CHEF RUFFI: fenomenologia di un tamarro


Tamarro (ta | màr | ro): termine gergale della lingua italiana usato per indicare una persona ritenuta rozza, o comunque non stimabile, il cui utilizzo assume spesso una accezione ironico/sarcastica. Di area dialettale meridionale, deriva probabilmente dall’arabo tammār (venditore di datteri).

Abbiamo voluto far precedere questo articolo dalla definizione ufficiale del termine onde evitare proteste e/o insulti da parte di persone male informate circa il significato della parola.
Detto ciò, entriamo subito in argomento. Da qualche tempo il mondo delle videoricette che trovate sui social più disparati, da YouTube a Facebook per citarne solo alcuni, è scosso da un fenomeno che sta spopolando tra gli amanti di due generi agli antipodi tra di loro: la cucina e l’orrido.
Il fenomeno in questione usa il nome d’arte di Chef Ruffi ed è riuscito a ritagliare in breve tempo uno spazio considerevole nonostante una concorrenza agguerritissima tra i vari Master Chef e i canali dei migliori chef a livello planetario. Non solo: Chef Ruffi utilizza un set talmente minimale e delle attrezzature talmente sciagurate da fare impallidire la cucina di Maga Magò, eppure è l’unico “chef” sui social media a generare più coinvolgimento e interazioni di Massimo Bottura o di Gordon Ramsay.
Qual è il segreto di questo improbabile cuoco? Come fa ad avere tanto seguito senza utilizzare uno studio televisivo e una regia degne di questo nome né attrezzature che non si può permettere? E come riuscire a ottenere visibilità sui motori di ricerca o sui social media proponendo l’ennesima ricetta della carbonara in mezzo a mille altre ricette di carbonara tutte impeccabili, firmate da chef stellati e attraenti pur senza sentirne il profumo? La risposta è decisamente spiazzante: faccio ricette brutte, sbagliate, sgradevoli, sgraziate e perfino odiose, e il successo è assicurato. Strano a dirsi, ha avuto ragione.
Chef Ruffi è il “caso” gastronomico italiano del momento. Non se ne conosce la provenienza, sebbene l’accento lasci presupporre un’origine campano-calabra. Non lo si vede mai in faccia e le sue mani sono coperte da guanti da lavapiatti in lattice azzurro (a simboleggiare forse il “like” di Facebook? Mah!). Gli ingredienti sono semplici (e tutti di scadente qualità) e il risultato è univoco in ognuna delle videoricette fino ad oggi pubblicate sul profilo Facebook e rimbalzate su YouTube e altri social: zozzerie irraccontabili, probabilmente velenose o tossiche, certamente illegali.
Il set è sempre lo stesso: siamo in una cucina di un ristorante (ma potrebbe essere anche casa sua, chi lo sa?). Da alcuni marchi che si intravedono sulle confezioni delle porcherie che usa si direbbe che le scene siano girate nel Regno Unito o in Irlanda (nel filmato della demolizione del purè per un attimo si nota una scritta sul fondo di un tegame: “Amazing meals in minutes” e sul brik di panna appare il marchio irlandese Kerrymaid). Gli elementi immancabili di questa tragicommedia aiutano a generare riconoscibilità e family feeling: i guanti, il dialetto un po’ alla Abatantuono, attrezzatura improbabile squallidamente esibita, ingredienti da film dell’orrore, uno stile di ripresa volutamente raffazzonato, con lo smart phone tenuto dritto, niente montaggio, niente cura delle luci. Questo è quanto. E poi giù a bestemmiare i capisaldi della grande cucina tradizionale italiana dall’Artusi al secondo dopoguerra, qualcosa che per l’italiano medio è più sacro ed inviolabile della mamma e dell’automobile: carbonara, arancino, ragù, cacio e pepe, tiramisù…
Cosa fa allora Chef Ruffi? Prende ricette italianissime che ormai consideriamo facenti parte del nostro DNA e le ripropone a modo suo. Cioè male. Uno schifo. Non che faccia degli errori di esecuzione, no: lui prende delle scorciatoie che nemmeno un baro da saloon considererebbe etiche. Sembra che goda come un mandrillo a mostrarsi il cuoco sfigato per eccellenza. In ciascuna ricetta presentata trova il modo di farci ululare per il disgusto. Chi sta dietro a questo format (sempre che lo sia…) dimostra di conoscere molto bene i meccanismi sui social che fanno scattare la catena dei “like” che trasformano un filmato qualsiasi in uno “virale”. La prima è senza dubbio l’indignazione e Ruffi ne provoca a vagonate. Poi è importante creare dei modi di dire che rendano riconoscibile il personaggio. Ecco allora i tormentoni come “malgamare gli ingredienti, “i clienti non si sono mai lamentati” (forse sono morti…) o ancor la “versatile”, il suo modo per definire la panna che regolarmente aggiunge a qualsiasi ricetta.
Così, vuoi per ridere o vuoi che indignarti ancora una volta, ti vai a vedere la ricetta del giorno, ovviamente stuprata in modo satanico, e mentre lo maledici o dai di stomaco non puoi fare a meno di riderci su.
