Ucronia e Storia: come sarebbe oggi l’Italia se fosse ancora al potere la Casa Savoia?


Con le illustrazioni di Igor Belansky, un case study che apre a considerazioni sull’utilità di un approccio concreto ai fatti sociali reali ed ipotetici attraverso la Sociatria, la nuova sociologia clinica di società e persone.

Si potrebbe assumere come significato del termine “Ucronia” quello di un esperimento mentale, con cui si ipotizzano esiti storici diversi da quelli che realmente si sono verificati; curiosa la sua etimologia dal francese uchronie, neologismo del filosofo Charles Renouvier, coniato nel 1876, sul modello della parola “utopia”, a partire dal greco chronos tempo. In generale, a livello neuropsicologico-cognitivo, un’Ucronia ha origine dall’abilità umana, includendo la facoltà del linguaggio e l’abitudine alla comunicazione in società di immaginarsi situazioni non direttamente esperite. In narrativa è presente una sua forma, talora intesa come Storia alternativa, che evoca mondi nei quali il flusso storico si è differenziato da quello effettivamente conosciuto, sostituendo eventi realmente accaduti con altri ipoteticamente possibili.

Ad esempio, sarebbe ucronico chiedersi cosa sarebbe successo in Italia se il 2 giugno 1946quando si svolse il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, Monarchia o Repubblica -, fosse prevalsa la scelta per la prima, anziché per la seconda, da parte dei cittadini chiamati al voto?

La crucialità del momento viene colta in una tavola dell’illustratore Igor Belanky, in cui appare l’Italiano indeciso tra le due urne che rappresentano l’opzione di voto tra Monarchia e Repubblica. Ai lati, due figure storiche risorgimentali Camillo Benso, conte di Cavour, fedele servitore della Casa sabauda, e Giuseppe Mazzini, supremo propugnatore della Repubblica, idealmente si contrappongono.

Ancora più avvincente potrebbe essere immaginare il corso della nostra Storia nazionale qualora, per fatti pregressi al summenzionato referendum, nell’ambito della Casa regnante, i Savoia, fosse stato in carica, invece che il ramo Carignano, il parallelo ramo Aosta, con il risultato che la successione ereditaria avesse portato ad essere l’attuale sovrano il duca Amedeo di Aosta, nato nel 1943.

Alcuni appassionati hanno effettivamente provato ad ucronizzare la vicenda, attraverso una complessa elaborazione, che può essere letta in rete e ha inoltre suggerito a Belansky l’idea di dedicare un ritratto alla figura di Amedeo di Aosta, la cui biografia presenta dei tratti interessanti.

Nel quadro delle annose discordie in seno al Casato, nel 2006 una parte della Consulta dei senatori del Regno (d’Italia) – un’associazione costituita il 20 gennaio 1955 che per certi versi eredita e tramanda le funzioni di quel che fu l’omonimo organismo emanato dalla corona – ha dichiarato decaduto il ramo Carignano a favore di quello degli Aosta. Di conseguenza, il pretendente al trono sarebbe proprio il duca Amedeo di Aosta, a cui peraltro, nel 2018, la corte d’appello di Firenze ha dato ragione nella contesa che da tempo immemorabile lo divideva dal cugino Vittorio Emanuele, che gli aveva fatto causa per via della forma del cognome di cui fregiarsi. Ottenendo il ribaltamento di un primo verdetto pronunciato ad Arezzo, potrà utilizzare la forma Savoia e non solo quella Savoia-Aosta, firmandosi come preferisce con l’uno o l’altro cognome.

La notizia non ha avuto grande risonanza presso l’opinione pubblica, perché ovviamente in Italia sui media si menziona quasi solo del principe Emanuele Filiberto ,del ramo Carignano, che in pratica è diventato una star del mondo dello spettacolo. Del duca Amedeo di Aosta, quindi, si parla poco. Non tutti sanno che il duca Amedeo di Aosta è nato in un campo di concentramento nazista, dove sua madre era stata internata dopo l’8 settembre 1943. Ha servito nella Marina militare in qualità di ufficiale di complemento e ha rappresentato più volte Umberto II, costretto all’esilio fino alla morte, a manifestazioni svoltesi sul territorio nazionale, contribuendo a mantenere viva l’immagine di casa Savoia.

Queste ed altre sue esperienze di vita, secondo alcuni, sarebbero moralmente significative per guidare l’Italia, nel caso un giorno si dovesse tornare alla monarchia.

In alcuni circoli monarchici identitari tale remota speranza è giustificata da una crisi della democrazia repubblicana, ritenuta in Italia pesante, per la quale vengono addotte molteplici ragioni. Una inquietante decadenza del costume pubblico; gli scontri mortificanti tra poteri costituzionali e, al loro interno, una cronica instabilità governativa. Una persistente lotta di fazioni entro istituzioni delicatissime come la magistratura; le divergenze tra i corpi di polizia; lo sbandamento e la mortificazione materiale e morale delle forze armate. L’assenza di una politica estera; il senso di frustrazione collettiva; la sfiducia verso la pubblica amministrazione, una burocrazia pubblica i cui unici sussulti di vitalità si registrano quando si tratta di tutelare e ampliare gli innumerevoli interessi “corporativi”. Un gigantismo legislativo che irretisce gli organi statali, parastatali e locali e imbriglia la società civile. Il disincanto dei cittadini verso la politica e i suoi uomini, cui consegue un sentimento corrosivo e negatore sia della pacata autorità sia della responsabile libertà. La destrutturazione della scuola e dell’università; persino l’integrità territoriale della nazione, talora messa in discussione da inusitate spinte secessioniste.

