Burioni, chi?


Un cardiologo del San Matteo di Pavia in maniera anonima (per ovvi motivi precauzionali) racconta in un gruppo chiuso di colleghi su Fb la sua esperienza in reparto con i malati di Covid 19, annunciando di aver capito il perché di tanti morti. Il post, che finisce in rete, viene invece attribuito a un noto medico del Rizzoli che ne smentisce la paternità, pur prendendo posizione a favore della tesi illustrata dal collega di Pavia. Subito la stroncatura come “ennesima bufala” da parte del guru dei vaccini, Roberto Burioni.
La storia va avanti da settimane, pertanto siamo andati a recuperare tesi simili a quella in questione, espresse da illustri specialisti della materia, questa volta non in incognito, su giornali e tv poco o affatto prese in considerazione dall’informazione ufficiale tutta schierata ai piedi di virologi alla Burioni diventati nel frattempo delle vere star dell’Horror.
Come potete leggere in un altro articolo di questo numero di WM, i pazienti “vanno in tromboembolia venosa generalizzata soprattutto polmonare” e ventilare un polmone dove il sangue non arriva “non serve” tanto è vero che “9 su 10 muoiono”. Il problema, dunque, è cardiovascolare e non respiratorio: “sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità”.
In poche parole, il virus innescherebbe una forte infiammazione la cui risposta immunitaria si manifesta con la febbre alta che, se trascurata, come pare sia stato nella maggior parte dei casi, provocherebbe la formazione di trombi letali. Di conseguenza, conclude, usare gli antinfiammatori sarebbe la soluzione madre (somministrati in primis dai medici di famiglia) per evitare corse in ospedale, il più delle volte tardive.
Per farla breve, un errore diagnostico sarebbe all’origine delle migliaia di vittime della pandemia Errore confermato dalle autopsie effettuate sui corpi dei deceduti, ma che inspiegabilmente non ha fatto breccia nella comunità scientifica che affianca il governo nell’emergenza. E qui ci sarebbe già abbastanza materiale perché la magistratura – nella sua indipendenza – si chieda il perché e verifiche se veramente dietro a tutto questo ci sia stata sempre e solo la buona fede.
La notizia, dicevamo, fa il giro del web a firma del professor Sandro Giannini, medico ultratitolato e primario di traumatologia al prestigioso ospedale Rizzoli di Bologna il quale, contattato da un collega giornalista, smentisce di esserne l’autore ma di averlo solo condiviso e ci tiene a far sapere di essere d’accordo con quanto sostenuto dal medico pavese.
“Quanto scritto dal cardiologo – dice – non è da considerare errato al momento delle conoscenze attuali. Infatti dalle osservazioni cliniche e dai rilievi anatomopatologici il collega arriva ad affermare che un trattamento precoce ad azione antiinfiammatoria ed antiaggregante può portare ad una evoluzione più favorevole della malattia con riduzione degli ingressi in rianimazione che così potrebbe essere riservata ai casi gravi e a pazienti con patologie associate. Un dato, che – conclude –, anche se dovrà essere confermato dai numerosi protocolli che utilizzano i farmaci in esame, potrebbe giustificare la riduzione osservata nei ricoverati”.
Ed eccoci a Roberto Burioni, il più ascoltato tra gli esperti, in televisione ininterrottamente da due mesi a propinare le sue infallibili conoscenze e ad ammonirci sulla letalità del virus che si combatte solo stando chiusi in casa in attesa del vaccino miracoloso, che sentitosi evidentemente punto sul vivo, decide di intervenire sulla vicenda dal suo magazine online di informazione scientifica e debunking delle fake news, “Medical Facts”. Non lasciando ‘scampo’ al malcapitato sconosciuto cardiologo.
“Prima il farmaco russo, poi il farmaco giapponese, poi il laboratorio cinese – scrive il virologo -, da qualche giorno mancava una bufala sul coronavirus ed è puntualmente arrivata: il cardiologo di Pavia. Sì, perché gira una lettera di un ipotetico cardiologo di Pavia (ovviamente il nome non compare, per cui dobbiamo credere che esista con un atto di fede, che ben si intona con il periodo), un genio che ha capito tutto mentre l’intero mondo si sbaglia e che, guarda caso, ha anche trovato la soluzione: una cura semplicissima, quasi banale, che risolverebbe il problema”.
Poi passa a demolirne la tesi: “È una scemenza di proporzioni immense, lo scritto mette insieme alcune cose vere con altre scemenze olimpioniche e arriva a conclusioni che definire senza senso è generoso”.
Per concludere con la solita lezioncina: “Ricordatevi, le notizie di nuove cure non arriveranno su WhatsApp, dalla chat dei genitori della scuola, o dei giocatori di calcetto, ma le troverete nelle riviste scientifiche e noi di Medical Facts ve le racconteremo in maniera istantanea”.
