Recovery Fund: come spenderanno i soldi gli altri Stati?


Per abilitare i fondi erogati dal Recovery Fund, noto anche con il nome di ‘Next Generation EU’, ogni Paese membro dell’Unione europea deve stilare un piano dettagliato in cui spiega come e in quali settori intenderà investire i quattrini che riceverà dall’Unione. Sul tavolo ci sono 433 miliardi di sussidi, 67 di garanzie varie e altri 250 miliardi di prestiti, che vanno a sommarsi ai più di 1.100 miliardi previsti dal bilancio dell’Unione relativa al periodo compreso tra il 2021 e il 2027. Una montagna di soldi, insomma. Attenzione però, perché intanto la torta sarà spartita tra i vari partecipanti alla “festa” secondo criteri molto rigidi.
Innanzi tutto bisognerà fare attenzione al feedback proveniente da Bruxelles. Già, perché i soldi arriveranno soltanto a fronte della presentazione di un progetto di investimenti, e su questo l’Italia si trova ancora in alto mare.
I piani nazionali potranno essere inviati (questo è il consiglio che viene dall’alto) a partire dal prossimo 15 ottobre, fino alla scadenza del 30 aprile 2021.
In base allo stato della propria economia e al calendario, i Paesi membri hanno iniziato a fare i propri conti. Chi deve sopportare il peso di economie traballanti – è il caso, ad esempio, dell’Italia – dovrebbe sbrigarsi a trovare quanto prima la quadratura del cerchio. Chi, invece, come la Germania, ha un basso indebitamento (inferiore al 60% del pil), non ha particolare fretta.
Anche il governo italiano è impegnato a disegnare il proprio Piano di rilancio, identificando i progetti che potranno beneficiare dei fondi: 82 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni e 127 miliardi in prestiti. È importante quindi far bene e in fretta in questa fase di invio dei Piani alla Commissione per far sì che l’Italia, così come gli altri Paesi membri, possa ricevere già nel 2021 un anticipo del 10%, anche perché, come ha fatto capire la Commissione, appena un quarto dei finanziamenti verrà speso nel biennio compreso tra il 2020 e il 2022. Certo, le scadenze sono lunghe. Ma prima i piani saranno presentati e approvati, prima si potrà iniziare a coordinare la suddivisione dei fondi. Nel frattempo l’Europa ha messo a disposizione due strade: le risorse del fondo SURE, per combattere la disoccupazione, e quelle del famigerato MES, sul quale non si è ancora capita la posizione dell’Italia. In realtà esiste anche una terza strada: quella dell’indebitamento a tassi favorevoli (sconsigliata però per chi rischia di ritrovarsi con l’acqua alla gola).
Ma se sui travagli interni all’Italia per la predisposizione del Piano leggiamo quasi quotidianamente, cosa sta succedendo negli altri grandi paesi Ue? Stanno procedendo più velocemente di noi? Vediamo le loro mosse. Mentre noi navighiamo ancora in alto mare con proclami diversi a seconda dei giorni, molti Stati europei hanno dimostrato di avere già le idee chiarissime. E lo si capisce anche dai piani nazionali anti pandemia presentati negli ultimi mesi. La citata Germania all’inizio della scorsa estate aveva presentato il proprio piano di rilancio, comprendente 130 miliardi di euro da devolvere per il sostegno dei consumi. Il piano, battezzato “Der Wumms” è stato lanciato già lo scorso 3 Giugno 2020; è piuttosto dettagliato e prevede oltre 50 ambiti di intervento tra cui spiccano misure di sostegno economico a breve termine (come il taglio dei costi dell’elettricità per famiglie e imprese) e gli investimenti nell’economia sostenibile (incluso un bonus per le auto elettriche), nelle energie rinnovabili, nella digitalizzazione e mobilità. Riguardo invece alle riforme richieste dalla Commissione, l’enfasi è posta sull’istruzione, sulla riduzione degli adempimenti e oneri amministrativi e su alcune semplificazioni nel mercato del lavoro. Tra le altre misure tedesche degne di nota troviamo l’abbassamento dell’IVA dal 19 al 16 per cento fino al 31 dicembre 2020, 18 miliardi per i liberi professionisti, sussidi per l’acquisto di auto elettriche e via dicendo. Senza dimenticare le altre risorse messe sul piatto a marzo.
Il Piano tedesco è ovviamente appoggiato dai partiti della coalizione di governo, anche se la CSU (la componente bavarese dei Cristiano-democratici della CDU) lamenta la mancanza di incentivi e bonus per le auto a combustibile fossile. Su posizioni critiche, e diametralmente opposte tra di loro, i verdi e la destra di Alternative für Deutschland (AfD). Per i primi il governo dovrebbe fare ancora di più per sostenere l’economia e la transizione energetica, mentre per AfD il problema è l’intero Recovery Fund per un Paese come la Germania che riceve poco pur essendo un forte contributore netto del bilancio Ue.
