Conte costretto in ogni caso a dimettersi?


Sono ore concitate per la politica italiana quelle che si stanno consumando tra palazzo Chigi, il Parlamento e il Quirinale. Stando ai retroscena di palazzo, oggi il premier sarebbe l’unico nella maggioranza a volere un confronto in aula con Matteo Renzi, per “stanarlo” e dimostrare all’Italia chi vuole davvero portare l’Italia alla crisi di governo in piena emergenza Covid, come suggeriscono alcuni commentatori. Adesso però è Sergio Mattarella a mettere Giuseppe Conte con le spalle al muro. Infatti, ciò che l’avvocatino prestato al potere non pare voler considerare, però, o perlomeno sembra sottovalutare, è la posizione del Quirinale, che già nel discorso di fine anno aveva messo in guardia dal rischio di aggrapparsi a maggioranze raccogliticce: esattamente quello a cui sembra invece mirare Conte, fosse anche solo per averla vinta sul Bomba e sulla sua Italia Viva. Ma qui, appunto, rischia di schiantarsi contro il Colle.
Se si arrivasse al voto di fiducia in Senato e risultassero decisivi i voti dei cosiddetti responsabili, Conte consegnerebbe a qualche ex berlusconiano il pallino del futuro. Inaccettabile, per il Nazareno. Non solo: se invece fosse Renzi a spuntarla, sfiduciandolo, di fatto si renderebbero impossibili le condizioni per un Conte Ter a cui stanno disperatamente lavorando gli sherpa del PD. In entrambi i casi, però, Conte sarebbe costretto a dimettersi e salire da Mattarella, aprendo la strada a tutto tranne che a una “crisi pilotata”, come auspica chi non vuole scossoni. Al Colle, secondo alcuni commentatori, c’è scetticismo rispetto allo scenario di una conta parlamentare che punti a raccogliere responsabili. Che poi, responsabili di che? Ricordiamo che vennero chiamati responsabili per la prima volta Scilipoti, Razzi e alcuni altri diedero vita al movimento che permise al governo Berlusconi IV di ottenere la fiducia il 14 dicembre 2010. Quindi, con la classica nonchalance italica oggi vengono definiti allo stesso modo ‘responsabili’ coloro i quali dovessero fare la forca ai responsabili di allora. In buona sostanza, da ciò che traspare, essere responsabile in questo Paese significa semplicemente stare aggrappato alla carrozza del vincitore.
Inoltre, le perplessità di questa strategia deriverebbero anche dal fatto che difficilmente una nuova maggioranza risponderebbe ai “requisiti di omogeneità e coesione sul programma” che il Capo dello Stato ha posto come condizione per la formazione di un’eventuale nuova compagine di governo. E dunque, a quel punto, escludendo un rimpasto l’unica via sarebbe quella delle elezioni.
Nel frattempo Matteo Renzi tira dritto come un ariete e mette Conte spalle al muro: solo il passo indietro del premier potrebbe aprire la strada (forse) a un Conte Ter con rimpasto sostanzioso e nuovi equilibri nella maggioranza. Una “crisi pilotata” guardata con sospetto da Palazzo Chigi ma pure dal PD, che conosce bene di che pasta è fatto il loro ex-segretario e non si fida delle eventuali rassicurazioni post voto di sfiducia. Perché le crisi, una volta aperte, possono sempre sfuggire ai loro protagonisti con esiti disastrosi, visti dal Nazareno, come il possibile allargamento al centrodestra. E se voci dal Quirinale già definiscono il presidente Sergio Mattarella “irritato” e “preoccupato” per la brutta piega che sta prendendo la situazione, i retroscena su Conte sono ancora più pesanti.
A quanto pare, dunque,  il premier è “disposto a cedere praticamente su tutto (dal menù del Recovery Plan alla fondazione sulla cybersecurity, dalla delega ai Servizi fino a dire sì a un corposo rimpasto)”. In cambio, però, non vuole rischiare il voto in aula perché Renzi “è imprevedibile – sarebbe lo sfogo dell’avvocato coi suoi uomini più fidati -, chi mi dice che una volta dimesso quello mi darà la fiducia? Se si apre la crisi non ne esco vivo”. Visti i precedenti (da Matteo Salvini nell’estate 2019 a Enrico Letta nell’ormai lontano 2014, Conte tutti i torti non li ha.
Ma nonostante l’obiettivo del premier di logorare la strategia di Italia Viva e cercare di prendere tempo rispetto alle richieste di Matteo Renzi, evocando il momento del “silenzio operoso” e consegnando un progetto per il nuovo Recovery Plan riscritto per venire incontro alla richieste genziane, è probabile che nelle prossime ore si apra la crisi: gli alleati e il Quirinale tendono a considerare l’epilogo quasi inevitabile, nonostante il Bomba e i suoi dicano di apprezzare alcune aperture. Il lavoro di Conte nel cercare di rimediare e di venire incontro alle esigenze della sua maggioranza sembrano arrivare in netto ritardo.
Il destino del premier è infatti in mano dell’alleato minore della coalizione. Fummo profeti quando Italia Viva vide la luce, nel dire che sarebbe stata, prima o poi, l’ago della bilancia di questa maggioranza raccogliticcia e raffazzonata. La manovra di Renzi è da manuale della politica: se la maggioranza di cui faccio parte si regge per cinque voti, faccio un partito con dieci fuoriusciti e in qualunque momenti posso staccare la spina!
Questo è esattamente ciò che non dovrebbe poter accadere, e non accadrebbe se la smania di potere non avesse fatto escludere il vincolo di mandato dalle norme che regolano la Legislatura in questa Repubblica! Buona parte della Costituzione è da riscrivere, non solo la legge elettorale (che anche stavolta passerà in cavalleria, ahimé), ma sarà compito di una maggioranza solida, ben schierata e coesa, con principi saldi e risorse di valore, non certo di acrobati e venditori di bibite votati da un popolo imbufalito e grazie a una scelta fatta da 40 o 50 idioti che hanno fatto click sulla piattaforma Russeau!


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Fonti: Repubblica, il Sole 24 Ore, Corriere della Sera, Il Messaggero