Sottintendendo, ovviamente, di essere lui l’unico ‘illuminato’ a poterne bollinare la veridicità e l’eventuale efficacia. Eppure Burioni, lo scienziato in odore di ‘grembiulino’ e tenacemente impegnato nel business della sanità come raccontato in una lunga e brillante inchiesta de “La Voce delle voci” di Andrea Cinquegrani (è lo stesso che aveva detto che il Covid 19 non sarebbe mai arrivato in Italia, e se in altri paesi chiudevano tutto, noi potevamo stare tranquilli.
Riteniamo che Burioni dovrebbe, nei ritagli di tempo tra un’intervista e l’altra e una comparsata in tv, cominciare a prendere atto che sembra ormai quasi accertato che gli eventi tromboembolici giochino un ruolo decisivo nella sindrome respiratoria acuta da Covid.
Una constatazione che arriva non solo da medici stranieri, ma anche italiani e questa volta, come accennavamo in precedenza, non perfetti sconosciuti, i quali hanno capito che molti sono morti intubati e tracheomizzati per un errore di valutazione.
Domenica 12 aprile ospite alla trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa”, il direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-toraco-vascolare dell’ospedale san Raffaele di Milano, Alberto Zangrillo, ha affermato che la polmonite “è una costante, non vi è malato che non ce l’abbia”. E all’Adnkronos qualche giorno dopo ha spiegato che questo “è solo l’aspetto più evidente dei casi gravi che giungono in terapia intensiva, ma nel mio istituto, dove abbiamo eseguito Tac total body a ogni singolo paziente, quello che stiamo vedendo è una tempesta infiammatoria, che ha come target non solo il polmone ma anche tutta un’altra serie di organi e apparati, soprattutto l’endotelio, la parte interna dei vasi e che in una percentuale significativa di casi esiste evidenza di manifestazioni tromboemboliche che peggiorano il quadro”.
L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), nel frattempo, ha dato avvio all’uso in prevenzione delle eparine a basso peso molecolare (l’anticoagulante principe) nei pazienti Covid e ha approvato uno studio specifico, proposto dal direttore dell’Unità Operativa Malattie Infettive del Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, Pierluigi Viale e da Filippo Drago, docente di Farmacologia e direttore dell’Unità di Farmacologia clinica al Policlinico di Catania , per valutare gli effetti della somministrazione di dosi medio alte del farmaco, non tanto per prevenire eventi trombo-embolici, ma per curare quelli già in atto e che spesso portano al decesso dei pazienti.
Di Paolo Ascierto e della sua cura a base di Tocilizumab, assurta agli onori della cronaca per la polemica in diretta a Cartabianca dalla Berlinguer, scatenata dall’altra star tv della infettivologia, Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, si è detto in un altro articolo, e si conoscono ormai gli incoraggianti risultati sperimentali condotti non solo nel suo ospedale, il Pascale di Napoli, ma anche in altri nosocomi delle varie zone rosse del Paese.
Come confermato in una conferenza stampa qualche giorno fa dal direttore della clinica di malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti: “La sperimentazione con il cortisone più il Tocilizumab sta dando buoni risultati, sembra aiutare molto i pazienti soprattutto per la cura della parte infiammatoria causata dal virus”.
E il 9 aprile, sulla Nazione di Pontedera è arrivata un’altra testimonianza dello stesso genere dal professore Alessandro Mascitelli, responsabile del centro flebologico di Villa Tirrena di Livorno il quale, parlando delle autopsie effettuate sugli affetti da Covid ha spiegato che “l’eparina, se utilizzata fin da subito su prescrizione medica, ovvero durante la comparsa dei primi sintomi, può aiutare, cosa di cui pare si sia convinta anche l’Oms, come mi ha confermato il professor Pietro Muretto dell’Università di Pesaro”.
Sullo stesso giornale, il primo aprile, la dottoressa Roberta Ricciardi dell’Azienda Ospedaliera di Pisa ha reso noti gli ottimi risultati ottenuti sui malati da coronavirus trattati con il cortisone, annunciando che la terapia da lei sperimentata è entrata a far parte del protocollo ufficiale della Regione Lombardia e usata negli ospedali di Brescia, Bergamo, del San Giuseppe di Milano e infine, anche a Roma all’Istituto Lazzaro Spallanzani.
Insomma, il cardiologo di Pavia, nel suo piccolo aveva visto giusto e Burioni che nel frattempo ha dato del ‘cretino’ anche a Giulio Tarro – unanimemente riconosciuto tra i più importanti virologi al mondo, allievo di Albert Sabin e per due volte candidato al Nobel – il quale si era permesso da Bruno Vespa a ‘Porta a Porta’ di obiettare argomentando che a suo parere non è necessario alcun vaccino e che il virus scomparirà da solo nel giro di 70 giorni (come detto da altri illustri epidemiologi nel mondo), continua a imperversare sui media approfittando dell’occasione per promuovere il suo instant book dal titolo, guarda un po’, “Virus, la grande sfida”.
Forse un po’ di ritegno sarebbe utile.