Diventare genitori (parte 2a): la nascita di una madre


“Insegnerai a Volare, ma non voleranno il Tuo Volo.
Insegnerai a Sognare, ma non sogneranno il Tuo Sogno.
Insegnerai a Vivere, ma non vivranno la Tua Vita.
Ma in ogni Volo, in ogni Sogno e in ogni Vita,
rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.”
(Madre Teresa di Calcutta)

Eccoci al nostro appuntamento settimanale e… sentimentale! Siamo nuovamente ad affrontare il tema importantissimo della genitorialità.
La scorsa volta lo abbiamo analizzato dal punto di vista paterno, oggi ci addentriamo nell’affascinante mondo delle Mamme.
Dirò cosa ovvia affermando che il tema della maternità ha un significato di assoluto valore ed importanza, esso coinvolge le stesse radici dell’essere: è da quel rapporto, simbiotico e carnale, che tutto ha inizio!
Con la nascita di questo legame origina quell’universo relazionale che avrà importanza nel corso dell’intera vita.
Non esiste altra intimità di rapporto assimilabile, anche lontanamente, a quella di una donna con il proprio figlio/a.
Nel corpo della madre l’embrione pian piano cresce, nell’odore, nel rumore e nel sapore della mamma è immesso fin dai primi istanti dell’essere al mondo. Lo status sperimentato fin dal concepimento dal nascituro è strettamente dipendente dalle percezioni, dalle sensazioni e dagli stati d’animo vissuti dalla mamma, dai dubbi e dai timori percepiti, così come anche dal senso di benessere e di appagamento della donna nell’accogliere nel suo grembo la nuova vita.
Da tutto ciò e dal processo conseguente, prende corpo il temperamento di base che qualificherà il nuovo nato e che lo predisporrà a quella gamma di esperienze del tutto peculiari che la vita nel suo scorrere gli riserverà.
Possiamo allora affermare che, se il Padre è più incline ad instradare il piccolo nato nel mondo sociale della legge umana, la Madre, certamente e prima ancora, lo introduce nel mondo della Vita.
La madre dona la vita ed attraverso questo miracoloso atto si fa portatrice dei sentimenti dell’accoglienza, della devozione, dell’apertura e del dono di sé.
Certo è, e di questo non si dovrebbe temere perché accade nella maggioranza dei casi, che tra la Madre archetipica e la madre reale si insinuano spesso dispute complesse ed irrisolte. Ciò accade perché la donna giunge sovente alla maternità carica di ferite, bisogni di affermazione e magari di mancate attenzioni da parte della sua figura paterna, tutte condizioni che interverranno nella relazione madre-figlio/a e spesso spalancano le porte ad importanti problematiche psicologiche, quali la depressione pre e post partum, il maternity blues o la psicosi post partum.
Le mamme devono tener a mente che esse rappresentano anche il primo oggetto d’amore per entrambi i sessi e fonte della maggior gratificazione emotivo-affettiva nei primi anni di vita.
Diventare madre, ed altrettanto padre, rappresenta una prova fondamentale per la propria identità: con tale esperienza si verifica il ridimensionamento di una condizione esistenziale ed il sorgere di un’altra. Nuove preoccupazioni, nuove responsabilità ed emozioni appaiono dal momento in cui si sperimenta in concreto l’idea della maternità e la stessa vita della donna assume un rinnovato senso, prima sconosciuto.
In primis questa assiste al dilatarsi in termini fisici e psicologici della sua vitalità interiore, fatto necessario all’accoglienza della vita nascente.
La neomamma deve confrontarsi con il cd fascino dell’archetipo Madre e questo è tale per cui facilmente induce al sacrificio, anche parziale, della sua identità personale, della piccolezza della sua individualità, al fine di raggiungere una pienezza capace di colmare il senso di vuoto percepito in precedenza. Se questo ha un grande valore lo ha tuttavia, altrettanto, il non soccombere, il non perdere di vista l’essere donna. Bisogna mantenere una relazione positiva con la propria forza interiore evitando di lasciarsi sommergere.
La Madre, è certamente colei che dona la vita, quindi generosa e luminosa, ma possiede anche lati oscuri, l’inconscio, la parte segreta della sua psiche, il tutto associabile al grembo materno, caldo e buio, ma da cui è necessario uscire per vivere.
La Madre può usare il proprio amore come strumento di potere e di dominio, può divorare e soffocare. Può personificare la Fata e la Strega, la parte accogliente e disponibile e la parte ostile e contrastante come ampiamente ci dimostrano le vicende della vita ma anche la copiosissima letteratura. Alle spalle della donna che diventa madre esiste una storia da cui ella non può prescindere nell’affrontare la nuova situazione di maternità, una storia che può contenere i conflitti, i complessi, talvolta irrisolti ed inconsci, non sempre elaborati e superati e tutto ciò è assai rilevante ai fini del nascente rapporto.
Nella vita di una ragazza che, ormai donna, si accinge a diventare madre sono presenti in maniera non sempre del tutto consapevole una varietà di situazioni più o meno problematiche e complesse, un bagaglio che l’accompagna nella nuova condizione, avventura pregna di sfide ed opportunità ad un tempo, peso da portare e ricchezza da scoprire in una realtà in cui si palesano luci ed ombre. Vale la pena ricordare come, ad esempio, i complessi parentali, paterno e materno anche in senso lato (i cd care givers), sono assai potenti. Ed i propri vissuti, positivi o negativi che siano, non sono cosa morta dentro la psiche: occorre instaurare con essi un rapporto cosciente per addivenire ad una evoluzione personale.
