PsicologicaMente – Diventare genitori (parte 1a): l’invisibilità del padre


Uno dei passaggi più cruciali dell’esistenza umana e di coppia è sicuramente quello di diventare genitori. Un momento bello, magico, elettrizzante, ma anche difficile, terrorizzante, pregno di significati.

Da quella lineetta effimera, appena accennata, inizia il più intimo cambiamento, tutta l’esistenza subisce una trasformazione. Non a caso trascorrono ben nove mesi prima di dare alla luce i propri pargoli, serve tempo: ai bimbi per essere pronti alla vita fuori dal nostro corpo, alla donna e all’uomo per fare un meraviglioso viaggio interiore: sentirsi e divenire genitori.
Nove mesi per darsi il tempo di accettare i cambiamenti del corpo, dell’umore, della relazione di coppia, dello spazio di casa, delle priorità della vita. Per la futura mamma, ma anche per il futuro papà che vive insieme alla partner tutte le emozioni, si profilano mesi di nausee, di odori insopportabili, di sonno improvviso o di insonnia, di caviglie gonfie e bruciori di stomaco, mesi di fantasie su come sarà, a chi somiglierà, di che colore saranno i suoi occhi. Mesi in cui passando per un terremoto fisico si realizza un importante percorso di consapevolezza.
Natura ci da tempo per predisporci, perché da quell’istante in poi siamo cosa nuova, una cosa che si può raccontare, che si può immaginare, ma che si capisce solo provandola.
Come prepararsi allora al meglio? Qual’è la ricetta per sentirsi pronti quando arriverà il momento?
Nessuna ricetta ci verrà in soccorso, nessun manuale, nessun segreto.
Anche se tutti ne vanno alla ricerca.
E così hanno inizio, oggigiorno, affannose ricerche su internet per istruirsi alla perfezione, cercare informazioni su come organizzarsi, cosa acquistare, cosa essere! Ed è tutto umano, tutto comprensibile, le future mamme diventano “tuttologhe infantili”, si cerca di comprendere la pratica, ma solo dopo ci si rende conto che questa è solo una parte, quella minore, ed anche che diventare il genitore perfetto è utopia: non solo non esiste, ma nemmeno serve esserlo.
Amore, protezione, contatto, carezze, nutrimento, consolazione, rassicurazione, allegria, gioco, scoperta, dialogo, presenza, attenzioni, regole, abbracci, sorrisi, sogni, empatia: questo serve.
La verità è che dovremmo renderci conto che siamo biologicamente programmati per fare figli e allora non serve leggere come fare: l’istinto e i bimbi stessi ci diranno come comportarci.
E non dimentichiamo, durante tutta questa “corsa” all’informazione, la nostra intimità. Quando si associa intimità a genitorialità, il più delle volte si pensa alla sfera sessuale, nulla di più sbagliato e riduttivo.
L’intimità è una dimensione molto più ampia e profonda, è la parte più complessa di questa fase della vita: il lavoro intimo e personale che si affronta nel diventare genitore, un ruolo si aggiunge alla nostra vita. Non siamo più solo figli, non siamo più solo donne e uomini, non solo mogli e mariti: a tutto questo si aggiunge l’essere madre e padre per l’eternità, e scusate se è poco!
Trovare l’equilibrio fra questi vari ruoli non è cosa facile.
Talvolta nascono grandi sensi di colpa, che logorano l’anima, che possono anche schiacciare, che frenano, che tengono ancorati al suolo quando si avrebbe, viceversa, voglia di spiccare il volo.
Questa è la sfera intima connessa all’essere genitore, trovare la dimensione per incastrare tutte le necessità e tutti i sentimenti, è sorridere e guardarsi allo specchio dicendosi: “Beh, alle volte sei un disastro, ma stai facendo un buon lavoro”.
E per le mamme e per i papà si riproduce in egual misura lo stesso meccanismo, infatti, sarebbe cosa giusta riservarsi vicendevolmente le stesse attenzioni che si desiderano per sé, cercare di sorridere tanto, spesso, ma soprattutto insieme.
Concentriamoci sulla prima parte di questo articolo: i papà.
