Bevilacqua e la sua visione della «sociatria», ovvero la cura responsabile della società


Possiamo affermare di non essere d’accordo. Negare però può dimostrarsi anche in un modo di celare l’evidenza delle cose.

Il coronavirus, nel giro di poche settimane, si è trasformato da problema lontano a minaccia seria e controllabile soltanto con severi lock-down di cui l’Italia si è resa apripista in Occidente, stravolgendo la nostra vita quotidiana. È comprensibile che ci siano state confusione, ansia e paura tra la popolazione.

Sfortunatamente, questi fattori hanno anche alimentato la crescita di una confusione sociale. C’è chi afferma che quanto la politica, corroborata da campioni della virologia militante e sussidiata da immancabili interessi occulti, ha messo in atto sia a tratti illegittimo. Lo starnazzo mediatico assordante intanto confonde vieppiù le idee ad una cittadinanza già prima smarrita, meno attrezzata per un uso critico delle informazioni e della conoscenza. È abbastanza sconfortante il complottismo esasperato che, pregno di tautologie e contraddizioni , ormai ovunque giganteggia.

In antitesi ad una costante del nostro tempo, che è il «coro di bocche chiuse», forgia della distanza dall’impegno, è di pochi una visione risolutiva che passa attraverso un tema inedito per la nostra contemporaneità: interrogarsi su quale sia la cura più efficace per nostra società locale e globalizzata, che sulle questioni più importanti si mostra indifferente e, molto spesso, irresponsabile. Per troppa pigrizia, e per resistenza al cambiamento?

Con un background piuttosto variegato che forse lo ha reso resiliente al punto di essere stimolato da questi tempi foschi, consulente della pubblica amministrazione, ma anche impresario culturale e professore, fiero della sua passione per la lirica e la gastronomia, di cui la sua terra è culla, una vita talora scandita da scelte anticonformiste e originali, ad un passo dall’idealismo di romantica memoria, è quella di Sergio Bevilacqua.

E proprio in questa indeterminazione, il sociologo originario di Reggio Emilia, trova la verve intellettuale per superare un clima in cui non può prevalere l’indifferenza rispetto alle questioni più importanti che coinvolgono le nostre vite. Quindi, ipotizza uno scenario per le scelte pubbliche, attraverso un excursus non banale, e per questo valido, su concetti che nessuna analisi logico-epistemologica dovrebbe permettersi di ignorare. Un processo che può rappresentare la via per nuove forme di responsabilità e partecipazione al governo delle nostre vite, delle nostre società e del nostro destino, espungendo da esso le insidie tanto dovute al crasso materialismo quanto al protervo cinismo.

Bevilacqua, da maestro della versatilità, fuori da un’area sociale conformista, talora capziosa, ha saputo così cucire insieme un significativo spazio di espressione sulla sua pagina Facebook e tra l’altro sulla chat « Il Politico Conservatore», il think tank di cui è fondatore su Whatsapp, aperto a contributi qualificati sulle politiche sociali. Nelle intenzioni si tratterebbe di creare le condizioni per elevare noi tutti dalla posizione di spettatori a un cammino emancipativo, che è allo stesso tempo locale e planetario. Lo scopo è migliorare la cooperazione civile-culturale attraverso un approccio multidisciplinare che combini esperienze e know-how.

E si è rivelato il modo straordinariamente coerente, di chi ha patrimonializzato ogni sua esperienza, anche la più stravagante, in uno strumento chiave per accrescere la propria competenza, per identificare in questo momento di crisi l’opportunità di cambiare finalmente il paradigma economico, trasformando la società dei consumi in una società capace di rispondere ai bisogni reali delle persone. Un’occasione che in pratica ci forzerà a cercare soluzioni più adattive ad alcune necessità che non possiamo ulteriormente ignorare, permettendoci di riattribuire il corretto valore alle cose, di riformulare la nostra gerarchia di valori e priorità.

La leadership che potrebbe essere definita come l’abilità di sfruttare una crisi per ottenere il più grande effetto possibile, e lo è stata se pensiamo a come fu affrontata la Grande Depressione negli anni Trenta con la creazione di efficaci modelli di welfare state, come si pone innanzi al dilemma dell’innovazione sociale? L’imponenza dei mezzi finanziari che, a livello europeo ma non solo, sono in corso di stanziamento fa sì che oggi si possano vedere attorno a noi i germogli di una discontinuità rispetto alle incongruenze dei tempi passati.

Il rischio non sarà di cozzare nei connotati di un’Arcadia ormai perduta e mitica, irriconoscibili in campo economico nella nostra era, in questo impero del digitale, dove ogni cosa è sempre più in funzione dell’immediato utilitarismo? Comunque, Bevilacqua si propone di offrirci la più dettagliata ed attenta diagnosi, attraverso uno studio molto scrupoloso della congiuntura. Esiste dunque un’opportunità in tal senso, senza che essa appaia la fisionomia di un’inguaribile utopia.

Si pone tuttavia una questione di « sociatria», di cura responsabile della società. Infatti, solo la costruzione innovativa di un’impalcatura ortopedica, cioè di una ricongiunzione del legame fra cittadini e forme di governo democratico, può ricostituire la base di una prospettiva di qualità di vita e giustizia sociale. Un humus culturale da ricreare; quello che abbiamo non solo si mostra obsoleto, ma non è più adatto alla contingenza, foriero di un deterioramento, con il quale possiamo prevedere soltanto parossismi sociali di un’intensità mai vista.

Possiamo anche non trovarci d’accordo con tutto questo. Obiettare è pur sempre un gesto compatibile con una nostra presenza attiva. Negare però può dimostrarsi anche in un modo di celare l’evidenza delle cose. Una negazione per svincolarci alle nostre responsabilità. Neghiamo per indifferenza, appunto.