Nessuno si inginocchia per Saman?


La tragedia che ha monopolizzato in questi giorni le prime pagine di giornali e notiziari, è la quasi certa morte di una ragazza pakistana, Saman Abbas, che viveva in Emilia con la famiglia e aveva rifiutato un matrimonio combinato con un connazionale più vecchio di lei. Saman voleva vivere all’occidentale e così si vestiva, agiva, pensava. Aveva un amore italiano, al quale aveva confidato le sue paure, temendo la terribile punizione che la famiglia sembrava averle già promesso se non avesse accettato quel matrimonio inutile, odioso, perverso.
Ma Saman non è fuggita, forse impietrita dal terrore, forse nella speranza che il suo papà e la sua mamma (complice senza attenuanti) non arrivassero a tanto, che almeno un po’ l’amassero veramente.
Così è andata incontro al suo destino, quella sera del 30 aprile, quando alcune telecamere hanno filmato il suo allontanamento da casa in compagnia dei genitori che poi sono tornati da soli.
Si dà la colpa allo zio, che avrebbe alzato il coltello su di lei levando questo enorme peso dalle spalle del padre, cui spetterebbe coranicamente il giudizio e l’esecuzione della pena: giudice, giuria e boia, o meglio: assassino.
La giustizia farà l suo corso, frattanto i parenti sono scappati e la vedo dura, per un governetto molle molle e per un ministro degli esteri marionetta senza midollo, riuscire a far valere un’estradizione che già con gli orientali è più un bizantinismo che un dogma del diritto (ricordate i marò?). Un filmato girato in Pakistan mostra il padre in lacrime ad un funerale senza bara. Lo zio è in fuga in Europa e il cugino arrestato in Francia non dà segni di voler collaborare.
Insomma, si ripete ancora una volta ciò che in passato è successo ad altre ragazze pakistane. Seviziate a morte a causa di una crudele tradizione religiosa, o almeno religiosamente generata e abbeverata alla sorgente dell’ignoranza e della superstizione.
È difficile credere a quanto dicono i musulmani meno integralisti: l’islam non è questo, non è così; adesso alcuni di loro si spingono a esprimere la volontà di costituirsi parte civile contro la famiglia di Saman. Ripeto: è difficile crederci. Io ad esempio non ci riesco proprio. Non arrivo a dire che l’arabo buono è quello morto, ma sinceramente vorrei che coloro che non sono integrati e non hanno intenzione di farlo tornino, o siano rispediti, ai Paesi d’origine. L’Australia ha adottato questa politica e a quanto pare funziona assai bene. Anche la Russia è sulla stessa strada, sebbene il problema ceceno e quello di tutti quegli staterelli che finiscono in -stan non sia semplice.
Ma per intanto in Italia che si fa? Nulla, come al solito. Nonostante la procedura “Codice Rosso” sia ormai attiva da un pezzo, le questure la applicano solo quando non hanno altro da fare, cioè mai. Le segnalazioni sono spesso ignorate (la scusa è la carenza di personale) dimenticando che l’uccisione di donne è la vera emergenza nazionale. Il munsero di queste povere vittime di violenza spesso domestica è superiore a quello dei morti ammazzati dalla mafia!
Ci si raccoglie in atto di contrizione di fronte a un solo morto ucciso dalla polizia USA e solo perché negro (non è un termine offensivo: in tutti i paesi di lingua spagnola è comunemente usato; noi perché dovremmo essere da meno? Chiuso l’inciso.) ma non ci si ferma nemmeno un momento a pensare che magari la nostra vicina di casa non è scivolata sul pavimento bagnato, e quel braccio rotto ha un’altra causa…
Abbiamo visto parlamentari trinariciuti col cervello all’ammasso inginocchiarsi per quel morto americano: perché non vi inginocchiate per Saman? Siete dei buffoni ipocriti! Vale forse meno una ragazza pakistana perché la pelle è solo un po’ olivastra? Non lo reggo questo schifo, abbiate pazienza.