USTICA 27.06.1980 / 27.06.2020 – Perché in Italia non va tutto bene


Ramstein. Esibizione Frecce Tricolori, agosto 1988. Per un presunto errore nell’esecuzione del cardioide da parte del pilota più esperto (il solista, Pony 10, colonnello Ivo Nutarelli) vi è un terribile incidente dove muoiono anche due suoi colleghi, tra cui il colonnello Mario Naldini (Pony 1) e il capitano Giorgio Alessio (Pony 2). Mentre gli aerei numero 1 e 2 precipitano in fiamme sulla pista, il numero 10 si abbatté sulla folla causando 67 vittime e 346 feriti tra gli spettatori La tragedia è di per sé spaventosa, ma la storia non finisce qui, perché Nutarelli e Naldini non erano due piloti qualunque. Si alzarono in volo il 27 giugno del 1980 con i loro caccia per una ricognizione  e lanciarono un allarme generale in prossimità del DC9 ITAVIA precipitato ad Ustica. avrebbero dovuto essere ascoltati pochi giorni dopo come testimoni al processo. Non ci arrivarono.

Un caso? Possibile, ma leggete il seguito.

27 Giugno 1980 – Strage di Ustica. 81 vittime.

3 agosto 1980 – In un incidente stradale sull’Aurelia perde la vita il colonnello Pierangelo Tedoldi che doveva assumere il comando dell’aeroporto di Grosseto.

9 maggio 1981 – Stroncato da un infarto muore a 37 anni il capitano Maurizio Gari, Master Controller (controllore capo) della sala operativa della Difesa Aerea a Poggio Ballone. Era di servizio la sera del disastro. Per inciso, Poggio Ballone è stata sede del 21° Gruppo radar dell’Aeronautica militare fino a che la spendine review ne ha decretato la chiusura qualche anno fa.

23 gennaio 1983 – In un incidente stradale perde la vita Giovanni Battista Finetti, sindaco di Grosseto. Aveva ripetutamente chiesto informazioni ai militari del centro radar di Poggio Ballone.

31 marzo 1987 – Viene trovato impiccato (la polizia scientifica dirà «In modo innaturale») il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio a Poggio Ballone la sera del 27 giugno 1980. «Aveva commesso l’imprudenza di rivelare ai familiari di aver assistito a uno scenario di guerra», ha detto il giudice Rosario Priore, titolare dell’inchiesta.

12 agosto 1988 – Muore in un incidente stradale il maresciallo Ugo Zammarelli. Era in servizio presso il SIOS (Servizio segreto dell’aeronautica) di Cagliari.

28 agosto 1988 – Durante l’esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein (Germania) entrano in collisione e precipitano sulla folla i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Quest’ultimo due giorni dopo doveva essere interrogato da Priore. La sera del 27 giugno 1980 si erano alzati in volo da Grosseto  e avevano lanciato l’allarme di emergenza generale. Perché? Cosa avevano visto? I comandi dell’aeronautica militare e la Nato non lo hanno mai rivelato.

1° febbraio 1991 – Viene assassinato il maresciallo Antonio Muzio. Era in servizio alla torre di controllo di Lamezia Terme quando sulla Sila precipitò il misterioso Mig libico.

2 febbraio 1992 – Sandro Marcucci, uno dei primi militari a far entrare i sindacati nell’ambiente dell’aeronautica dove fu protagonista di scontri feroci, aveva cose da dire a chi indagava sulla strage di Ustica. E stava per essere convocato come testimone. Insieme a Silvio Lorenzini, il 2 febbraio 1992 stava sorvolando le Apuane: il loro Piper precipitò e morirono entrambi. Il pm di Massa Carrara ha disposto nel 2013 l’esumazione dei due corpi. Da allora non si è saputo più nulla.

13 novembre 1992 – In un incidente stradale muore il maresciallo Antonio Pagliara, in servizio alla base radar di Otranto.

12 gennaio 1993 – A Bruxelles viene assassinato il generale Roberto Boemio. La sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità per la sciagura del DC 9 e per la caduta del Mig libico sulla Sila. La magistratura belga non ha mai fatto luce sull’omicidio.

21 dicembre 1995 – È trovato impiccato il maresciallo Franco Parisi. Era di turno la mattina del 18 luglio 1980 (data ufficiale della caduta del Mig libico sulla Sila) al centro radar di Otranto.  Doveva essere ascoltato come testimone da Priore.

