Il politico conservatore – “FRATELLI TUTTI”: fratellanza e accoglienza. I Vescovi tremano: Buon Samaritano o Figliol Prodigo?


L’ultima enciclica di Papa Francesco, “Fratres omnes” oppure “Fratelli tutti” avviene in curiosa coincidenza con alcuni fatti:
1. è la prima enciclica che viene firmata fuori dal territorio vaticano, ad Assisi;
2. Zamagni lancia in Italia il nuovo partito dei cattolici “Insieme”.
Che sia segno di un rientro in grande stile dei cattolici in politica, in questo sistema Italia contrastato e afflitto sempre più da un’acuta entropia? Vedremo. Intanto traiamo alcuni spunti dalla recentissima enciclica di Francesco.

Primariamente, l’enciclica papale è l’atto più specifico oggi per dare risposte alle curiosità degli schieramenti ideologici che ancora “partiticizzano” il cattolicesimo nel panorama nazionale (e anche mondiale, ma in modo meno viscerale): Bergoglio di sinistra, Ratzinger di destra… Se si è credenti, e quando ci si fa il segno della croce si dice Padre, Figlio e Spirito Santo, non vi è dubbio, se non di fede, che entrambi i Papi sono l’effetto del lavoro dello Spirito Santo, e che le tesi cospirazioniste sulle nomenklature di conclave sono semplice apostasia. Se invece non si è credenti, ma comunque intelligenti, si può ben capire che la Chiesa Cattolica Romana, organizzazione mondiale ed ecumenica, cioè appunto cattolica, che raccoglieva già circa 4 milioni di addetti nel mondo, quando, nel 1950, il mondo era fatto di 2500 milioni di esseri, si possa trovare in serie difficoltà dal momento che i 2500 milioni sono diventati, in soli 70 anni, 7800 milioni, con la Chiesa a circa 4,8 milioni di addetti (https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/chiesa-nel-mondo-dati-statistici-2015).

Da 2500 milioni di anime a 7800 milioni di anime, per di più sorte in territori non profondamente cristianizzati: secondo il conseguente rapporto quantitativo, di papi ce ne vorrebbero almeno altri 2. Ma è una ovvia boutade, poiché l’organizzazione della chiesa cattolica, dopo la riforma Gregoriana, risposta al gravissimo scisma ortodosso, è verticistica ed è rimasta legittimamente l’unica monarchia assoluta del mondo occidentale. Per cui, il Papa vero, quello operativo, dev’essere uno, ma anche un emerito lo rafforza, ed è una ottima cosa. Va poi notato che la macrostruttura della chiesa cattolica è già lean (l’organizzazione “piatta”, un obiettivo organizzativo-manageriale degli ultimi 30 anni), fatta cioè di solo 3 livelli di line, operativi, cioè papa, vescovi e parroci. Aggiungo che la lean-organization è difficile sui grandi numeri, e dunque una che avviene su oltre quattro milioni di addetti, è quasi… miracolosa!