La Francia di Emmanuel Macron sembra abbia preso una buona rincorsa. Al Paese transalpino andranno ‘solo’ 39 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni. Non riceverà invece prestiti, di cui in effetti al momento avrebbe poco bisogno: continua infatti ad avere uno spread rispetto ai bund tedeschi estremamente basso (circa 25 punti base). Può quindi indebitarsi a basso costo anche senza l’ausilio dell’Ue. I soldi provenienti da Bruxelles confluiranno nel Plan de Relance da 100 miliardi (in tre anni) già lanciato dal governo francese lo scorso 3 settembre. Chiara la direzione di marcia verso tre filoni principali: transizione energetica (30 miliardi); coesione sociale e territoriale (36 miliardi utilissimi per un governo ancora alle prese con le rivendicazioni dei gilet gialli); competitività delle imprese (34 miliardi, di cui 20 miliardi circa per detrazioni di imposta). Nel Piano Parigi dovrà anche chiarire come intende rispondere alle raccomandazioni di maggio della Commissione Ue: sostenibilità del debito (previsto oltre il 116% quest’anno); rafforzamento del sistema sanitario; semplificazione amministrativa (soprattutto per gli adempimenti delle imprese) e digitalizzazione; sviluppo dell’industria dell’idrogeno e modernizzazione della rete ferroviaria. Macron spera che almeno il 40% del piano sia finanziato dai fondi europei.
La velocità dei francesi è legata alla stabilità del governo, con il Presidente intento a portare a compimento alcune riforme (soprattutto su lavoro e pensioni) prima delle presidenziali del 2022, ma anche a rilanciare l’economia facendo perno sulle sovvenzioni del Recovery Fund. Non mancano comunque i distinguo. I Républicains sostanzialmente concordano sugli investimenti ma ricordano anche i rischi: l’aumento del debito pubblico e la possibile introduzione di nuove tasse. Non a caso si erano affrettati a presentare un proprio piano lo scorso giugno. Così come avevano fatto i socialisti che reputano il Piano comunque tardivo per un’economia che quest’anno si contrarrà del 10,5%. Su posizioni ancora più critiche la sinistra di France Insoumise che si dichiara contraria al piano perché si accompagna a riforme (non gradite) e non fa abbastanza sul piano delle disuguaglianze sociali.
I Paesi dell’Est sembrano orientati a investire in massa sulla decarbonizzazione, ma non sono ancora stati resi definitivi i piani dettagliati di utilizzo dei fondi.
La Spagna invece è tra i principali beneficiari del Recovery Fund. Su Madrid si riverseranno 140 miliardi di euro di cui 73 miliardi in prestiti e 67 in sovvenzioni. Il piano spagnolo non è ancora pronto anche se il Paese, così come il nostro, ha tutto l’interesse a velocizzare il processo e ottenere al più presto gli anticipi da Bruxelles. Tanto più che il debito pubblico quest’anno supererà il 115%, mentre l’economia si contrarrà dell’11%, e la disoccupazione rimane alta (quella giovanile è sopra il 40%).
Le difficoltà sono inevitabilmente legate alla precarietà del governo tra i socialisti di Sanchez e Podemos, che necessita dell’appoggio esterno di alcuni partiti autonomisti (negli ultimi 5 anni la Spagna è andata alle urne 4 volte). A parole sia Ciudadanos che il Partito Popolare si sono detti pronti a dare una mano al governo, ma le loro posizioni appaiono molto distanti (su tasse, tipologia di investimenti e assistenza sociale) da quelle – già di per loro non del tutto omogenee – della coalizione di governo. Un vero tour de force per Sanchez che deve anche riuscire a includere nel piano le riforme richieste dalla Commissione soprattutto sugli spinosi temi del mercato del lavoro e dell’efficienza del sistema giudiziario.
Insomma, mentre Francia e Germania sembrano aver tracciato il loro percorso, altri – come la Spagna – fanno più fatica perché pagano il prezzo di un contesto politico instabile. Ma a prescindere
Una menzione particolare spetta ai Paesi Bassi del premier Rutte che tanto si era dato da fare nel Consiglio europeo di luglio per chiedere un controllo stringente sull’utilizzo delle risorse del Recovery Fund da parte dei paesi membri. All’Aja andranno 7 miliardi di euro (tutti sotto forma di sovvenzioni) da inserire in un fondo nazionale per la crescita da 20 miliardi già annunciato per il periodo 2021-2026. Il Paese va però alle urne il prossimo marzo e il fondo è diventato terreno di scontro politico. Vanno all’attacco i partiti di destra (ed estrema destra) che criticano Rutte per aver dato il suo benestare al Recovery Fund. Si aspettavano invece maggiori interventi nell’economia (per infrastrutture, sostegno agli affitti degli immobili, rinnovamento urbano) i socialdemocratici, mentre i GroenLinks (la sinistra verde) hanno proposto un fondo per il clima da 60 miliardi. Il futuro del fondo dipende quindi dall’esito delle elezioni, che comunque secondo gli ultimi sondaggi dovrebbero permettere a Rutte di rimanere al governo.


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Fonti:
insideover.com
espresso.repubblica.it
ispionline.it