In pratica lo status di Madre è una predisposizione che si attiva, si umanizza e si personalizza in relazione alla propria esperienza personale e questa quando produce sofferenze latenti, va approfondita ed elaborata con un lavoro di tipo terapeutico ad hoc.
Considerato tutto questo possiamo confermare l’estremo valore ed importanza che reca con sé l’evento della maternità nella vita della donna, forse è realmente il più importante in assoluto per le implicazioni ad esso collegate.
Come detto, questo genera conseguenze fisiche ed emotive tali da potersi qualificare lo spartiacque tra una vita prima ed una vita dopo.
Il grande De André, ne “La buona novella”, direbbe che si apre la stagione di essere madre.
A tal uopo mi pare interessante riportare la testimonianza di Kate Middleton, moglie del principe William di Inghilterra, la quale riferisce all’Ordine britannico degli ostetrici e ginecologi riguardo le modifiche legate all’esperienza di divenire madre e dice: «la tua identità cambia di colpo, nel giro di poche ore quando diventi mamma, e ti senti molto insicura. Si tratta di un’esperienza meravigliosa e gratificante, ma anche di una sfida enorme».
La nascita del bambino è anche, come si è detto, nascita della madre ed origina lo sviluppo di un nuovo assetto psichico, uno “spazio mentale” che diviene parte costante dell’identità personale anche se potrà assumere proporzioni diverse a seconda dei momenti della vita. In ogni caso determinerà nella persona una parte nuova prima inesistente.
Contemporaneamente emerge un intricato e complesso mondo emotivo fatto di paure, ansie, desideri, incertezze che purtroppo non sempre trovano il tempo dell’ascolto ed espressione, sicché, pur essendo aspetti del tutto “normali” rischiano di essere amplificati.
Essere madre è un compito arduo ed impegnativo cui difficilmente la donna si sente preparata.
Richiede una preparazione lenta, graduale e quotidiana, fatta di attenzioni, impegni, responsabilità che agiscono sullo stesso mondo interiore modellandolo e adeguandolo alla nuova situazione, favorendo la costruzione dell’identità di madre che, prima solo immaginata, diventa adesso reale. L’“essere” madre va poi in parallelo con il “sentirsi” madre, aspetto di ulteriore approfondimento e valore a livello relazionale e di scambio che implica un’immersione completa nella nuova condizione. Mi associo umilmente alle annotazioni di Massimo Recalcati in un interessante lavoro sulla figura materna secondo cui la condizione di madre implica ospitare la vita nella vita, prendersene cura e crescerla rendendo la vita del figlio unica e insostituibile, ma al tempo stesso saperla perdere, saperla lasciare andare. Ecco, anche in questo sta il senso stesso della maternità ed il suo dono: rinunciare al potere, ospitare la vita senza vantare diritto di proprietà, senza diventare una trappola, consentire ai figli di affrancarsi e diventare liberi di essere se stessi.
Siamo tutti d’accordo nel ritenere fondamentale, per la vita e la crescita del figlio, la presenza materna, dispensatrice di sguardi, abbracci e coccole, ma non per questo si può sottovalutare l’importanza anche della sua assenza, il suo allontanarsi dal figlio che risulta altrettanto significativo.
In questo senso è veramente importante proteggere una dimensione intima ed individuale così che la donna non faccia rischiare al bambino di essere totalmente assorbito e possa conservare un suo spazio. Non una buona madre è infatti colei che si annulla nella dimensione materna, che dimentica la propria realtà intima ed individuale. Lo è invece quella che continua ad esistere come donna con le sue esigenze e con i suoi desideri.
Nel prendersi cura del figlio assumono rilievo tre elementi del corpo materno: le mani, viso e sguardo ed il seno per motivi che possono essere facilmente compresi. Le mani della madre trattengono la vita nella vita, sono garanti di una presenza attenta, afferrano nell’attimo in cui viene percepita la paura del vuoto. I gesti delle mani curano in svariati modi e forme ed esprimono significati di grande valore e parlano una lingua che precede quella verbale.
Il volto e lo sguardo materni hanno un valore ed un significato altissimo per ogni bambino. È il volto materno quello che ogni figlio ha esplorato per primo e attraverso lo sguardo della madre ogni figlio si è potuto guardare per quello che è. L’incontro con quello sguardo fonda la nostra stessa immagine ed è attraverso il viso della madre che il bambino incontra il volto del mondo. Così paura, ansia, timore dipinti sul viso materno non possono non trasferirsi nello sguardo del figlio che attraverso di esso filtra la realtà esterna. Al contrario, se il viso materno è aperto alla gioia ed al sorriso il bambino riflette in quel modo il mondo che lo circonda e sarà portato ad esplorarlo con altrettanta gioia e curiosità.
Infine il seno: attraverso esso la madre soddisfa il bisogno primario di nutrimento, è testimonianza della presenza della madre, simbolo del suo esserci per il figlio, dispensa latte, ma anche dolcezza e nutrimento affettivo.
Ecco perché, nell’ultimo ventennio, due noti psicoanalisti americani (Meltzer e Harris) hanno ritenuto di dover riassumere le funzioni genitoriali, in particolare materne, semplicemente in: capacità di generare amore; capacità di infondere speranza; capacità di contenere la sofferenza depressiva; capacità di pensare. Si tratta di considerazioni immediatamente comprensibili: si coinvolge e si esalta la componente emotivo-affettiva, quindi quella intellettiva, il tutto per celebrare la grandezza della figura materna e far comprendere il potere della relazione madre-figlio che teneramente travalica quello di ogni altra relazione umana.

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