La conoscenza dei buchi neri


Una nuova analisi delle onde gravitazionali prodotte dai buchi neri 1,3 miliardi di anni fa e scoperte nel 2015 porta a concludere che la superficie di azione dei buchi neri non diminuisce. Ma c’è un’altra contraddizione da approfondire.

Stephen Hawking, lo scienziato inglese scomparso tre anni or sono, ancora una volta ha avuto ragione: la superficie d’azione di un buco nero, dentro la quale tutto (sia la materia sia la radiazione) viene risucchiato e non può uscire, non può diminuire nel tempo. Oggi uno studio condotto da fisici del MIT conferma la teoria di Hawking grazie allo studio delle onde gravitazionali prodotte 1,3 miliardi di anni fa da due giganteschi buchi neri che si muovono seguendo una forma a spirale uno intorno all’altro. I risultati sono stati pubblicati su Physical Review D. Ora il gruppo, come molti altri, sta cercando di capire come trovare una spiegazione a un paradosso e conciliare un’altra teoria, che invece prevede che nel lungo termine un buco nero debba ridursi fino a evaporare.
Incredibili e affascinanti, a volte paradossali, i buchi neri non smettono di stupirci. Nei primi anni ’70 Stephen Hawking  illustrò una proprietà centrale di questi misteriosi oggetti, che riguarda l’area dell’orizzonte degli eventi, una superficie immaginaria – una sorta di bolla del buco nero – dalla quale non può uscire nulla, nemmeno la luce. Immaginatela così: pensate che il buco nero sia il vertice di un cono e voi stiate viaggiando sulla superficie del cono verso il vertice. Esisterà una circonferenza su quel cono che può essere considerata una linea di non ritorno: superata quella l’attrazione gravitazionale è così forte che né voi, né le vostre grida e nemmeno la luce può più tornare indietro, venendo definitivamente risucchiata. Ma la superficie del buco nero la dobbiamo immaginare come il suo limite fisico verso lo spazio che lo circonda, ben più all’interno dell’orizzonte degli eventi. Ebbene, Hawking sviluppò alcune leggi sui buchi neri, tra cui ve n’è una la quale afferma che questa superficie non può mai restringersi. L’idea che essa non possa diminuire somiglia alla seconda legge della termodinamica, al fatto che l’entropia di un sistema isolato non può diminuire.
Oggi il gruppo coordinato dall’astrofisico Maximiliano Isi del MIT ha studiato questa proprietà attraverso informazioni colte dall’analisi delle onde gravitazionali generate dalla collisione di due buchi neri avvenuta 1,3 miliardi di anni fa, recentemente rilevate. I ricercatori hanno elaborato i dati dei segnali delle onde gravitazionali e hanno calcolato la massa e lo spin dei due buchi neri prima e dopo la fusione dei buchi neri e rielaborando i dati hanno calcolato la superficie d’azione (l’area dell’orizzonte degli eventi) prima e dopo la collisione. La superficie del nuovo buco nero, creato da questo scontro fra i due, era maggiore: in pratica l’area risultante è più estesa di quella iniziale. Questo aumento conferma – a livello teorico, ovviamente, e non sperimentale – la legge di Hawking con un livello di confidenza che gli scienziati indicano pari al 95%. Insomma, abbiamo una prova di questa caratteristica dei buchi neri.
Hawking ci aveva visto giusto già nel ’74, quando predisse che i buchi neri potrebbero emettere una qualche radiazione. Hawking. Hawking ha dimostrato, a livello teorico, che questa radiazione termica può fuoriuscire a causa di particolari effetti quantistici. L’emissione di una radiazione implica inoltre che ciascun buco nero stia evaporando, anche se molto lentamente. E questa radiazione sarebbe troppo debole per essere osservata, dato che è coperta da quella cosmica a microonde.
Ora arriva una nuova prova sperimentale della radiazione di Hawking: un gruppo di scienziati, guidati dall’Istituto Weizmann, in Israele, ha ricreato in laboratorio un fenomeno che può essere considerato analogo all’emissione di radiazione da un buco nero. La ricerca è stata pubblicata su Physical Review Letters.
Il buco nero è una regione dello spazio-tempo dalle caratteristiche estreme, che non possono essere spiegate con la fisica classica. La sua gravità è talmente elevata che comprime la materia fino a una densità praticamente infinita e nulla, neanche la luce, può sfuggirgli e allontanarsi: secondo le teorie classiche, in particolare la teoria della relatività formulata da Einstein, nessun tipo di radiazione può uscire da un buco nero.
Non potendo riprodurre in laboratorio un buco nero e le sue emissioni, da tempo gli scienziati studiano metodi alternativi per trovare fenomeni che possano essere assimilati a quello che avviene in un buco nero. Per esempio, si può utilizzare al posto della radiazione luminosa, quella sonora, in particolare le onde acustiche provenienti da un materiale, detto condensato di Bose – Einstein, che rappresenterebbe il buco nero: una prova che è già stata fornita in tempi recenti. Per costruire il buco nero acustico sono stati impiegati come condensato di Bose – Einstein degli atomi di rubidio raffreddati fino a una temperatura bassissima e prossima allo zero assoluto. In questo modo i fisici sono riusciti a osservare che qualcosa effettivamente usciva da quella sorta di buco nero da laboratorio. Il questo caso a uscire dal sistema sono stati i fononi, delle quasi-particelle costituite da vibrazioni elementari. Insomma, una sorta di onda sonora. E quest’onda ha viaggiato nell’esperimento (e anche nella simulazione al computer ad esso collegata) a una velocità superiore a quella del suono, che nell’analogo cosmologico significherebbe viaggiare più veloce della luce e superare l’orizzonte degli eventi!
MA i problemi nascono, come sempre, quando si cerca di combinare in qualche modo la relatività con la meccanica quantistica. Infatti, secondo un’altra proprietà sempre formulata da Hawking e legata ad effetti quantistici, nel lungo termine i buchi neri (e l’area dell’orizzonte degli eventi) possono invece ridursi per l’effetto dovuto, come si diceva, alla radiazione di Hawking: i buchi neri emetterebbero una radiazione termica e alla lunga perderebbero massa. La teoria prevede che per un tempo molto maggiore della durata dell’universo questi oggetti dovrebbero addirittura evaporare! Direi che non abbiamo ragione di preoccuparci: nel breve termine non ci sarebbe alcuna contraddizione – le due leggi coesisterebbero senza disturbarsi – ma nel lungo periodo, al contrario, la legge secondo cui la superficie non deve diminuire verrebbe messa in crisi. Ma allora come conciliare le due teorie? Da tempo gli scienziati stanno provando a cercare una chiave per combinarle: capire come risolvere questa contraddizione potrebbe aprire le porte anche a nuove teorie e a nuove scoperte, conducendoci alla cosiddetta “Teoria del tutto” come la chiamò Hawking, ossia a quella nuova fisica che ancora non sappiamo cos’è.

Fonti:
wired.it
Physical Review Letters