Fino ad oggi l’analisi del tema “genitorialità” si è focalizzata sulla figura della madre e sul suo ruolo nel rapporto con il bambino appena nato: la paternità è rimasta sullo sfondo, come un dato per scontato. Quello materno è stato per secoli definito un istinto, ma cosa del ruolo paterno?
In effetti, solo recentemente si è cominciato a sostenere che la genitorialità è un’impresa condivisa sia dalle madri che dai padri, uno dei segnali di tale cambiamento, inerente la coppia ma anche il rapporto padre‐figlio, è la maggiore partecipazione del padre a partire dalla gestazione, passando per la nascita del figlio a proseguire.
Non vorrei scadere nel semplicismo, ma quella del padre è passata spesso come una funzione per lo più economica e disciplinare cui si ottempera provvedendo alle necessità familiari, con conseguente delega delle attività domestiche e di cura alla madre. Ecco che, sulla scorta di una simile accezione, i padri hanno assunto la tendenza a interpretare le nuove responsabilità a livello logistico, a concentrarsi per fornire alla famiglia tutto il necessario dal punto di visto prettamente materiale.
Ebbene, una simile e grossolana preoccupazione è stata causata dal fatto che per molto tempo è stata tralasciata l’emotività del padre, è stata considerata inesistente ma soprattutto incongruente con la tacita regola per cui l’uomo deve essere “forte e maschio”.
Non è fatto ignoto che la cultura di tutte le società alimenta da sempre lo stereotipo per cui la mascolinità mal si concilierebbe con l’espressione dei sentimenti: sono le donne predisposte a ciò, mentre per l’uomo è disdicevole far emergere un proprio lato interiore. Si aggiunga a questo che, subito dopo la nascita, concentrarsi sul lavoro ha aiutato il padre ad assumere un ruolo chiaro, un obiettivo sicuro ed utile a ridurre la confusione e l’incertezza che caratterizzano il primo periodo dopo la nascita di un figlio.
Ecco perché parlare di “invisibilità del padre”, questa lontananza dai figli, materiale ed emotiva, dovuta ai soliti “motivi di lavoro” e che andrebbe di pari passo con la piena assunzione del ruolo educativo da parte della donna: ciò mette seriamente a rischio la funzione paterna.
Come dicevo, solo recentemente si è acceso un riflettore sullo status dei padri.
Ecco che li si invita ad alcuni incontri dei corsi pre-parto, gli si consente di assistere alla nascita, talvolta prendono l’iniziativa di cambiare i pannolini, leggere favole, svegliarsi in notturna per cullare i neonati e indossare i marsupi. Sembrerebbe che l’espressione dell’affettività e il coinvolgimento in talune attività di cura nei confronti dei figli non vengano più percepiti come inadatti, o addirittura minacciosi, rispetto al ruolo paterno-maschile.
In ogni caso, sono ancora poche le ricerche psicologiche che prendono in considerazione il padre durante il periodo perinatale, e quando viene fatto è solo in maniera marginale o indiretta. Bisogna, tuttavia, ammettere che questa circostanza è dovuta da un lato alle maggiori difficoltà che si riscontrano nel coinvolgere i padri, dall’altro al fatto che gli uomini raramente si sono soffermati a riflettere sui loro aspetti emozionali più intimi e legati alla paternità. Essi hanno la tendenza ad esprimersi più in termini di fatti concreti che in termini di vissuti.
Da uomo debbo a malincuore sottolineare che è stato appurato come le difficoltà nel rapporto di coppia, la carenza di supporto, in particolare proprio da parte del compagno, l’assenza di un confidente, sono i fattori più rilevanti e spesso scatenanti le problematiche nella salute mentale della donna, nonché l’insorgenza della cd depressione post partum (importante disturbo dell’umore che colpisce il 10-20% delle donne nel periodo immediatamente successivo al parto e che avremo modo di approfondire in una sede apposita).
Ipotizzare quindi di coinvolgere maggiormente i papà può produrre risultati migliori anche nella prevenzione di malesseri nella donna e nella coppia dopo la nascita di un bambino, e potrebbe rendersi molto importante poiché l’interazione dei padri con i loro figli neonati certamente esercita una positiva influenza nello sviluppo del bambino.
