PsicologicaMente – Schola, magistra vitae est…?


“La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere” Plutarco.

La scuola è una costante nella vita della maggior parte di noi, prima la viviamo da studenti, poi, se possibile, da genitori di studenti.
Eppure ho la sensazione che quando si affronta l’argomento scuola se ne parla come di un’istituzione asettica ed obbligatoria, un impegno inevitabile ed a tratti tedioso della vita e basta. Sicuramente non ci soffermiamo quanto necessario a chiederci quale sia veramente la sua funzione, ma possiamo attribuirle uno scopo educativo, inteso nel senso più profondo del termine: ha a che fare con il desiderio del sapere, non con la sua mera trasmissione. La funzione di un buon maestro è quella di “contagiare” il desiderio degli alunni con la propria passione per “il libro”, cioè accendere il desiderio per il sapere attraverso il proprio desiderio.
Massimo Recalcati parla di “vocazione del maestro” proprio per indicare che oltre alla conoscenza delle materie un buon insegnante deve “svuotarsi del suo sapere per diventare amante del sapere” e solo così potrà scongiurare il rischio di lezioni uguali, noiose e prive di sentimento.
Sempre citando l’illustre Recalcati, potrei far mia l’idea che la scuola ha ben due anime: una più grigia e una più luminosa, entrambe complementari ed imprescindibili.
La prima anima fa leva sulle regole e l’impegno, quindi giudizi, routine, calendari… quest’anima, sebbene anonima e forse alienante, è essenziale perché impegna i ragazzi con regolamenti diversi da quelli presenti all’interno della famiglia. La scuola, infatti, non è un mero prolungamento della famiglia ma tra le due istituzioni c’è un vero e proprio salto ed è proprio questa distanza che permette l’esperienza del crescere.
La seconda anima della scuola è la capacità di “illuminare” che scaturisce da una lezione ben fatta, dalla parola di un sano insegnante che, in qualità di maestro di vita, deve saper offrire ai ragazzi la capacità di scovare diverse interpretazioni di una determinata esperienza e mai offrire una sola ed unica soluzione che l’alunno deve obbligatoriamente apprendere e far sua.
L’evento dell’apprendimento non è solo cognitivo ma anche emotivo e, cosa importantissima, l’insegnamento deve saper anche lasciare spazio all’incomprensibile e all’errore.
E’ in questo che il maestro mostra tutta la sua forza testimoniale: quando sa fare dell’errore e dell’inciampo materia di insegnamento.
La scuola ha il potere di realizzare due miracoli.
Il primo miracolo è quando “il libro si trasforma in corpo” cioè l’esperienza dell’apprendimento diventa viva, l’alunno attiva tutti i sensi e questi sono appagati, egli ha “ancora” desiderio di sapere e di ascoltare.
Il secondo miracolo è quando “il corpo diventa libro” cioè gli alunni diventano consapevoli della ricchezza che portano dentro di Sé e si relazionano, quindi, con se stessi e con qualsiasi persona con rispetto, gentilezza, tempo, pazienza e curiosità. Ecco che la scuola svolge una funzione di prevenzione primaria: essendo un luogo di incontri di corpi “introduce la vita dei figli al miracolo dell’amore”.
Ma parlando di scuola: quale modello è il più adeguato?
Devo riconoscere, mio malgrado, che la scuola sembra riprodurre una struttura quasi aziendale dove l’aspetto più importante è il profitto e non le persone che la frequentano. In questa scuola c’è posto solo per chi è pronto, veloce, sicuro di sé e non può accogliere allo stesso modo chi ha qualche difficoltà o semplicemente impiega un tempo più lungo degli altri per raggiungere certi risultati, sicché chi procede lentamente rischia di restare fuori o peggio di essere schiacciato.
Altra variante del sistema scolastico è quella che si ispira ad una sorta di parco giochi dove il maestro deve continuamente ingegnarsi a tener alta l’attenzione degli allievi, deve riuscire ad interessarli, qualsiasi sia il mezzo da adoperare. Ebbene anche questo modello mi sembra assai inadeguato.
Io ritengo che sia necessaria e sicuramente più utile una scuola che si impegni a premiare l’irregolarità, l’inclinazione, la stortura. Proprio così! Bisogna che si prenda in considerazione che ciascuno degli alunni è un individuo, ognuno diverso dagli altri, ciascuno con la propria misura di felicità e i propri desideri e che è proprio questa diversa essenza che rende il rapporto con il sapere unico e irripetibile.
Pertanto, io dico che ricercare l’uniformità non è un buon modo di fare scuola. Bisogna creare coesione, unire ma nel rispetto dell’individualità di ogni studente. Occorre esigere che i ragazzi siano responsabili del loro talento e non pretendere che debbano per forza raggiungere livelli prestabiliti anche nelle materie in cui sono meno prestanti. Diversamente, anziché favorire l’amore per la conoscenza, la socializzazione e la sicurezza in sé stessi si rischia di rendere tutto nauseabondo, nemico ed indesiderabile. La scuola corre costantemente il rischio di diventare una realtà dove i ragazzi si perdono e si ammalano. Viceversa in un modello di scuola attento alla specificità degli studenti ci sarebbe meno bisogno di psicologi, non sarebbe necessario fare ricorso a procedure testistiche di valutazione e di diagnosi e non si assisterebbe ad episodi drammatici che vedono compromesse sempre più frequentemente le vite dei ragazzi e delle loro famiglie.
