I fratelli che intercettarono Gagarin


Vi vogliamo raccontare oggi la storia di Giovanni Battista Judica Cordiglia, classe 1939, l’uomo che fu definito “il segugio dello spazio”. Perito fonico e fotografico del tribunale di Torino, subito dopo la guerra con il fratello maggiore Achille (suo compagno di avventure, morto nel 2015) fondò la prima televisione privata del Paese.
“La Rai non è più l’unica concessionaria televisiva in Italia”; “È nata in una cantina la televisione privata”; “Due ragazzi di Torino hanno messo in crisi la tv”. La mattina del 10 gennaio 1960 i titoli della stampa italiana sono univoci nell’etichettare quanto accaduto il giorno prima come una svolta epocale nella storia della comunicazione televisiva italiana.
Il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni ha infatti comunicato, tramite una presa d’atto informale, che “In risposta alla lettera sopra indicata di codesta Spett. Tele Club Torino il Superiore Ministero Superiore Generale delle Telecomunicazioni Servizio XI Radio Div. 1° Sezione II° (…)dichiara che l’attività svolta dal Teleclub torinese non è tale da destare le preoccupazioni dell’Amministrazione P.T. e da richiedere particolari forme di controllo e di repressione, poiché, essendosi estrinsecata finora in ambiente rigorosamente chiuso e avendo mantenuto un carattere puramente dilettantistico”.
All’epoca le trasmissioni Rai si limitano a quello che è oggi il primo canale, e la notizia della nascita di una rete concorrente spiazza molti tra Torino e Roma.
Alla testa di altri 13 ragazzi infatti, i due fratelli piemontesi – da tempo appassionati radioamatori – avevano, l’11 settembre 1959, aperto le trasmissioni via cavo in circuito chiuso con uno spettacolo dal titolo “Un’oasi di serenità” ambientato in una villa seicentesca di San Maurizio Canavese. Le trasmissioni, a beneficio di abitazioni del centro di Torino, avvengono dalle cantine di un palazzo in Via Accademia Albertina 3: muri protetti da pannelli fonoassorbenti, una cabina di regia sopraelevata, giraffe in legno, cartello “Silenzio” costruito da un contenitore per il frigorifero, sigle e monoscopi disegnati a mano. I collaboratori, rigorosamente volontari, divengono in breve una cinquantina.
In breve la televisione delinea un proprio palinsesto: trasmette due notiziari e programmi regolari per tre ore ogni giorno (dalle 18.00 alle 21.00, orario stabilito dai genitori degli Judica Cordiglia), con un atto unico, un giallo e trasmissioni musicali. Negli studi si ricevono molti personaggi illustri, in qualità di ospiti televisivi o di semplici visitatori. Tra i tanti: il gesuita cantante Père Duval (22 ottobre 1959), il giornalista Ruggero Orlando, la cantante Tonina Torrielli e l’attore Giorgio Albertazzi.
Il colpaccio arriva con le Olimpiadi di Roma 1960: un amico atleta e appassionato di video gira servizi che poi vengono spediti con la complicità di un amico pilota di Alitalia a Torino, sviluppati al volo e mandati in onda al TG Torino Sera delle 19, anticipando la Rai di un’ora e mezza! La RAI è profondamente indispettita dall’attività di TCH-TV: dapprima tenta a ostacolare il gruppo, che riesce tuttavia a trincerarsi dietro il fatto che le trasmissioni siano via cavo (collegavano condomini adiacenti allo studio) e non via etere. In seguito, direttori e responsabili visitano gli studi di quelli che venivano considerati “concorrenti”, ma non possono che plaudire al lavoro di questi ventenni talentuosi e appassionati.
Ma nonostante l’ufficialità data del Prefetto di Torino Saporiti, da Peyron e l’arrivo di un telegramma d’augurio di Papa Giovanni XXIII, l’esperienza dura meno di un anno. Nel 1960, infatti, dopo aver coinvolto circa 2000 telespettatori, la programmazione si interrompe e i volontari tornano a dedicarsi agli studi universitari e alle proprie attività lavorative, sotto imposizione dei genitori (entrambi i fratelli avevano finito con il perdere l’anno di studi).
Dopo la laurea Judica Cordiglia intraprese la carriera di perito per il Tribunale di Torino gli permise di stabilire un altro record: a trent’anni scattò le prime foto a colori della Sindone. Questo suo lavoro venne citato con ammirazione da Pier Luigi Baima Bollone, famoso anatomo patologo torinese che negli anni 80-90 condusse studi scientifici molto approfonditi che riuscirono a dimostrare l’autenticità del Sacro Lino. Alla domanda postagli durante un’intervista circa l’autenticità della Sindone, risponde così: «…lo dico da studioso e da uomo: io sono convinto sia autentica. La ebbi a mia disposizione per tre giorni e tre notti a Palazzo Reale, posizionata perpendicolare al pavimento e guardata a vista dai carabinieri. L’emozione più grande la provai quando spensi la luce per fotografarla illuminata solo dai raggi ultravioletti: sembrava che la sagoma tridimensionale di Cristo uscisse dal lenzuolo per venirmi incontro».
