PsicologicaMente – L’Accettazione, il primo passo per vivere serenamente


“Concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio per cambiare quelle che posso e la saggezza per riconoscerne la differenza.” (San Francesco)

Cari lettori, per il nostro incontro settimanale mi sono lasciato ispirare da una citazione di San Francesco, che sopra riporto, per affrontare un argomento che mi è assai caro, non solo perché è assai ricorrente ma anche perché lo considero la chiave di volta per avere una vita serena: l’accettazione.
Partiamo col dire che abbiamo a che fare con uno dei temi centrali nel percorso terapeutico, infatti, tutte le correnti di pensiero propongono tecniche e strategie che puntano all’accettazione, dalla psicoanalisi alla psicologia individuale, fino alla più recente Terapia Dialettico Comportamentale (un approccio cognitivo comportamentale).
La parola “accettazione” indica un processo che dovrebbe condurre ad accettare sé stessi, vissuti interiori, situazioni, persone, azioni altrui ed ogni evento della vita così come ci viene incontro, un accoglimento quindi incondizionato, la cui finalità è la riduzione della sofferenza e, di conseguenza, il vero cambiamento.
Ma, attenzione, perché accettare di certo non può significare approvare un’ingiustizia o un’azione lesiva, indica semmai la possibilità di perseguire il proprio benessere nonostante le esperienze avverse che ci capitano.
Partiamo da un dato di fatto: è assai faticoso combattere la realtà e spesso non è neanche funzionale. Purtroppo o per fortuna la realtà non sempre può cambiare e nella gran parte dei casi, se ci ostiniamo ad osteggiarla ci ritroviamo a perdere inutilmente tempo ed energie ma soprattutto ad accumulare delusioni, dolore e tanto stress.
Certo, è vero anche che accettare la realtà è difficile quando la vita ci porta a soffrire, nessuno gioisce difronte ad un fallimento, una perdita, una delusione, una paura.
Tuttavia sono tutte esperienze che fanno parte della vita e che possono arricchirci se ben affrontate. Non accettare ciò che in qualche modo ci turba significa fuggire le emozioni e questo è il primo passo per giungere a stati depressivi, senza considerare che, evitare ed alienare sentimenti di tristezza e dolore, certamente andrà ad inficiare anche la capacità di provare gioia.
Accettare ed accettarci è un passo indispensabile per promuovere il cambiamento ed ogni possibile miglioramento.
Pensiamo ad un figlio che fugge l’idea di non essere mai stato amato dai genitori, è chiaro che così facendo non potrà mai curare le ferite che porta con sé. Ancora, possiamo fare il caso di una persona che incolpa abitualmente gli altri per i suoi fallimenti, senza mai riconoscere ed accettare i propri limiti, ovvio che è destinata a continuare a fallire.
Chi non riesce a mettere in atto l’accettazione tende a percepire continuamente delle conferme fasulle delle sue credenze e si allontana sempre di più dalla verità. In effetti, rifiutare la realtà la rende ai nostri occhi viziata e ci sottrae quella lucidità utile a distinguere l’autentico da ciò che invece nasce dai nostri vissuti interiori.
Accettare non significa assolvere oppure essere d’accordo, è qualcosa che va oltre. E’ un profondo rispetto della vita e delle sua dinamiche, e non importa a nessuno se noi siamo d’accordo o meno con esse, le vicende del mondo si svolgono a prescindere dai nostri desiderata. Così come non essere d’ accordo con i propri difetti non ci risparmia dall’averli.
Accettare non significa nemmeno rinunciare a combattere dove è utile farlo o per le nostre idee ed obiettivi.
E’ un segno positivo battagliare per cambiare le cose fuori e dentro di noi, ma la battaglia si deve ingaggiare quando c’è la consapevolezza di come stanno realmente le cose ed a prescindere dal buon esito.
Accettare non può nemmeno significare perdere la volontà di portare avanti i propri progetti o eludere le proprie responsabilità. Ognuno di noi deve attivarsi affinché possa vivere una buona vita, tenendo sempre in conto che i nostri sforzi potrebbero in ogni caso non essere ripagati e questo perché noi abbiamo solo una parte di incidenza nel determinare l’andamento delle nostre esistenze, molte cose succedono a prescindere dal nostro operato. E quand’anche siamo noi gli artefici, dobbiamo accettare quanto abbiamo potuto e saputo fare in quel momento. Incolparci e infliggerci la punizione dell’infelicità non servirà a nulla se non a peggiorare, viceversa smettere di condannare noi stessi ed il prossimo o, al contrario, smettere di assolvere tutti, ci consente di abbracciare la nobilissima posizione del non giudizio che poi é quella dell’accettazione. Solo questo status ci consentirà di cogliere con mente e cuore, il senso reale delle cose.
