. I “mori” del Real combatterono tenacemente su tutti i fronti, resistendo alla penuria di cibo, munizioni e al freddo implacabile. Ebbero perdite pesantissime, ma l’eroismo dei soldati viene premiato da Napoleone in persona, che durante l’armistizio di Pleiswitz, concede l’ambita Legion d’Onore a Francesco Macdonald.
Nel 1814, con Napoleone all’Elba e il “tradimento” di Murat, ciò che rimaneva dell’armata napoletana venne completamente rimpatriato. Le perdite erano state altissime, e degli originari haitiani, nord africani e levantini, non rimaneva che un centinaio di uomini, tanto da non sembrare più nemmeno un corpo “di colore”. Il reggimento verrà ricostruito, ma con soli napoletani. La breve parentesi conclusasi a Waterloo non fece a tempo a vederlo impegnato, sebbene siamo certi che tutti avrebbero risposto più che prontamente alla chiamata del loro Imperatore.
L’epopea degli haitiani che, partiti dall’altra parte del mondo, arrivarono a combattere fino in Russia, finisce così, e non si sa nulla, purtroppo, di quei pochi reduci sopravvissuti. Forse qualcuno sarà rimasto a Napoli o sarà tornato nella Francia della Restaurazione. La storia, in ogni caso. si dimenticò presto di loro: la storia dell’Europa di fine ottocento aveva altro razzismo da dispensare.
Fonti:
• L. S. Cristini, L’esercito del Regno di Napoli (1806-1815), vol. 1: La fanteria.
• P. Calà Ulloa, Intorno Alla Storia del Reame Di Napoli.
• V. Ilari, P. Crociani, G. Boeri, Storia militare del Regno Murattiano (1806-1815).
• C. Decaen, Memoires Et Journaux Du General Decaen.
• http://zweilawyer.com
• Wikipedia.it