E così Chef Ruffi, piaccia o no, ha creato nel giro di pochissimi mesi un personaggio con tanto di fan club ufficiale da centinaia di iscritti. Perché la risposta più immediata a chi ti sta prendendo in giro è prenderlo in giro a tua volta e stare al suo gioco. I numeri parlano chiaro: di gente disposta a mettere un’like’ sulla sua pagina per ora ne ha trovata relativamente poca (comunque 12mila persone), ma i suoi video, di nascosto, li guardano tutti: indignati, divertiti, schifati, in cerca di un attimo di sub normalità tra tante ricette irreprensibili. 200mila persone hanno guardato la videoricetta sul risotto ai funghi (Facebook non rilascia il dato su quanti tra questi abbiano vomitato di fronte allo schermo), cacio e pepe e tiramisù stanno già sopra le 300mila mentre le cose si fanno assai più serie con la micidiale ricetta della carbonara che per il momento ha totalizzato non solo un milione e 300mila visite, ma qualcosa come 14mila commenti i più affettuosi dei quali vorrebbero vedere lo “chef” marcire in galera per il resto dei suoi giorni, convinti che neppure lì nessun ergastolano apprezzerebbe un rancio così riprovevole. Una sorta di Master Chef al contrario che però ha uno svolgimento narrativo coinvolgente, a tratti empatico e volto a generare curiosità (della serie: vediamo come ha storpiato quest’altra ricetta) e per qualcuno anche immedesimazione. Si immedesima il “pubblico da casa” che magari anche una sola volta nella vita una schifezza “alla Ruffi” l’ha fatta eccome, si immedesima certa ristorazione “italiana” all’estero (e non solo, ahinoi!) che ancora si barcamena tra pasta messa in acqua fredda col ragù, amtriciana al ketchup e altre porcherie.
Sì perché tra gli ingredienti più “infami” usato dal famigerato “Cuoco più famoso d’Italia” (o “Chef VIP”, come anche osa a volte definirsi) non si possono (e non si potranno mai più) scordare la sordida miscela di sale-pepe-glutammato, l’ancor più sgradevole “miscela di due pepi” (quali? Boh!) e la suddetta “versatile” che come il prezzemolo riesce a infilare anche dove è vietato.
Spesso Ruffi durante il filmato se la prende con quelli che “sparlottano dietro” e lo criticano perché sono gelosi della sua arte. La serietà con cui lo dice potrebbe portare a crederci se sopra all’audio scorressero le immagini di Cannavacciuolo che prepara le frittelle dolci di patate, ma poi vedendo le barbarità che riesce a creare tutto crolla.
C’è chi lo reputa un troll, ma è più probabile che dietro a questo fenomeno (è proprio la parola giusta!” ci sia ben altro. Facciamo alcune ipotesi.
Si potrebbe innanzitutto pensare, come già accennato, a una presa in giro della cucina italiana all’estero, tanto demonizzata e per mille valide ragioni. Oppure potrebbe semplicemente essere una ribellione contro gli eccessi della ristorazione gourmet, le fisime da gastro-fissati su materie prime e prodotti, la scarsa attenzione che le ricette e le videoricette propinate su web pongono sulla disponibilità di tempo (“smettiamola fare preparazioni come 200 anni fa” spiega Ruffi insistendo che per fare un buon ragù non devono essere necessari più di tre minuti, mica tre ore).
Certo, l’alternativa di Ruffi porta diretti alla lavanda gastrica, ma questo è un altro livello di analisi. Dunque, forse, sotto al troll c’è di più. Se ad esempio si trattasse addirittura di un cuoco con una genuina indole da tamarro, che crede davvero a quello che fa (in questo caso chiamare la neuro)? O se invece Chef Ruffi fosse un progetto per svelarci davvero come si lavora nella schiacciante maggioranza dei ristoranti, esclusi quelli più attenzionati da guide e appassionati?
Certo è che Ruffi è un grande attore. Sì perché per restare fedele al suo personaggio e per replicarlo sempre uguale a sé stesso ricetta dopo ricetta ci vuole arte ma soprattutto occorre essere convinti di ciò che si dice.
Per non togliervi il divertimento vi lascio la discutibile soddisfazione di verificare personalmente di quali atrocità culinarie è capace questo figuro. Posso suggerirvi senz’altro il capolavoro tra le sue ricette “casaline”: la carbonara. Un intruglio da sabba delle streghe che nemmeno Satana assaggerebbe. Per i palati più fini esiste anche la versione in microonde… Poi come perdersi le lasagne dove al posto del ragù vengono stratificati tra la pasta salsa di pomodoro, carne trita di manzo congelata e champignon? Se avete lo stomaco di un bisonte sopporterete anche l’aglio e olio (con olio d’oliva q.b., che a suo dire significa ‘quello buono’!) e gli arancini, ovviamente con la curcuma o lo zafferano, tanto è uguale!
Potreste anche essere curiosi di sapere come si violenta una bistecca cuocendola nella friggitrice o nel tostapane, ma se volete veramente provare cosa sia l’anticamera dell’Inferno non perdetevi sulla sua pagina Facebook la bistecca cotta a bassa temperatura… in una Jacuzzi!