L’insuccesso scolastico è, ad esempio, un fenomeno complesso e multiforme, di cui è difficile individuare la genesi e le possibili evoluzioni, se non con un attenta analisi dei singoli casi sia sul versante didattico che su quello psicologico. Al suo strutturarsi concorrono una molteplicità di cause che hanno a che fare con fattori di ordine individuale, relazionale, pedagogico, sociale, familiare. Rispetto poi alle conseguenze si va dai casi in cui il disagio risulta transitorio e reversibile, fino a quelli in cui l’insuccesso determina il definitivo fallimento dell’allievo. Per affrontare efficacemente questo fenomeno è, appunto, indispensabile combinare l’approfondimento degli aspetti didattico-pedagogici con la considerazione della dimensione psicologica, e quindi delle caratteristiche di personalità del singolo allievo e della coloritura emotiva che assumono le interazioni in ambito scolastico. Se questo è valido in generale, a maggior ragione lo è per quei ragazzi che si presentano all’appuntamento scolastico già portatori di specifiche difficoltà psicologiche.
L’insegnante allora sarà continuamente chiamato ad effettuare un’analisi dettagliata dei suoi allievi, un tentativo di definirne la personalità, le caratteristiche distintive sia sul piano personale sia in rapporto al contesto. Ciò permette all’insegnante di ottenere le coordinate conoscitive entro le quali strutturare il proprio intervento evitando il rischio, laddove sussistono rilevanti difficoltà psicologiche, di imprigionare l’allievo in una categorizzazione limitante.
Da alunno se ripenso al mio percorso scolastico posso dire di certo di aver notato queste difficoltà sia a carico degli insegnanti che degli alunni. Inoltre, ho conosciuto un tipo di scuola che favoriva l’omologazione, una scuola nella quale il ruolo dell’insegnante era prevalentemente quello di indirizzare gli alunni verso una direzione che vedeva solo nella formazione il suo obiettivo e non nella strutturazione emotiva dell’esperienza scolastica.
Ricordo comunque maestri, professori e docenti, probabilmente più “illuminati” di altri, che hanno saputo e voluto trasmettere con passione il loro sapere, coltivando la relazione particolare con noi ragazzi, considerando ed accogliendo ciascuno nella sua specificità.
In linea generale devo comunque tristemente constatare che l’attuale modello di scuola, in particolare mi riferisco al modello italiano, non è migliorato molto e continua a mettere in grande difficoltà alunni, famiglie ed anche insegnanti.
Gli impegni burocratici sono infiniti ed artificiosi, le realtà e le storie personali dei ragazzi sempre più complesse e poco considerate, le strutture e i riferimenti a dir poco obsoleti.
Una nota positiva è che oggi si può far leva, rispetto a ieri, su tantissime conoscenze che vengono in aiutano degli insegnanti e li supportano nello svolgere al meglio la propria missione. Un esempio potrebbe essere la didattica inclusiva la quale permette di svolgere la lezione valorizzando le competenze di ciascun alunno e permettendo a tutti di partecipare anche provando a superare o comunque tollerando eventuali limiti.
Va ulteriormente segnalata l’iniziativa importantissima di introdurre la figura dello psicologo scolastico.
A tal riguardo c’è stato chi ha ritenuto questo intervento eccessivo e che, anzi, siano troppi gli psicologi presenti nelle scuole. Dal canto mio devo sinceramente dissentire, anzi, ritengo che dovrebbero essercene molti di più e con più ore a disposizione in modo da poter svolgere il proprio lavoro più efficacemente. Certo bisogna selezionare e formare al meglio queste figure professionali: essi entrano non in una semplice scuola ma piuttosto nella vita dei ragazzi, dei familiari ed anche degli insegnanti. E’ necessario che essi svolgano la loro funzione con la massima attenzione e competenza, anche perché, in simili contesti lo psicologo non può essere solo colui che fa diagnosi, nella scuola egli deve fare ben altro! Deve saper offrire linee interpretative e magari soluzioni alle difficoltà che può incontrare un insegnante, deve essere pronto a rispondere ai bisogni degli alunni di tutte le età, ad accogliere le richieste delle famiglie.
In questo complesso scenario non dobbiamo infine trascurare l’attuale situazione pandemica che ha coinvolto anche le istituzioni scolastiche ed ha ulteriormente appesantito le attività didattiche.
Mi riferisco alla didattica a distanza (DAD) ed alla didattica integrata digitale (DID) che hanno fortemente incrementato il disagio di alunni, insegnanti e famiglie, sviluppando talvolta anche vere e proprie sofferenze psicologiche delle quali dovremo certamente prendere carico nell’imminente futuro.


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Bibliografia:
• M. BECCIU – A.R. COLASANTI, L’approccio promozionale con gli adolescenti. Lineamenti teorici e implicazioni educative, «Rassegna CNOS», 1 (2003)
• M. COZZOLINO (a cura di), Motivazione allo studio e dispersione scolastica, Franco Angeli, Milano 2014.
• E. CROCETTI, Il contesto scolastico in adolescenza: identità, benessere e dinamiche relazionali, «Studi Zancan», 3 (2014)
• M. RECALCATI, A libro aperto. Una vita è i suoi libri, Feltrinelli, Milano 2018.