Ciò detto, oggi la struttura mondiale della Chiesa è in crisi evidente, dovuta a:
1. crescita della domanda religiosa potenziale: se non viene soddisfatta da Roma, questa domanda rischia di esserlo da La Mecca, dagli indo-buddismi o dal paganesimo, quest’ultimo oggi prevalentemente culto economico del consumo e del denaro contro cui si scaglia anche Francesco;
2. rapporto organico cattolico di servizio/popolazione da servire, crollato da 1/600 a 1/1800, cioè a circa un terzo;
3. strategia di comunicazione globale (papale), non più rivolta a un mondo comunque avveduto del cristianesimo, ma a un mondo sprovvisto di sensibilità cristiana. Se fosse un prodotto, diremmo che il cattolicesimo è un prodotto religioso molto articolato, il più creativo e complesso tra le religioni di massa, con elementi di fede (dogmi e altri istituti) numerosissimi e non facili da padroneggiare, anche nella sola narrazione linguistica che precede spesso la scoperta della fede. Insomma, un prodotto di contenuti positivi ma anche di alta complessità. Da semplificare drasticamente per ottenere un buon risultato di diffusione su 5300 milioni di newcomers quasi del tutto avulsi dai rudimenti più elementari di cultura cristiana e di cultura occidentale, con per di più l’aggravante di avere altri modelli cultural-religiosi vicini, e molto più semplici, ad esempio in Asia l’Islam e il grande vento millenario indo-buddista;
4. la strategia di comunicazione locale (diocesi), gestita da una classe vescovile in buona parte di cultura pre-antropocene e pre-globalizzazione. Se vogliamo trovare un limite alla eccezionale lean-organization cattolica è proprio questa struttura massimamente piatta, troppo piatta, che quindi fa transitare gli indirizzi, senza coniugazioni intermedie di line (ad esempio continentali) da quelle del vertice (Papa). Insomma, troppo lean. Certo, l’organizzazione vaticana è ricca di staff intelligentissimi e profondi, ad esempio le nove Congregazioni (per la dottrina della fede, per le Chiese orientali, per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, delle cause dei santi, per l’evangelizzazione dei popoli, per il clero, per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, per l’educazione cattolica, per i vescovi) che orientano però sempre soprattutto il pensiero globale (papale). Manca una struttura di raccordo tra il vertice e le diverse situazioni continentali che declini, senza uscirne, la corretta Pastorale Globale con le differenziazioni territoriali, con il Locale. Ovunque la strategia Glocal (parola che fonde il Globale col Locale) mostra segni di difficoltà, ad esempio nel mondo laico sia per le resistenze a volte grette dei contesti locali che per una fastidiosa e furbesca estensione del globale contro la varietà e la ricchezza locale, creata e donata da Dio all’umanità, e questo si riverbera anche sulla Chiesa. Serio lavoro anche per il Cardinale Ouellet, a capo della strategica congregazione per i Vescovi.

Sul tema della Fratellanza è stato fatto un lavoro importantissimo dall’establishment bergogliano nel ricavare un concetto interreligioso condiviso, che ha informato anche questa enciclica e, in questo caso (che segue il precedente con il primate ortodosso Bartolomeo) con un elevatissimo rappresentante dell’Islam, il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Il tema è centrale ed eccellente per il momento attuale, ottima scelta. Altrettanto azzeccata e astuta in termini di strategia, nonché ineffabilmente corretta, la citazione fuori della storia ecclesiastica di personaggi che l’immaginario comune assegna indiscutibilmente al “regno dei cieli”, siano essi stati cristiani o no: il laico Martin Luther King, l’anglicano Desmond Tutu, l’indo-buddista Mahatma Gandhi, con doverosa peraltro sottolineatura per l’unico cattolico dei quattro, il beato Charles de Foucauld, non a caso pioniere del dialogo con le altre culture e le altre religioni, esploratore del deserto del Sahara e studioso della lingua e della cultura dei Tuareg, cioè radicalmente etnofugo, futuro santo ed emblema del nuovo mondo interconnesso, extrarazziale ed extraculturale, profondamente globale.
La Fratellanza, però, non può essere distruzione di quella varietà umana che ha visto il successo difficile del Cristianesimo, religione leader nel mondo: ma, malgrado le visioni ideologiche e sediziose, nulla, proprio nulla, fa pensare a questo nella enciclica di Francesco. Senza essere però sediziosa, una lettura superficiale, troppo laica, troppo localistica, che dimentica l’aspetto ecumenico, mondiale, può però criticare: perché devo spartire proprio adesso le risorse con chi in realtà non arriva per bisogni reali ma solo per un desiderio di maggior consumo (e non di migliore elevatezza)? Non sarebbe questo un comportamento da Figliol Prodigo, che dissipa le risorse di famiglia, e non da Buon Samaritano, che aiuta il prossimo? Una sana opposizione alla pura e semplice accoglienza quantitativa di migranti in occidente (e in Italia in particolare) consiste in un accesso calibrato e regolato: occorre collaborazione continentale e una solida e organizzata politica di fruttuosa e generosa condivisione con i popoli più poveri, coi migranti, basata sulla capacità di assorbimento e di erogazione di condizioni di esistenza dignitose. Tali condizioni sono molto differenti da luogo a luogo, e luogo e luogo hanno popoli che portano codici di apertura differenti. Ecco perché è opportuna la declinazione del sacrosanto “Fratres omnes” generale con l’analisi di questo “omnes” (e non del “Fratres”, indiscutibile e saggiamente interreligioso) a cura delle oltre 5000 diocesi per i diciamo 6 continenti.
Sei continenti con notevoli sperequazioni per i motivi demografici acquisiti con l’antropocene, ma poi anche politici (caso Cina) e storici (aree islamiche e wasp) e di cristianizzazione, cioè di capacità di comprensione di narrazioni e contenuti religiosi più profondi. E anche di risorse accumulate (patrimonio) ed economia: le terre oggi in boom demografico hanno economie fragili e piccole nel versante sud del Mediterraneo e in molti casi grandi patrimoni soprattutto di risorse naturali, utili per le economie industriali. Oggi le economie opulente devono il proprio agio all’industria figlia del metodo sperimentale: quest’ultimo fu rifiutato da Celeste Impero, Islam e ha trovato impreparata la civiltà africana. Vero, il colonialismo è stato brutto, dalle popolazioni pre-colombiane sterminate al genocidio rwandese, ma è stato indotto dallo sviluppo di quell’economia industriale che oggi potrebbe divenire accogliente, ma non immolarsi lei stessa sull’ara dell’accoglienza a tutti i costi di chi cerca spesso la via più sbrigativa per un superiore benessere materiale. Accettare questa prospettiva sarebbe da Figliol Prodigo e non da Buon Samaritano…
Ma il Papa non lo nega assolutamente: se leggiamo bene il testo, entrambe le interpretazioni sono possibili, e giustamente entrambe sono fattispecie di realtà mondiale. E allora, che significa? Significa che ogni diocesi deve trovare la sua via, ogni Vescovo la sua declinazione della pastorale espressa dall’enciclica. E non appoggiarsi alla semplice interpretazione globale.