Ma il suo successo più strabiliante lo mise a segno lungo tutta una vita di ascolto radio, a partire dai dodici anni, quando con il fratello incominciò a intercettare le astronavi russe e americane, registrando il battito cardiaco della cagnolina Laika e le parole di Yuri Gagarin e di John Glenn nonché i lanci di cosmonauti secretati dall’Urss perché destinati al fallimento e alla morte degli equipaggi.
In un’intervista rilasciata di recente il brillante fonico racconta come iniziò la loro carriera da “radiopirati”.
«Io avevo 12 anni, mio fratello 18. Dei due, io ero il tecnico, lui l’addetto alle pubbliche relazioni. Recuperavamo gli apparecchi da un deposito di residuati bellici. Per noi era una sorta di gigantesco parco giochi. Costruimmo il nostro trasmettitore e iniziammo a usarlo senza avere la licenza per farlo. Arrivò addirittura la polizia per arrestare papà, dato che per l’epoca anche Achille era minorenne. Per fortuna, si risolse tutto per il meglio».
Nel medesimo deposito di residuati i due recuperarono i materiali per fondare la prima televisione privata d’Italia: «… in quel caso avevamo il permesso del ministero delle Poste. Ci costruimmo da soli le telecamere, il laboratorio per sviluppare le pellicole e lo studio, e arrivammo a collegare via cavo gratuitamente 2.500 spettatori. Riuscimmo anche a trasmettere scene delle Olimpiadi di Roma del 1960 con un’ora e mezza di anticipo sulla Rai».
Poi, con il lancio dello Sputnik 1, il 4 ottobre 1957, partì la corsa allo spazio tra Usa e Urss. Racconta ancora Judica Cordiglia: «Fummo i primi in Europa a captarlo e a informare i giornalisti. Un mese dopo, registrammo il segnale di un satellite da cui proveniva uno strano rumore. Nostro padre, docente di medicina legale all’Università di Milano, disse che gli ricordava il battito cardiaco di un animale di piccola taglia. Auscultammo il cuore del nostro cane con un fonendoscopio per verificare. Era il 3 novembre 1957: avevamo intercettato Laika a bordo dello Sputnik 2. Il 12 aprile 1961 fu il turno di Yuri Gagarin. Lo individuammo nel momento in cui iniziava la manovra di rientro. Disse: “Sto completando il volo. Sono in assenza di peso. Vista meravigliosa. La Terra è azzurra”».
I russi non annunciavano mai i lanci per evitare che un eventuale incidente potesse compromettere la propaganda sulla loro superiorità tecnologica. Ecco come i due fratelli riuscivano comunque a scoprirli: «Identificammo i tipi di segnali che le basi in Urss si scambiavano quando stavano per partire le missioni, così potevamo metterci in ascolto 24 ore su 24 per intercettarle al momento della trasmissione dei dati a terra. Rispetto all’orbita standard dei satelliti sovietici, la posizione di Torino consentiva un’ottima ricezione».
Nella loro autobiografia i fratelli Judica Cordiglia hanno scritto di essere riusciti a registrare anche voli di cosmonauti che la Russia non comunicò mai al pubblico: «Il 28 novembre 1960 ricevemmo una frase in inglese in codice Morse, ripetuta più volte: “Sos, sos, sos a tutto il mondo”. Probabilmente il cosmonauta sperava che almeno gli americani riuscissero a salvarlo. Due giorni dopo, l’Urss svelò la missione Sputnik 6, ma senza dichiarare che ci fosse un uomo a bordo. Il 2 febbraio 1961 intercettammo un battito cardiaco umano e un respiro affannoso. Si precipitò da noi il professor Achille Mario Dogliotti, pioniere della cardiochirurgia, con la sua équipe. Il suo responso fu angosciante: “Il battito cardiaco è preagonico. Il respiro è dispnoico. Quest’uomo ha fame d’aria, gli manca l’ossigeno. Sta morendo”. Il giorno dopo lo confermò con un fonocardiogramma. L’indomani, i sovietici rivelarono il lancio dello Sputnik 7. Il più tragico, però, fu quello del 16 maggio 1961, quando individuammo un satellite da cui proveniva la voce di una donna. Ciò che registrammo sei giorni dopo fu agghiacciante: “Pronto… pronto… ascoltate… pronto… parlate… parlate… ho caldo… ho caldo… come? 45? 50… sì, sì, sì… ossigeno… ossigeno… vedo una fiamma… vedo una fiamma… precipiterò?”. L’ultima frase che sentimmo fu: “Questo il mondo non lo saprà mai”. Poi, il silenzio».
