Officine Cerutti: la lotta dimenticata


Le officine meccaniche Cerutti di Casale Monferrato (AL) sono state per anni leader nella produzione di macchinari per la stampa. Le rotative dei maggiori quotidiani in tutto il mondo sono marchiate Cerutti, e il marchio è sempre stato sinonimo di qualità e versatilità tutte italiane.
Purtroppo con l’avvento di internet i quotidiani a stampa hanno subito una micidiale contrazione di vendite e anche la Cerutti è entrata in crisi. Da oltre dieci anni i lavoratori non hanno più visto alcun benefit. Prima sono spariti i premi produzione, poi gli stipendi pagati in ritardo sempre maggiore, per non parlare dei TFR a chi andava in pensioni, versati col contagocce. D’altronde già allora non c’era più liquidità.
Nel 2019 era corsa voce di una chiusura dello stabilimento di Casale mentre il secondo stabilimento, quello di Vercelli nato oltre vent’anni fa in un momento di forte espansione dell’azienda, si sarebbe salvato, pur con tagli al personale. La giunta di sinistra e i sindacati sono restati a guardare senza porre in atto alcuna diffida o altra misura preventiva che, dato il momentaccio, avrebbe potuto almeno servire da monito nei confronti della proprietà.
Invece nel febbraio 2020 ci si è trovati con Vercelli chiusa causa Covid e l’unità principale di Casale salva. La chiusura dello stabilimento di Vercelli ha provocato la perdita di 160 posti di lavoro, che per la piccola città piemontese sono un salasso. Alcuni lavoratori vengono spostati a Casale, ma i criteri sono molto discutibili. Nel frattempo si parla sempre più insistentemente di fallimento e di una proposta di manleva per giungere alla riapertura di una “new company” a Casale senza debiti, ma i lavoratori dovrebbero accettare una buona uscita di 2000 euro subito e 13.000 euro più avanti. In realtà la prima rata è arrivata molto in ritardo e il saldo non è mai pervenuto. I sindacati, manco a dirlo, non si sono mossi, o al massimo hanno cercato di caldeggiare le proposte della proprietà senza curarsi dei dipendenti in cassa integrazione ormai da mesi e mesi, con vari stipendi arretrati, comprese le 13esime del 2018. I lavoratori che sono usciti per raggiungimento dell’età pensionabile o che hanno trovato un’altra occupazione non prendono un baiocco.
A questo punto parte l’istanza di fallimento. L’11 gennaio di quest’anno il Tribunale di Vercelli dichiara fallita la Cerutti: i curatori fallimentari dovranno occuparsi anche del saldo delle pendenze contrattuali con i lavoratori. Peccato che a oggi della cassa Covid richiesta a novembre 2020 non si sia visto un euro e le persone che potrebbero agganciarsi alla pensione in quanto lavoratori precoci vengano fatti rimbalzare tra curatori ed INPS come Gesù tra Erode e Pilato, rischiando di perdere ciò che è a loro dovuto. Per il mancato pagamento della cassa Covid i curatori danno la colpa allo Stato, all’INPS dicono che è colpa dei curatori e nel balletto i sindacati continuano a fare ne più ne meno ciò che da anni hanno fanno in Cerutti… parlano senza concludere.

Oggi i lavoratori sono esasperati e alcuni stanno minacciano azioni estreme. Si attende come data ultima il 19 febbraio per ottenere risposte certe, poi inizieranno le proteste.
I lavoratori della Cerutti sono rimasti soli. L’unica persona che ha dato una mano concreta in questi due anni è stato l’avvocato Olmo, grande filantropo vercellese, già protagonista di atti meritori durante l’emergenza Covid quando mancavano le mascherine, ringraziato personalmente anche dal Presidente Mattarella che lo ha insignito di un’onorificenza. L’avv. Olmo ha donato di tasca propria un bonus di 500 euro a famiglia lo scorso Natale. Il dottor Giancarlo Cerutti, già vicepresidente di Confindustria ai tempi di Emma Marcegaglia nonché presidente del Sole 24Ore (alla cui testa già aveva avuto grandi problemi di perdite), lo ha incontrato per ringraziarlo ufficialmente presso lo studio dell’avvocato Scheda. Ma il problema resta: senza soldi, senza benefit, senza TFR e ancora legati come cassintegrati alla vecchia Cerutti.
Le maestranze che per dieci anni si sono sacrificate e hanno tirato la cinghia anni nella speranza di una ripresa non ne possono più. Sebbene abbiano firmato per fare ripartire l’azienda di Casale, alla fine si sono ritrovati cornuti e mazziati. Per fine mese è prevista l’asta giudiziaria, aspettando un miracolo per salvare i 220 posti persi tra Vercelli e Casale.
A quanto si sente, raccogliendo le parole dei dipendenti esasperati, la proprietà in 10 anni non ha rinunciato mai agli utili, mentre le maestranze hanno dovuto accettare prima la cassa integrazione a zero ore poi i contratti di solidarietà lavorare: una settimana si e una no, part-time, e poi ancora cassa integrazione. C’è chi grida che la proprietà nel frattempo abbia imboscato i quattrini in conti esteri (Belgio?). Voci di questi giorni raccolte tra gli operai raccontano di una proprietà che si sarebbe intascata i TFR dei dipendenti e nel frattempo abbia continuato a foraggiare la squadra di basket di Casale. A parole sembra anche che i sindacati intendano denunciare questo comportamento, ma al momento sono solo parole, sempre parole…


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Fonti:
www.affaritaliani.it
Il Sole 24 Ore