Scirè, l’ascaro fedele


Questa storia risale al 1993, quando la Somalia era in piena guerra civile. Le Nazioni Unite decidono l’intervento militare per ristabilire la pace. Vengono dispiegati 25.000 Caschi Blu nella Missione Restore Hope. Gli Stati Uniti di Bill Clinton hanno il comando delle operazioni. L’Italia ha il secondo contingente per numero di uomini e sarà impegnato nella zona di Mogadiscio e Balad lungo la via Imperiale.
È la prima volta che l’Italia ritorna nella sua ex colonia dopo la seconda guerra mondiale e l’AFIS, l’Amministrazione Fiduciaria durata dal 1950 al 1960.
Ed è proprio a Mogadiscio che una mattina il piantone di guardia all’ambasciata italiana sente una voce che in italiano gli dice: “Io saputo che Italiani tornati. Riprendere servizio; combattere con voi, come un tempo!”
I ragazzi del Tuscania e del Col Moschin non credevano alle loro orecchie: quelle parole, pronunciate con un tono che non ammetteva repliche, erano proferite da un somalo decisamente anziano, come tutti coloro che hanno combattuto sotto il tricolore. È  l’ascaro Scirè, circa 80 anni, in posizione di attenti, con fascia Tricolore alla vita e Moschetto 91/38 lungo il fianco; un soldato che aveva giurato fedeltà all’Italia, al Re ed al Duce. Era pronto a riprendere servizio: il Tricolore sventolava di nuovo a Mogadiscio (sul tetto dell’ambasciata) e un giuramento non si infrange. Nonostante l’età, il vecchio ascaro dimostrava ancora una vitalità insospettabile.
La catena di comando si attiva fino a raggiungere il Generale Loi, comandante del contingente militare italiano. All’ascaro Scirè viene consegnata un’uniforme, i gradi di caporalmaggiore e gli incursori, al termine di un breve esame e di una prova ginnica (forzatamente ridotta a causa dell’ età) gli consegnarono l’ambitissimo distintivo – ad honorem – di paracadutista e incursore. Inutile dire quanto Sciré rimase commosso da questo gesto.
Fu subito “adottato” dagli incursori del Col Moschin, i quali realizzarono per lui una piccola baracca dove l’anziano combattente pose il suo acquartieramento.
Tutte le mattine si presentava per l’ispezione al Generale Loi, facendo ruotare con insospettabile maestria il fucile per mostrare quanto fosse pulito. Con un altro colpo riportava l’arma alla spalla e se il Generale si dimenticava di dargli il “riposo”, lui rimaneva impietrito sul “presentat-arm”.
Nelle cerimonie ufficiali, alla presenza di autorità, scandiva sempre perfettamente “Viva il Duce, viva il Re, viva l’Italia” nonostante gli fosse stato spiegato che la situazione in Italia era mutata.
Per Scirè però l’Italia Fascista e la monarchia significavano ancora ordine, benessere e stabilità mentre negli anni dopo la guerra aveva imparato a diffidare di termini come indipendenza, democrazia e repubblica che per lui erano sinonimi perché avevano portato solamente anarchia, povertà e la guerra che stava vivendo.
Dotato di un elmetto antisommossa dei Carabinieri, con il suo Moschetto 91, perfettamente oliato e ancora funzionante, rimase all’ambasciata italiana a fare la guardia per tutta la durata della missione, vivendo in una baracca nel cortile dell’ambasciata.
Terminata la missione in Somalia, con il rientro del contingente italiano, gli vennero consegnati i gradi di maresciallo. Per lui una bella soddisfazione sicuramente, sebbene sia stato portato successivamente in un ospedale perché qualcuno ne avesse cura.
Il vecchio Sciré è un esempio emblematico d’attaccamento all’Italia in un periodo molto difficile per il nostro Paese
Lui che cammina ancora scalzo ha visto finalmente ripagato l’attaccamento all’Italia “Italiani grandi soldati, fare culo così agli Abissini!” era solito ripetere il più fedele degli ascari.


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Fonti:
italiacoloniale.com
lacittadella-web.com/