Ne scaturisce un’analisi per cui la democrazia, da sola, rischia di non farcela, di rimanere irrimediabilmente impaludata in tutte le sue contraddizioni e inefficienze, con esiti che potrebbero essere esiziali, giungendo ad un suo inarrestabile declino.

In quest’ottica, per evitare di sparire o di svuotarsi fino a snaturarsi del tutto, prima che sia troppo tardi, essa dovrebbe reagire accettando, quale prova di realismo, che “suddivisione delle funzioni” e la “cooperazione degli sforzi” tra principio elettivo (parlamento) e principio ereditario (capo dello stato), ciascuno preposto a un proprio tipo essenziale di istituzione, rappresentano la soluzione più ragionevole ed equilibrata, nel solco di quel “governo misto e temperato” che è centrale nella Storia europea.

E all’obiezione che il principio ereditario sia casuale, preferenziale, per certi avvisi “non logico”, vi è chi controbatte, osservando come sia grande il rilievo assunto, anche statisticamente, dagli elementi di casualità e di “non logicità” sull’andamento e il risultato delle campagne e competizioni elettorali nelle democrazie di massa. In tal senso, gli studiosi del comportamento di voto sanno bene quali e quante motivazioni spesso assurde, anche contraddittorie, banali, epidermiche oppure acriticamente persistenti, possano potentemente pesare nelle scelte degli elettori. Al confronto, per i nostalgici della corona, il principio ereditario è un capolavoro di coerenza razionale, in quanto la “combinazione” di due “casualità” ha un potenziale di bilanciamento ed equilibrio maggiore ad un’unica “casualità” assolutizzata, quale è il criterio elettivo attuale, di parlamento e capo dello stato, adottato senza residui e tout court.

Pertanto, come l’uguaglianza reale deriva soprattutto dalla “attenuazione” delle disuguaglianze in relazione alla possibilità di un loro reciproco bilanciamento, identicamente due “casualità” di segno diverso si attenuano per mutua elisione e compensazione. In definitiva, i sostenitori indefessi della monarchia ribadiranno più volte che si potrebbe raggiungere un alto livello di garanzia ed equilibrio della tenuta democratica: quando il voto è troppo statico, il sovrano ha interesse all’innovazione, quando il voto è troppo volatile, il sovrano ha interesse alla stabilità.

Evidentemente questa è soltanto una loro teoria, condivisibile o meno, ma soltanto una teoria, perché su di essa incombe il verdetto, senza possibilità appello, dell’ineluttabilità dei fatti della Storia.

Nondimeno, verrebbe da chiedersi se un’Ucronia (come sopra intesa) possa essere posta al pari della sociologia (almeno nel senso primigenio imputabile ad Auguste Comte) o ne sia una diretta conseguenza? Ne parrebbe piuttosto una conseguenza, perché la Sociologia in senso comtiano include anche la Storia reale, su cui si basa per ricavarne Leggi umane universali che a loro volta costituiscono parte dell’impalcatura su cui costruire le ucronie.

Su questa scorta, Belansky ancora ci propone l’immagine idealizzata del Sociatra – il depositario del sapere di una nuova sociologia clinica di società e persone, al fine di riconoscerne e curarne i mali in senso organalitico e societario -, chiedendosi se costui dovrebbe occuparsi dello studio in senso ucronico della Storia, per valutare l’impatto dinamico delle diverse evoluzioni degli eventi generali, politici, civili, economico, sulle società.

Applicata alle questioni di cui sopra ci siamo occupati, la corretta valutazione delle reali priorità dovrebbe essere l’unica cifra dell’efficacia della diagnosi.

Cosicché, come sono tutte abbastanza vere le disfunzioni che potrebbero essere imputate all’attuale sistema democratico da parte di eventuali fan dei Savoia, è altrimenti opportuno considerare che il valore dello Stato per i cittadini è prima di tutto oggi in discussione a causa del debito pubblico e di nessuna strategia coraggiosa di entrate da parte del Governo (dello Stato), che consenta di salvaguardare il patrimonio dello Stato, repubblicano o monarchico quale che fosse.

Inoltre, la democrazia in una Repubblica è quasi un correlato; può funzionare, lo dimostrano quasi tutti i nostri partner occidentali. Ed è di certo la miglior forma di Governo. L’Italia l’ha purtroppo conosciuta solo di nome e non di fatto, dunque la più sana e corretta politica per il nostro Paese sarebbe quella di attuarla davvero, seriamente, in modo organizzato.

Ne viene che la forma repubblicana non presenta problemi in sé, ovvero non è lì il problema. Le istituzioni poi, sono in effetti strutturate su organi (dello Stato) che potrebbero essere modificati. Ma, certamente, non sta lì il problema, oggi.

L’operazione più urgente e inderogabile è salvare il patrimonio dello Stato, che è di proprietà dei cittadini della Repubblica Italiana. Esso ammonta nel complesso a 2000 miliardi, se non di più, se in Italia secondo i dati più recente vi sono circa 60 milioni di abitanti, divertitevi con la calcolatrice a trovare a quanto ammonta per ciascuno di noi!