Tuttavia di questi voli negli archivi dell’Agenzia spaziale russa, dopo la caduta dell’Urss, non si è trovata alcuna traccia. Giovanni lo spiega così: «C’è ancora chi si aggrappa a ciò per negare le nostre affermazioni. Io rispondo sempre: ascoltate le registrazioni. Abbiamo le prove che le trasmissioni provenivano da oggetti mobili la cui velocità era compatibile con quella delle navicelle sovietiche. Inoltre, analizzandone l’effetto Doppler, abbiamo rilevato come le sorgenti fossero antenne tra i 200 e i 300 chilometri di altezza. Sono dati scientifici, non opinioni».
Ma come reagì l’Urss alle intercettazioni? Decisamente male, si direbbe. Il KGB fu subito allertato e, di conseguenza, anche i servizi segreti italiani di controspionaggio presero a sorvegliare tutte le mosse dei due fratelli.
Racconta ancora Giovanni: «Il generale Nikolai Kamanin, direttore dell’addestramento dei cosmonauti, ci attaccò con durezza sul giornale moscovita ‘Stella rossa’, definendoci “banditi dello spazio” e “radiopirati”. Fummo costretti a spostare la nostra stazione dalla Torre Bert, un bunker tedesco nel Parco della Maddalena su cui avevamo costruito una parabola di 11 metri, perché l’avevamo ritrovata circondata di bandiere rosse. Ma non ci hanno fermato. (…) Un giorno venne a farci visita Anatoli Krassikov, corrispondente da Roma della Tass, l’agenzia di stampa ufficiale russa, per vedere le nostre apparecchiature. Lo liquidammo dicendo che purtroppo la stazione era in ristrutturazione. Ci disse: “Se avete bisogno di soldi, telefonatemi”. Dieci minuti dopo, si presentò alla nostra porta un’agente del Sifar, il servizio segreto militare italiano. Ci mise in guardia: Krassikov era un uomo del Kgb. All’epoca, mio fratello aveva 29 anni, io 23: con l’ingenuità della nostra età, non ci eravamo resi conto in quale gioco ci fossimo cacciati».
Un curioso episodio riguarda invece l’intercettazione dei lanci americani. Racconta Judica: «In quegli anni andava in onda La fiera dei sogni condotta da Mike Bongiorno. Fummo invitati a partecipare a una puntata e vincemmo. Il premio in palio era un viaggio negli Usa per visitare la sede della Nasa. Quando ci fu presentato William Hausman, capo degli Affari internazionali, gli facemmo ascoltare una nostra registrazione: era la voce di John Glenn, primo astronauta statunitense ad aver orbitato attorno alla terra con la navicella Mercury nel 1962, che parlava di “ottime condizioni atmosferiche”. Le sue frequenze erano segretissime, ma eravamo riusciti a procurarci la foto del recupero di una Mercury in mare. Dato che la lunghezza di un’antenna è pari a un quarto della lunghezza d’onda, una volta scoperto le dimensioni avremmo potuto calcolarne la frequenza. Ci venne in soccorso papà, che fu capace di ricavare l’indice bizigomatico, ossia la distanza tra gli zigomi, di un sub che si intravvedeva nella foto. Hausman era impallidito: “Not possible!”. Gli rispondemmo: “Yes, possible!”».
Da perito del tribunale di Torino, Judica Cordiglia ha avuto anche modo di scovare registrazioni manomesse. A tal proposito racconta un episodio molto significativo: «… quella del colloquio fra i magistrati Francesco Misiani e Renato Squillante, ritenuta dal pubblico ministero Ilda Boccassini la prova cardine del processo Sme-Ariosto contro Silvio Berlusconi e Cesare Previti, fu clamorosa. Ebbi l’onore di litigare con lei in aula. Quando terminai di esporre le mie conclusioni, inviperita, mi chiese di ripetere a memoria cos’avessi scritto a pagina 461. Calò il silenzio. Fu il presidente a parlare per primo: “Scusi dottoressa, ma che domande fa?” Anche queste sono soddisfazioni!» conclude ridendo.


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Fonti:
ilcaffetorinese.it
www.rsi.ch/speciali/la-grande-guerra/speciale-informazione/Intervista-integrale-a-Judica-Cordiglia-1259881.html