Ma cosa è successo in realtà?
«A Ramstein – dice l’avvocato Daniele Osnato, legale dei parenti delle vittime – si è trattato di un omicidio e non di un incidente. Nutarelli era capace di correggere con una sola manovra un eventuale errore commesso in volo. Aveva alle spalle oltre quattromila ore di addestramento. Le nostre perizie ci dicono che su quel Macchi Mb-339 il solista di manovre correttive ne fece ben sette. Segno che il suo aereo non rispondeva ai comandi». Per il pool di periti che sta lavorando al caso Ramstein quello non fu un errore umano, come ha certificato la frettolosa indagine militare. E sarebbe questo il filo che tiene unite due tragedie dell’aria. E che si annoda nel cielo sopra Grosseto, tra Poggio Ballone, dove c’è il centro di convoglio di tutti i radar dell’Aeronautica d’Italia e Ustica, dove si è inabissato il Dc-9 Itavia.
Bisogna fare un passo indietro e tenere a mente due date. Il 27 giugno 1980, la sera della strage, Nutarelli e Naldini si alzano in volo dall’aeroporto Baccarini di Grosseto. «Dai tracciati radar – spiega l’avvocato – emerge che il loro aereo, un caccia F104, per un tratto si pone al fianco del Dc-9. I due piloti si alzano in volo alle 19.30 a bordo di un biposto e rientrano alle 20.45. In volo c’è anche un altro caccia, guidato dall’allievo Aldo Giannelli. I due intercettori per circa due miglia hanno volato sulla scia del Dc 9, fino a dieci minuti prima che l’aereo civile si inabissasse nelle acque di Ustica. Durante quel volo, dal caccia di Nutarelli e Naldini partono due “squoccate”, due segnali d’allarme». Secondo la ricostruzione successiva, i piloti avrebbero visto un altro, se non altri, aerei da guerra volare nel corridoio civile. Qui le teorie sono diverse: c’è chi parla di un Mig libico, chi invece sostiene che ci fossero aerei militari francesi, o americani. «Quello che è certo – dice – è che i due piloti lanciano un segnale d’allarme perché hanno visto qualcosa». Qualcosa che racconteranno poi al colonnello Pierangelo Tedoldi, che sarebbe diventato di lì a poco il comandante dell’aeroporto militare di Grosseto. Sarebbe. Perché il 3 agosto Tedoldi muore in un incidente stradale sull’Aurelia. Viaggiava con la moglie Giuliana Giustini, e con i figli Davide, deceduto insieme al padre a soli 14 anni e Gabriele, che si è salvato.
Mario Naldini era un pilota esperto. Un militare tutto d’un pezzo. «Ivo Nutarelli invece – spiega l’avvocato – qualche volta pare avesse detto alla compagna di voler raccontare quello che era successo la sera del 27 giugno». Manca un elemento, in questa ricostruzione. Manca la trasmissione via radio di quello che stava succedendo nel cielo sopra il Tirreno, in quel corridoio dove viaggiava il Dc-9 e dove, oltre ai caccia grossetani, c’erano probabilmente altri aerei. «I piloti non potevano trasmettere via radio – aggiunge Osnato – perché stavano facendo un’esercitazione che non prevedeva l’utilizzo di quella strumentazione». Lo diranno dopo, quello che hanno visto. Ma i loro nomi, nell’inchiesta del giudice Rosario Priore, che scrive nero su bianco che «erano certamente a conoscenza di molteplici circostanze attinenti al Dc9», entrano solo 8 anni dopo quando ormai i due piloti sono morti. La pista grossetana, i tracciati di Poggio Ballone, la centralità di quell’esercitazione nell’affaire Ustica arriva nel 1988 con la testimonianza, davanti al giudice Bucarelli, del capocronista del Tirreno Claudio Bottinelli. Il 12 agosto, i carabinieri vanno a Poggio Ballone a sequestrare i tracciati radar della base. Sedici giorni dopo, i due piloti muoiono in Germania.
C’è anche da dire che nella sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore sulla strage di Ustica, a pag. 4667, laddove il magistrato parla dei colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli, ufficiali dell’AM e componenti della pattuglia acrobatica, si legge: «[…] È emerso in più punti dell’inchiesta, i due ufficiali piloti, del gruppo intercettori, in servizio presso l’aeroporto di Grosseto, la sera del 27 giugno 1980 fossero in volo su F104, fino a 10 minuti circa prima della scomparsa del DC9 Itavia – il loro atterraggio all’aeroporto di Grosseto è registrato alle 20:45 e 20:50 locali; che questo velivolo, insieme ad altro con ogni probabilità quello dell’allievo, avesse volato per lunga tratta di conserva al velivolo civile; che durante questo percorso e al momento dell’atterraggio avesse sbloccato i codici di emergenza». In ogni caso, il giudice si dice non convinto della connessione, a causa della «sproporzione tra fini e mezzi, e cioè che si dovesse cagionare una catastrofe – con modalità peraltro incerte nel conseguimento dell’obiettivo, cioè l’eliminazione di quei due testimoni per impedirne rivelazioni»
Per contro, si potrebbe ipotizzare che la progettazione un eventuale sabotaggio potrebbe non aver tenuto conto di una tale eventualità, giacché la maggior parte del tempo di volo della PAN non avviene sulla verticale della pista.
Ma una voce inquietante rimbalza puntualmente ogni anno in occasione dell’anniversario di uno dei più inquietanti misteri italiani della Prima Repubblica. Una voce che filtra dai corridoi di chi – forse – sa ma non può parlare. Mi sento di riportarla a livello di confidenza fatta da un amico molto competente, secondo cui “nell’ambiente lo sanno tutti”.
Che ciò sia vero o no, non avendo certezze non è possibile escluderla a priori (o a Priore? Scusate il gioco di parole). In sostanza, mentre il DC9 dell’Itavia stava percorrendo la sua rotta sul Tirreno, alcuni aerei della Nato, tra cui velivoli statunitensi, stavano compiendo esercitazioni nella zona. Parrebbe che un aeroplano americano abbia dichiarato un’avaria: in tal caso la procedura dell’USAF pare prevedesse che il velivolo ritornasse alla portaerei da cui era decollato secondo la rotta più breve. In poche parole una lunga picchiata fino a portarsi in finale di atterraggio a pochi metri dal livello del mare e a poche miglia dalla nave. A questo punto pare che – molto semplicemente – la traiettoria di rientro abbbia fatalmente incrociato il corridoio di volo che in quel momento era percorso dall’aereo civile. Punto.
Verità? Fantasia? Probabilmente non lo sapremo mai, a meno che i nostri lettori scoprissero che da un giorno all’altro il sottoscritto non pubblica più articoli su WeeklyMagazine. Anzi: è addirittura scomparso.
In tal caso sapreste che la storia era vera.