La benedetta capacità di accoglienza va strumentata e strutturata, calibrata e attuata con consapevolezza: non si può distruggere con la libertà d’invasione un patrimonio che potrebbe essere premio di benessere a molte più creature fatte a immagine e somiglianza. Usare il difficile benessere di popoli e nazioni per dividerlo ora in velocità può compromettere la capacità di accogliere il decuplo in condizioni più controllate e opportune. Sarebbe un’azione da Figliol Prodigo e non da Buon Samaritano. Il lavoro dei Vescovi e delle diocesi deve avvenire in questa linea: caratterizzare l’indirizzo papale alle terre specifiche, in raccordo stretto con la società civile, coi suoi valori e con il patrimonio che Dio ha consentito di accumulare e che deve fruttare al meglio per l’intera umanità. Est modus in rebus, e i Vescovi devono lavorare con le comunità ben sapendo che il loro compito morale va integrato con la natura delle economie e delle società che hanno di fronte, per dare il miglior risultato a un’esigenza dell’umanità nel breve, medio e lungo termine, con un programma economico coerente, ciò di breve, medio e lungo termine.
Ed eccoci a un altro tema caro alla visione cristiana: l’opposizione tra filosofia economica e filosofia morale. Ancora una volta, attenzione: se il Papa dice che l’economia e il mercato non sono la panacea, non dice che l’impresa economica e gli imprenditori sono esseri satanici. Il suo concetto è chiaro: non possiamo lasciare al mercato, all’economia di mercato, al meccanismo dell’economia l’onere del progetto sociale. Ha ragione. Sta dicendo quello che dice l’esperienza clinica sociatrica: l’economia è l’80 % della politica, NON tutta la politica. E oggi la politica è sempre e soltanto olistica, dal Globale al Locale o dal Locale al Globale, ma sempre l’Intero: Milano o Napoli o Reggio Emilia o Canicattì sono legate a ciò che è l’Italia e l’Italia (ma anche singolarmente le comunità locali) è legata al continente europeo e al Mondo. Olistico, che è anche, ancora una volta, cattolico.