Recovery Fund: dove mettere i soldi


Il problema dello sviluppo economico turistico a nord e a sud.

Il lavoro sull’area delle ceramiche (province di Modena e Reggio Emilia) mostra un giacimento ricco di beni culturali, dalla posizione strategica e praticamente sconosciuto a livello nazionale e internazionale. Tali elementi ne qualificano lo stato di “tesoro nascosto”.
Lo utilizzerò come caso emblematico del problema del nord riguardo allo sviluppo economico turistico, incentrato sul rapporto con un territorio dotato di vocazione industriale, in particolare qui del settore ceramico. Effettuerò poi il raffronto con un’esperienza emblematica riguardante il sud del Paese, geograficamente opposto nella mappa nazionale ma non opposto riguardo al tema della valorizzazione delle risorse culturali e naturali dello Stivale, seppur con problemi di ben diverso tipo.
Vi parlo da sociologo e, in particolare, da sociatra, la specialità che porto avanti dal 1975 e che è documentata in centinaia d’interventi svolti sul tessuto socioeconomico italiano ed estero, dalla progettazione economica di area vasta (dal sistema Paese alle dimensioni regionali e semiregionali) alle grandi e piccole organizzazioni private e pubbliche, alle infrastrutture fisiche e culturali, alla salute, alla famiglia, all’arte.
Questa esperienza concreta illumina anche il problema della programmazione economica dell’Italia, il Paese che tutti noi, in vario modo, amiamo e del quale tutti noi, sempre in vario modo, soffriamo le contraddizioni e la enorme intrinseca complessità, propria di un tessuto socio-geo-economico apparentemente limitato e, quindi, all’esterno come in patria, considerato davvero sorprendente per non qualità di gestione.
Il mio contributo tratta di come ancora una volta l’Italia potrebbe stupire il mondo con una crescita inaspettata. Come investire 120 dei 209 miliardi di €, dei Recovery Fund per ottenere circa 400 miliardi di PIL.
Natura e cultura, due ambiti che si avvalgono di percezioni da godere in una condizione di meditazione, che s’intende quieta: così vale per la bellezza di un panorama, per l’acqua del mare, per il sole, per il cibo che gustiamo, per la enorme quantità di segni artistici visivi, uditivi, tattili, gustativi e olfattivi che costituiscono il patrimonio culturale italiano e si miscelano con la natura ancora tanto benevola della penisola e della sua meravigliosa insularità. In ciò la fruizione turistica e culturale si differenzia da quella manifatturiera, che agisce sempre attraverso trasformazioni e non, quindi, attraverso un atteggiamento puramente ricettivo.
Tali condizioni di meditazione, che sono l’elemento principale del fenomeno economico-turistico: “Vado in Italia perché ci sono tanti elementi d’interesse artistico e culturale, vado in Italia perché il clima e la natura sono piacevoli e particolari” devono essere garantite all’esperienza. Ecco allora i due principali aspetti di programmazione economico-turistica:

1. aumentare e rendere disponibile il maggior patrimonio possibile di elementi d’interesse artistico e culturale, e fattori d’interesse naturale;
2. consentire una corretta fruizione, una percezione il più possibile piena, pulita e consona, dunque la migliore attualizzazione, del potenziale meditativo culturale (e naturale) di cui sopra.

Riguardo all’entità del patrimonio, l’esperienza reggiana e limitrofa sui beni storici riferiti a Matilde di Canossa, rappresenta un buon esempio di come si può attuare l’emersione di beni attrattivi con l’impegno di amministrazioni, società e privati.
Altrettanto, dispiace dover constatare che l’esperienza reggiana rappresenta anche un chiaro esempio di come da questa emersione non sia conseguito fino a oggi un completo, corretto utilizzo, cioè di come non si sia costruito su tale patrimonio una possibile economia turistica. Vi sono comunque eccezioni, quanto meno a livello progettuale: ad esempio l’iniziativa di funzionalizzazione a risorsa ricettiva, alberghiera e culturale dell’area adiacente il casello autostradale Terre di Canossa disposta, buttando il cuore oltre l’ostacolo. Il caso è, ripeto, emblematico perché, prima di decidere per il polo turistico, ci si è domandati a lungo se dare a quest’area un’impronta di servizi per l’industria, nei paraggi ancora forte e vitale. Consapevoli di quest’altra possibile vocazione, si è invece deciso di sfruttare l’asse della cispadana e l’orientamento alla prima collina per collocare lì un centro di riferimento per l’attrattività storica prevalente (ancor’oggi villanoviana, romana e soprattutto matildica) che ci porta dalle pendici appenniniche della rocca di Canossa e delle “quattro castella” verso S. Benedetto Po con il monastero benedettino, primo asilo delle spoglie mortali della Grancontessa.
Coraggio imprenditoriale e politico e alleggerimento del peso della politica come opportunismo carrieristico e fonte di promozione individuale, sono le condizioni per potere attuare il decollo turistico economico nel nostro nord, combattuto tra industria e turismo, con tutte le specifiche implicazioni di progettazione del territorio che questo conflitto comporta.