Dobbiamo ragionare pensando che tutto ciò che accade intorno a noi rappresenta sempre un’immensa sfida e quindi un’occasione da non perdere!
Ovvio che a primo impatto un evento doloroso, un tradimento, una delusione ci avviliscono ed intristiscono, minando benessere ed equilibrio, ma poi sarà il tempo ad insegnarci che chi accetta non è mai vinto.
E’ quando cadiamo nella trappola dell’avversione, dell’ostilità, che si inquina la nostra mente, la nostra capacità intrinseca di chiara visione. A quel punto cediamo alla seduzione del rinnego e perdiamo ogni possibilità di restare integri e di salvare la nostra vita.
L’accettazione ci garantisce di restare in asse con questa vita, connessi a noi stessi e ci mantiene in salvo. Solo accettando che la nostra vita sia andata o sta andando in un certo modo, troviamo pace e la preserviamo.
La persona che profondamente riesce ad accettare che la vita sia quello che é stata e sia quello che é, é una persona che é in pace, arresa nel senso più bello della parola, o quantomeno ha preso coscienza che bisogna restare nel qui ed ora, hic et nunc, vivere il presente perché il passato ci induce a dolenzie legate a comportamenti errati ma non modificabili ed il futuro ci porta ansia per eventi che non possiamo ancora prevedere.
Certamente non sto riabilitando la rinuncia e nemmeno la resa, ma l’accettazione che, nonostante sia stato fatto del nostro meglio, le cose sono andate o vanno così, ma nessuno è dispensato dall’agire sempre nel modo migliore possibile.
Perdonare noi e gli altri non significa essere d’accordo, approvare i nostri o gli altrui comportamenti o modi d’essere, significa invece accettarli, cioè prenderne semplicemente atto, e da lì liberarsi del fardello dell’attaccamento e dell’avversione che ci tengono avvinti alle cose.
Qualunque miglioramento possibile nasce dall’accettazione, non certo dall’ostilità, dalla presa preconcetta di posizione, che é cieca e sorda alle dinamiche della vita.
In latino il termine “agredior”(aggressività) ha due possibili accezioni: leggere la nostra esistenza alla luce del rimpianto, del rancore, della rabbia, dell’ingiustizia, impiegando tutte le nostre energie per andarle contro oppure leggerla alla luce dell’accettazione e della accoglienza, impiegando tutte le nostre energie per andarle verso.
Questa seconda visione delle cose ci consente di restituire alla nostra vita un senso, quella importanza che ostilità e avversione le sottraggono.
Vorrei fare un esempio che rende certamente meglio il senso di quanto sto cercando di trasmettere. Se accettiamo che la persona con la quale ci stiamo confrontando ha determinate caratteristiche riusciremo ad averne una visione più chiara che ci permetterà di tenerne conto e di agire con maggiore consapevolezza.
Se invece ci poniamo in modo ostile ed avverso a questa persona, finiremo per ignorare la sua essenza e continueremo a pensare a come, secondo noi, dovrebbe essere, a quanto sia ingiusto che sia o agisca diversamente da quanto ci auspichiamo, e perdiamo totalmente la possibilità di viverla così com’é.
Se non accettiamo non troveremo neanche risposte utili alla nostra vita serena. Predicare l’avversione chiude ogni spazio, é un baratro dal quale è difficile poi risalire.
L’accettazione apre spazi, nuove alternative e prospettive dalle quali possiamo guardare alle nostre risorse, quelle stesse che ci permetteranno di reagire e agire per la serenità.
Voglio ricordare come la parola “perdono” nella sua origine etimologica greca significa: “liberare; lasciare, congedare”.
Concludendo, non ha senso indugiare su pensieri negativi e rimuginare continuamente su come la vita ci riserva eventi sgradevoli ed avversi, dobbiamo invece sforzarci di ammettere che non sempre tutto va come vorremmo senza lasciarci avviluppare da sentimenti di frustrazione, impotenza, scoramento…
Dobbiamo sempre considerare che certe esperienze portano un disordine è vero, ma allo scopo di creare una rinascita, una differente sistemazione delle cose, noi possiamo e dobbiamo coglierne il significato. Alcune esperienze dolorose vanno interpretate, senza esagerazione, in senso positivo perché possono dare nuova aria, nuovo movimento alla nostra vita.
Allora, quando ci capita qualcosa di brutto non scappiamo, non neghiamo l’accaduto, soprattutto non cadiamo nel vittimismo ma sforziamoci a tutti i costi di essere reattivi, so che non è facile ma solo così sarà possibile rialzarci senza trascinarci e trovare il giusto senso di quella esperienza e dell’esistenza a seguito di essa.

Notazioni Bibliografiche:
• “Io sono quello. Conversazioni con il maestro”, Maraharaj Nisargadatta, Ubaldini Editore;
• “Incontrare l’assenza. Il trauma della perdita e la sua soggettivazione”, Massimo Recalcati, Asmepa Edizioni;
• “Il libro rosso. Liber novus.”, Carl Gustav Jung, Bollati Boringhieri.