Vercelli-Spezia: calvario autostrade


Dovendomi recare da Vercelli in quel di La Spezia, in un giorno feriale della scorsa settimana ho affrontato il problema che in questi ultimi due anni si è posta metà degli italiani: che strada fare?
Non essendo ancora transitabile l’ex ponte Morandi (ma dicono che sarà inaugurato tra poche settimane) non potevo percorrere l’A26 fino a Genova per poi immettermi sulla A12. Tra l’altro da alcuni mesi tra Ovada e Masone si incappa in code interminabili a causa della manutenzione straordinaria di alcuni viadotti e gallerie così malridotti che è un miracolo se nessun altro si è ammazzato transitandovi sebbene il crollo di un soffitto in galleria un anno fa abbia sfiorato la tragedia.
Ho deciso quindi di svoltare dopo Alessandria Sud prendendo la bretella di Novi Ligure per poi confluire sulla A7 poco prima di Serravalle Scrivia.
Fin qui, tutto bene. Da lì in poi, pensavo, a parte le curve nel tratto tra Ronco Scrivia e Bolzaneto sarà tutta strada scorrevole fino a destinazione.
Mi sbagliavo, e di grosso. Non avevo fatto, purtroppo, i conti con la stupidità e l’ingordigia umana,.
Appena dopo Ronco Scrivia sono iniziati i cantieri, piccoli dapprima, di poche centinaia di metri, poi dopo Busalla via via sempre più impegnativi, che costringono a transitare su un’unica corsia.
Tuttavia si viaggiava, e la cosa non sembrava troppo preoccupante: non avendo fretta di arrivare, che importa un quarto d’ora in più o in meno?
Ma ecco che lo sguardo va all’altra corsia e davanti agli occhi del viaggiatore si profila la tragedia del traffico: coda ferma per decine e decine di chilometri! Faccio una breve parentesi per spiegare a chi non c’è mai passato, che la A7 è stata raddoppiata negli anni ’70 del secolo scorso e per forza di cose, trattandosi di un tratto appenninico, non sempre è stato possibile affiancare il nuovo nastro stradale al più antico. Pertanto la corsia che va in direzione Milano in molti tratti passa più in alto e mentre la corsia in direzione Genova viaggia a mezza costa contro le montagne dell’appennino ligure. Questo per spiegare che vedere dal basso una fila di automobili e camion che sembrano in bilico su un ponte altissimo fa una certa impressione. Se poi questo spettacolo prosegue per circa 30 chilometri durante i quali vi accorgete che i veicoli sono praticamente fermi, allora è il delirio.
Ad ogni modo giungo a Genova e mi immagino che i guai siano finiti. Anche in questo caso, niente di più sbagliato: dopo la confluenza in A12, direzione Livorno, non passa un chilometro che inizia il traffico a doppio senso di marcia su corsia unica. Ovviamente i caselli sulla corsia chiusa sono chiusi anch’essi, pertanto chi ha deciso i lavori ha fatto sì che ogni dieci o quindici chilometri si inverta la corsia. Così ad esempio in direzione Genova è chiusa la stazione di Rapallo mentre in direzione opposta sono chiuse le stazioni di Nervi e Lavagna.
Tutto ciò prosegue senza soluzione di continuità fino a La Spezia, con scambi di carreggiata ogni qualche chilometro ma quasi sempre a doppio senso su corsia unica, il che vi può far capire il livello di pericolosità raggiunto.
Questa situazione è dovuta, come recita il sito autostrade.it, a “attività di controllo e manutenzione sulla rete ligure”. Traducendo per il volgo: ripristino di piccoli crolli sulle massicciate e sui paramassi, bonifica e rifacimento del manto stradale e delle volte di alcune gallerie, oltre a ripristino della struttura portante di viadotti sui quali ormai i ferri dell’armatura erano stati messi a nudo da anni di incuria.
Ciliegina sulla torta, sulla rampa di ingresso dal casello di Chiavari, cento metri dopo la barriera, c’è una galleria che conduce all’autostrada detta Galleria della Moranda, ma il nome è solo un casuale richiamo al manufatto maledetto. Il traffico in galleria, causa lavori, è a senso alternato regolato da un semaforo. Potete capire senza troppo sforzo di immaginazione cosa significa questo in un’ora di punta di un giorno feriale: le auto non riescono a superare la barriera perché la coda al semaforo si forma già prima del casello! Inutile dire che tutto ciò non accadrebbe se i lavori venissero eseguiti nelle ore notturne!
Diciamo anche che il povero automobilista o camionista sarebbe anche disposto a tollerare se – mentre lui suda al volante perché il lavoro gli impone il viaggio – vedesse i lavoratori dei cantieri all’opera. Invece la mia esperienza è stata di tutt’altra forza: in oltre cento chilometri ho visto al lavoro due operai in un cantiere (con un terzo seduto in un’auto bianca della società, intento a leggere il giornale) e cinque persone in un altro. In tutto il resto del percorso, nessuno! Magari sono stato sfortunato io e mentre transitavo erano tutti intenti a sudare nelle gallerie, ma la statistica insegna che questa situazione limite è altamente improbabile.
A questo punto, per chiudere, vi risparmio altre amenità e pongo alcune domande a cui sarebbe bello avere risposte chiare e certe.
La prima: perché avendo avuto a disposizione quattro mesi in cui il traffico era praticamente assente non si è provveduto a quei lavori che oggi, in piena stagione estiva – e quindi turistica – creano un disagio insopportabile? In altri Paesi, diciamo appena poco più a nord del Nostro, i lavori stradali si fanno su tre turni, per accorciare il disagio per l’utente, che ha diritto di viaggiare non solo comodamente ma soprattutto in piena sicurezza.
Seconda domanda: perché una società che supera ogni anno gli otto miliardi di utile non destina una parte di tali utili (detassandoli, è ovvio) alla manutenzione programmata, anziché correre ai ripari quando i ponti crollano o stanno per crollare?
Terzo spinosissimo quesito: è dei giorni scorsi la notizia che è stato raggiunto l’accordo tra il governo e la società che fa capo ai Benetton per il prosieguo della concessione autostradale, con buona pace dei cinquegreppie che hanno sbraitato per due anni, da Toninelli allo stesso di Maio per levarla dalle mani di chi ha dimostrato una malagestione esagerata. E allora: questo accordo su cosa si basa? Quali sono i piani di risanamento che l’attuale società concessionaria ha garantito? Perché non basta mettere sul piatto 2,9 miliardi se poi questi soldi si perdono nei soliti mille rivoli della burocrazia.
A quanto pare è rimasto il solo Di Battista a lanciare strali manichei contro Atlantia e contro una concessione che mette i brividi nelle schiene dei parenti di chi sul Polcevera ha lasciato la vita.
O forse la domanda più giusta sarebbe: quali tasche si sono riempite per appianare divergenze che parevano insuperabili? Un defunto senatore a vita nei momenti di veglia amava ripetere che a pensar male si fa peccato ma molte volte si indovina. Anche questa volta sarà confermata la sua saggezza?
Ultima domanda: considerando i disagi di chi entra in autostrada, ad esempio, a Bolzaneto ed esce a Milano dopo oltre sei ore, non sarebbe carino (per non dire ‘onesto’, che è un termine desueto a certe orecchie) rimborsare i pedaggi o addirittura non farli pagare?