Per molti uomini diventare padre è una meravigliosa conquista, un obiettivo agognato, per altri è un evento rimandato, spesso evitato e non sempre desiderato. Ad ogni modo è certo che, nonostante i diversi vissuti, tutti vivono esperienze emotive profonde in prossimità dell’evento nascita del proprio figlio, purtroppo ciò che colpisce è che pochi uomini riescono davvero a raccontare e parlare di tutto questo con qualcuno, pertanto l’esperienza emotiva dei nuovi padri rimane un mistero inesplorato, un evento interiore di cui si sa poco.
Per conoscere meglio io stesso la generale condizione dei papà ho approfondito l’argomento ed ho scoperto che alcuni terapeuti hanno tentato, attraverso incontri in strutture pubbliche e somministrazione di test, di indagare come i padri vivono l’attesa del figlio e la nascita, provando a valutare quali elementi possono rappresentare forme di facilitazione anche nella relazione padre-figlio. Sono emersi dati interessanti che, veramente, infondono grandi speranze di miglioramento.
Dalle risposte a questionari somministrati prima del parto sono emerse: consapevolezza del proprio ruolo di padre, conoscenza delle necessità e caratteristiche del neonato, voglia di prendersi cura del figlio senza delegare altri, desiderio di protagonismo al fianco della madre.
I questionari somministrati dopo il parto hanno invece rilevato emozioni forti, desiderio di contatto fisico col neonato, sentimenti di protezione, felicità e tenerezza alla vista della prima poppata.
Non sono sembrate esserci differenze significative tra i padri che hanno partecipato o meno ai corsi di accompagnamento alla nascita ed anche la modalità del parto non dovrebbero incidere sui neo papà. La maggior parte di essi sono risultati abbastanza consapevoli dell’importanza del loro supporto nei confronti sia della mamma che del bambino e molti hanno esplicitato il desiderio di un contatto fisico con il figlio. Sono emersi sentimenti di protezione e di tenerezza, sensazioni profonde ed assai delicate.
Ad ogni modo i nuovi padri sono, senza dubbio, ancora in difficoltà nel riconoscere, validare e condividere con altri uomini e con la propria compagna lo status interiore conseguente all’imminente esperienza genitoriale laddove sarebbe, invece, fondamentale conquistare una nuova consapevolezza emotiva, riconoscendo e dando parole alle molte emozioni che si affollano nel loro mondo intrapsichico.
Depressione ed ansia paterne nel periodo perinatale possono avere gravi conseguenze per la nuova famiglia e va detto che in effetti anche i Servizi sanitari potrebbero meglio supportare i nuovi padri fornendo loro informazioni sulla genitorialità dal punto di vista della prospettiva paterna o permettendogli di seguire incontri specifici di assistenza prenatale.
Sarebbe meraviglioso dare vita ad una generazione di genitori e partner più consapevoli delle dinamiche della neonata famiglia e del primissimo sviluppo del bambino, si avrebbero maggiori opportunità per generare circoli virtuosi di emotività equilibrata nei piccoli nascituri e inevitabilmente nei contesti familiari nucleari ed allargati.
Lavorare con i papà sarebbe un’esperienza duplice in termini di risvolti positivi: andrebbe infatti ad influenzare sensibilmente la salute psicologica e medica della mamma alle prese con cambiamenti impegnativi legati al corpo e alla mente non sempre accolti di buongrado. Il rapporto di coppia sarebbe inoltre maggiormente sostenuto da un papà-partner non per forza più presente bensì più consapevole emotivamente.
Si tenga, inoltre, presente la straordinaria importanza di questo periodo di cambiamenti per la coppia. Quest’ultima fa spazio ad una nuova vita e si confronta con la pietra miliare dell’evoluzione familiare futura. Se durante questa trasformazione non ci si presta entrambi alla cura della relazione diatica, questa potrebbe rappresentare una minaccia pericolosa all’intesa fino a quel momento esistente.
Nel prossimo numero della Rubrica daremo spazio alla figura materna ed ai coinvolgimenti emotivi che questa vive.

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Dott. Massimiliano Loreto
Psicologo, Psicoterapeuta
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