Ubuntu


«In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell’essere umani solo attraverso
l’umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione
degli altri». (Nelson Mandela)

Facendo ricerche su internet ho trovato le seguenti informazioni: Ubuntu è un’etica o un’ideologia dell’Africa sub-sahariana che si focalizza sulla lealtà e sulle relazioni reciproche delle persone.
È un’espressione in lingua bantu che indica “benevolenza verso il prossimo”.
È una regola di vita, basata sulla compassione, il rispetto dell’altro.
Appellandosi all’Ubuntu si è soliti dire Umuntu ngumuntu ngabantu, “io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo”. L’Ubuntu esorta a sostenersi e aiutarsi reciprocamente, a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma anche dei propri doveri, poiché è una spinta ideale verso
l’umanità intera, un desiderio di pace. (Wikipedia)
Ubuntu è quindi accogliere ciò che è diverso e acquisirlo nel rispetto altrui.
E’ libertà, è accrescere il nostro concetto di fratellanza, in una parola far parte di una sola umanità dove non esistono i muri costituiti dai pregiudizi negativi di diversità sociali, etniche o religiose ma solo persone, che tramite un continuo scambio, si arricchiscono.
Tutte le volte che incontriamo una persona, ci confrontiamo con lei o interagiamo noi prosperiamo perchè da questo dialogo ricaviamo il meglio.
Un gioco di connessioni infinite dove una persona prende il meglio dall’altra, conservandola in sé e accompagnandola in tutta la sua esistenza.
Ubuntu è visto come uno dei principi fondamentali della nuova repubblica del Sud Africa, ed è ed è alla base del suo rinnovamento.
Nella sfera politica sudafricana il concetto di Ubuntu è usato per sostenere la necessità di unità o consenso nel prendere decisioni.
Un esempio di ubuntu applicato alla politica è costituito dal punto 24 del capitolo 2 della Carta Bianca per il Benessere Sociale promulgata il 19 febbraio del 1997:
Il principio di preoccuparsi per il benessere di ciascuno sarà promosso e uno spirito di supporto reciproco sarà favorito.
Le differenze, qualunque esse siano, non esistono solo in Africa ma in tutto il mondo, pertanto, il concetto di Ubuntu coinvolge ognuno di noi, nessuno escluso.
L’individuo, secondo l’Ubuntu, viene considerato (e non giudicato) come un essere umano che ha le sue particolari caratteristiche e non sulla base dei nostri concetti stereotipati al riguardo.
Nel momento in cui vediamo l’altro, lo riconosciamo e lo rispettiamo come persona, allo stesso modo, arriviamo a possedere un’identità.
Quando ci mettiamo in gioco, ci esponiamo l’uno verso l’altro, rendendoci disponibili a incontrare le nostre reciproche differenze che scaturiscono dalla nostra natura umana e ciò affinchè, da una tale consapevolezza, possiamo arricchire noi stessi.
In questo consiste crescere.
Ubuntu, dunque, implica due elementi fondamentali che sono condivisione e collaborazione.
Aver bisogno di stare intorno ad altri per godere e accrescere noi stessi ha anche dei profili socio-politici notevoli: se una persona è tale nei suoi rapporti con gli altri, perchè vi è un legame comune, allora le vicissitudini di una si riversano inevitabilmente nell’altra, ne consegue che, se ad esempio, le mie circostanze economiche, o sociali, migliorano, tutti attorno a me beneficeranno di tale vantaggio.
Tralasciare i problemi degli altri, perchè non ci riguardano direttamente, non fa altro che trasferire con maggior carico tali problemi alle generazioni future. Siamo veramente così sprovveduti?
Ho trovato un bellissimo racconto al riguardo su internet che vi riporto di seguito:
Un antropologo propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana. Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi sarebbe arrivato prima avrebbe vinto tutta la frutta.
Quando gli fu dato il segnale per partire, tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodiché, una volta preso il cesto, si sedettero e si godettero insieme il premio. Quando fu chiesto ai bambini perché avessero voluto correre insieme, visto che uno solo avrebbe potutoprendersi tutta la frutta, risposero “UBUNTU: come potrebbe uno essere felice se tutti gli altri sono tristi?”.
Lo trovo un ritratto fantastico.
L’arcivescovo Desmond Tutu, Premio Nobel per la pace, è un importante sostenitore dell’Ubuntu e lo ha assunto come modello in tutta la sua attività di difesa dei diritti civili durante l’Apartheid.
Tutu ha definito la persona Ubuntu come «aperta e disponibile agli altri, solidale con gli altri, non dubita che gli altri siano validi e buoni, perchè ha quella sicurezza che deriva dal sapere di appartenere ad un tutto più grande e che siamo feriti quando gli altri sono umiliati o feriti o torturati
od oppressi».
L’arcivescovo Tutu viene citato da Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli Tutti, come sua fonte di ispirazione e, in effetti, in tale opera si legge «ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona» ergo,
siamo «tutti fratelli e sorelle».
Papa Francesco esorta, in tale scritto, a una cultura della fraternità basata sull’incontro e sul dialogo che trascende diversità e divisioni, ma che include ogni prospettiva, offrendo nuove possibilità.
Il dialogo è promotore di un’amicizia sociale che rispetta le diverse opinioni o punti di vista, è aperto agli altri perchè riconosce che noi apparteniamo ad un tutto unico e che siamo accomunati dalla ricerca della verità e del bene comune.
Fondamentali in questo processo sono anche il perdono e la riconciliazione, non intesi come mero condono o consistenti in un dimenticare le ingiustizie subite ma come modi per risolvere i conflitti attraverso il dialogo e l’incontro appunto.
Iniziamo un nuovo 2021 in cui abbiamo riposto molte speranze, una sicuramente, di liberarci da un male che ci ha accomunati, proprio come una grande famiglia, rendendoci tutti ugualmente esposti alla sua ferocia.
Ci hanno obbligati a stare in isolamento, a seguire regole ferree ma se ancora siamo qui, più forti
che mai, è grazie alla compassione che abbiamo saputo dimostrare.
Chiudo quindi con una citazione di Nelson Mandela: «essere liberi non significa spezzare le proprie catene. Significa vivere rispettando e valorizzando la libertà altrui».