Ben diversa la situazione del problema dello sviluppo economico turistico al sud. Le complesse situazioni storiche, socioculturali, economiche e giudiziarie del nostro mezzogiorno confermano anche nell’esperienza diretta tanti luoghi comuni, in particolare sull’illegalità diffusa. Tutti sanno che impiantare moderna economia (turistica) in Campania, Calabria e Sicilia, ma anche in parte della Basilicata e della Puglia, è una scommessa quasi risibile. Tutti sanno che gli ostacoli a tali iniziative, costruiti ad hoc dalle organizzazioni criminali, sono profondi a volte anche subdoli e sempre straordinariamente persistenti. Con il mio Laboratorio di Sociatria, abbiamo affrontato numerosi casi di infrastrutturazione turistica della Calabria e di altre aree vaste del sud d’Italia.
Trovo utile ricordare ora il caso del progetto “Infratur, infrastrutturazione turistica della Costiera Vibonese”, con Tropea splendida al centro. “Infratur” era un programma economico-turistico per la piena occupazione nel vibonese: l’intervento avrebbe generato 15000 posti di lavoro INPS, attraverso un investimento complessivo di circa cinquecento milioni di euro, di cui il 50% portati dalla mano pubblica e altrettanti dalla mano privata destinati alla creazione di tutte le condizioni per la gestione economica turistico di rilievo numerico (beninteso, in modo ecosostenibile ed eco valorizzante!) cioè capacità ricettive e infrastrutture logistiche e di servizio per fare del comprensorio suddetto un’unità economico turistico significativa, una “Area di destinazione turistica”. I lavori della fase di concezione e di fattibilità si sono svolti lungo diversi anni, in consapevole e cauta concertazione tra tutti gli attori rilevanti di questa vicenda (12 amministrazioni locali, il Ministero delle Attività Produttive, il C.I.P.E., 30 imprese di primaria importanza regionale e oltre). Dopo un lungo iter caratterizzato da consapevolezza, ma anche da tantissima buona volontà, il programma “Infratur”, passato di mano e gestito da altre figure, si è arenato per l’intervento della magistratura che rilevava l’infiltrazione delle ‘ndrine locali nell’operazione, con conseguente deriva d’illegalità attesa e attuata. L’operazione “Infratur” si è così bloccata e non ripartirà più, o, quanto meno passeranno diversi lustri al suo riavvio. Il caso dimostra la grande difficoltà, l’impossibilità di portare avanti nel Mezzogiorno d’Italia programmi di sviluppo economico turistico dell’entità necessaria e dalle modalità opportune (cioè quelle legali e “normali”).
Il caso “Infratur” è stato la materia per quella che è ancor’oggi considerata tra le più importanti azioni antimafia (denominata inchiesta “Dinasty”) del dopoguerra e forse dell’intera storia patria, in quanto emblematica della diversa natura del problema dello sfruttamento economico delle risorse naturali e culturali del nostro Paese alle latitudini sud.

Tirando veloci somme, notiamo come cultura ed economia non s’incontrano in Italia:
1. al nord, il conflitto è genericamente infrastrutturale. Dunque. mentalità dell’industria che si scontra con la mentalità della cultura e del turismo e della ricettività; piani d’infrastrutture fisiche molto differenti nelle due strategie; ambiente e territorio intesi in accezioni completamente diverse; vischiosità sociopolitica della oligarchia economica secondaria sugli organi delle amministrazioni pubbliche locali e centrali, ecc.;
2. al sud, il conflitto è genericamente giudiziario. Le grandi iniziative (quelle di cui c’è bisogno dal punto di vista economico e del lavoro, ma solo se ecosostenibili e prive di violenza al territorio e alle collettività autoctone) non si radicano in quanto la percezione del rischio dell’iniziativa di sviluppo economico (turistico, nel nostro caso), nel sud Italia sovrasta l’opportunità, a causa dei comportamenti della criminalità organizzata. Il territorio d’origine è percepito dalla criminalità organizzata come proprio e non devono essere presenti nell’area poteri forti (economici, politici, militari, culturali…) atti a contrastarne la leadership. Essa si avvale microeconomicamente di una tipologia d’“impresa” basata sul rischio giudiziario e sociologicamente sulla “banda”, piccolo gruppo determinato e armato, tipico di mafia, ndrangheta, camorra, sacra corona unita e organizzazioni parallele, coordinate o similari, che induce con la paura la cultura della connivenza e dell’omertà. Dunque, attraverso ciò, avviene un “via libera” a piccole iniziative sottomesse, ma nessuna possibilità per grandi interventi che possano destabilizzare il clima cripto-tardo-feudale tipico del tacco mafioso su buona parte del Meridione d’Italia. In termini di semplicissima logica e storia, né l’imprenditoria turistica di livello mondiale né le iniziative anche locali dotate di respiro strategico (quelle ad esempio verso le “aree di destinazione turistica”), valutano ragionevole mettere a repentaglio gli interessi diffusi altrove per sostenere iniziative ad altissimo rischio personale (incolumità propria dell’imprenditore, dei suoi famigliari e dei suoi dirigenti) nel sud Italia.

Ecco dunque che, alla luce di
• una critica socioeconomica del territorio italiano sufficientemente condivisa e conclamata,
• esperienza diretta di numerosi casi di progettazione economica e infrastrutturale condotta dal mio Laboratorio di Sociatria che, insieme a me, da molti anni opera nel nord e nel sud Italia e all’estero,
si profila una “ricetta” d’interventi modulata come segue.
Per il nord del Paese:
1. identificazione dei bacini d’interesse attrattivo e delle caratteristiche delle dimensioni industriali tuttora rilevanti, in termini d’analisi di attualità e di potenziale economico-occupazionale, anche verso demografia;
2. inventario dei beni attrattivi dei diversi territori;
3. valutazione tecnico-economica della capacità attrattiva di tali beni culturali e naturali, integrata con gli effetti di una strategia di eventi, con prima valutazione complessiva d’infrastrutturazione per la loro fruizione;
4. pianificazione infrastrutturale, compendiando l’aspetto economico turistico con quello economico complessivo, industriale o altro (ricettività, logistica, servizi, ecc.);
5. sviluppo d’iniziative di partecipazione tra i diversi settori economici presenti e i loro operatori, per una strategia congiunta;
6. impostazione di piani commerciali di area attrattiva, destinati al mercato interno e soprattutto internazionale;
7. promozione dell’immagine culturale e naturale del territorio presso i cittadini appartenenti (formazione, informazione), per lo sviluppo di forme di direct marketing (bottom-up);
8. impostazione di piani di marketing turistico per le aree considerate, nella veste di studio di fattibilità;
9. costituzione di organismi pubblico-privati ad hoc, finalizzati alla creazione delle risorse economiche del caso, legata non da elementi istituzionali ma da un programma operativo già strutturato in tappe;
10. campagne promozionali e pubblicitarie d’area, indirizzate al livello nazionale e internazionale; marketing operativo per la stimolazione di operatori turistici internazionali in grado di indirizzare flussi idonei alle aree.

Per il sud del Paese, il problema purtroppo non presenta elementi sostanzialmente differenti sul piano tecnico-economico, L’iter presentato per il nord, non aggravato al sud da forti insistenze secondarie, semplicemente richiede un sistemico sforzo di tutte le risorse organizzative dello Stato nessuna esclusa, nemmeno la mano militare. A pochi anni dal caso “Dinasty” e dal gran battage sulla vicenda relativa alla famiglia camorrista dei casalesi, la strategia contro la criminalità organizzata deve essere di confronto diretto, pieno e microsociologico. Deve inoltre essere espressa con chiarezza una posizione molto forte dal punto di vista economico-politico, e amministrativo:
• lo schietto rifiuto dell’apporto dell’economia criminale sia al livello finanziario che al livello microeconomico: tutti coloro che conoscono la storia politica italiana sanno che esso è sempre stato implicitamente presente nella pianificazione finanziaria statale sostanziale;
• inoltre, la microeconomia criminale è componente rilevantissima dell’economia corrente del sud e fattore di riferimento socioeconomico; i suoi sistemi sono strutturati e si trincerano dietro la succube società civile. Unicamente un’economia sana e chiara, fatta di posti di lavoro protetti da INPS e civiltà moderna, anziché da pizzo e cripto-feudalesimo illegale e violento, potrà sradicare la mala pianta.

Soltanto così l’oro, natura e cultura, della miniera ricchissima del Mezzogiorno d’Italia potrà diventare tesoro per tutta la società italiana. Occorre dunque farlo, per il benessere nostro e delle generazioni a venire: se ciò non avverrà, la mala pianta si estenderà e nuocerà a ogni concreto programma di sviluppo economico nazionale, come è già avvenuto in passato. E per il futuro, soprattutto da lì l’Italia potrà trarre i benefici della crescita.

Dunque, la lotta alla criminalità organizzata è divenuta una questione di vita o di morte per tutto il Paese, e non soltanto per magistrati, forze dell’ordine e onest’uomini, e dovrebbe divenire parte intrinseca della politica economica nazionale e non soltanto della politica sociale e giudiziaria, per un’Italia che mantenga e sviluppi il benessere complessivo della sua popolazione. L’industria (in particolare quella della pianura padana) non sarà mai più in grado di trainare l’intero Paese e di “nascondere” a livello macroeconomico con la sua economia l’economia criminale: il solo piano possibile per lo sviluppo del paese, basato sull’emersione e moderno utilizzo economico delle risorse attrattive culturali e naturali del territorio, richiede come condizione della crescita lo sradicamento della criminalità organizzata dalle terre del Mezzogiorno d’Italia.