Che succede oggi in Italia?


La settimana che si è appena conclusa ha visto alcuni avvenimenti della politica e dell’economia italiana che a prima vista non sembrano tra loro collegati, ma ad un occhio più attento mostrano segnali preoccupanti.
Partiamo dal progetto di fusione tra due delle maggiori banche italiane, Intesa San Paolo (che è già il risultato di una precedente fusione) e UBI Banca. Si potrebbe dire: niente di nuovo sotto il sole. In effetti è un film già visto: colossi che si integrano per formare supercolossi i quali a loro volta verranno fagocitati da gruppi planetari per poi disgregarsi dopo uno o due decenni al primo cambio al vertice in una nuova galassia di attività le più disparate, bancarie, assicurative e industriali. Tutto sommato ricorda in piccolo ciò che succede nell’Universo che conosciamo: stelle raggruppate in galassie, galassie raggruppate in ammassi e in superammassi che prima o poi (ma qui i tempi sono lunghetti…) si annienteranno in un buco nero da cui – forse – riemergeranno nuove stelle.
L’offerta pubblica di scambio che Intesa ha lanciato è molto allettante e c’è da credere che la mossa sia stata studiata molto attentamente e che porterà il risultato voluto. Certo che definire tale offerta “amichevole” nei confronti di UBI Banca non è il massimo della delicatezza, visto che è stata presentata proprio mentre il direttore generale di UBI stava esponendo ad azionisti e giornalisti il piano del prossimo quadriennio. Immaginiamo l’imbarazzo nel mostrare all’assemblea diapositive che rappresentavano un futuro ormai non più tanto realistico!
Ma tant’è: questo è il mondo un po’ piratesco della finanza, che non finirà mai di stupire con i suoi colpi di teatro e le sue bolle di sapone.
Fin qui, la cronaca. Ma a voler fare un po’ di dietrologia, occorre ricordare che UBI banca salvò Sorgenia – “L’energia che ti fulmina” – da un crack spaventoso non più tardi di sei anni fa, appena un attimo dopo che il governo Renzi si fu insediato (22 febbraio 2014, che tempismo, eh?). La Cir di De Benedetti era passata da un utile di 6,4 milioni nel primo trimestre 2013 ad una perdita netta di 2,6 milioni esattamente un anno dopo. Dove siano finiti tutti ‘sti soldi lo sa solo il titolare della tessera n. 1 del PD, che da parte sua attribuì in parte le cause di questo tracollo all’impatto degli oneri straordinari da ristrutturazione della controllata Sogefi e dai minori proventi finanziari della capogruppo. Da parte sua, la controllata Sorgenia nel primo trimestre 2014 vide i ricavi scendere del 25,4% con una perdita netta pari a 14,6 milioni. L’indebitamento finanziario netto della società al 31 marzo era aumentato a 1,85 milioni rispetto agli 1,79 milioni di fine 2013. Fatto sta che grazie alle amicizie cementate a suon di quattrini in un’intera vita il Sor Genio riuscì in una piroetta carpiata con triplo avvitamento all’indietro che nemmeno Klaus Dibiasi nei tempi migliori. Con un miliardo e 800 milioni di debiti e 400 milioni da trovare al più presto, Sorgenia era l’incubo degli editori di “Repubblica”. Ma ecco la soluzione piovere dal cielo: Cir mette pochi spiccioli e le banche convertono crediti e salvano la voragine della famiglia Mangiaitalia. Monte dei Pacchi si ritrova primo azionista col 22% (che culo!), seguito da UBI Banca al 18% e Banco Popolare all’11,5%. Inutile dire che operazioni di questo tipo non passano senza che da palazzo Chigi sia prima arrivato un benestare, anche tacito.
Tralasciando il fatto che nessun altro essere umano, per immanicato che sia, avrebbe potuto ottenere crediti e vantaggi di questa portata da un gruppo di banche, per di più strangolate dai debiti, ricordiamo che nel 2014 lo slogan pubblicitario di Sorgenia era: “Ogni energia all’impresa italiana”. Chissà cosa pensarono dello spot quelle imprese che in quel periodo si videro negare un fido da alcune delle banche coinvolte nel salvataggio della società energetica della famiglia De Benedetti.
Occorre inoltre notare che anni fa l’ingegnere aveva un ufficio nella sede torinese di UBI Banca (un mio amico lavorava nell’ufficio a fianco). Orbene: riesce quanto meno difficile pensare che un riassetto bancario della portata di quello progettato da Intesa non veda coinvolto l’ex-AD di Olivetti. Il che non renderebbe certo illegittima l’operazione, ma le conferirebbe una certa opacità sulla quale gli organi di controllo faranno bene a tenere direzionate le antenne.

Nel frattempo nei palazzi della politica volano gli stracci tra i cortigiani di Conte e i palafrenieri del Bomba (toh, ancora tu! Ma non dovevamo vederci più?). Minacce di votare con l’opposizione (messe in pratica davvero) e prove di defenestrazione (peraltro non riuscite) hanno surriscaldato un clima già rovente tra i partiti di governo.
Ciò che avevamo sostenuto mesi fa, alla nascita di Italia Viva, si sta pian piano avverando. Renzi ha sempre avuto manie di protagonismo, ed ora che il suo partitino sembra non raggiungere nemmeno un 4 % nei sondaggi cerca di fare la voce grossa sfruttando quei seggi e quei voti che in caso estremo gli consentirebbero di far cadere l’esecutivo. E così tuona con tutto il fiato che gli resta su prescrizione (per inserire modifiche inutili ad una legge dannosa!) e intercettazioni. Anche su queste ultime non ci sentiamo di dargli torto: il tentativo di evitare che l’Italia diventi uno stato di polizia dove qualunque sbirro può intercettare le comunicazioni di qualsiasi cittadino senza il parere di un magistrato, per quel che vale, è certamente positivo. Restano i dubbi sulla reale volontà del Pinocchio di Rignano sull’Arno di fermare una deriva assolutistica, o piuttosto sul suo utilitarismo di cui conosciamo decine di precedenti. In ogni caso la pentola è in continua ebollizione, con capovolgimenti di fronte repentini e inaspettati. È cosa nota che il fondatore di Italia Viva voglia sbarazzarsi di Conte con un cambio di governo ancora una volta da fare senza passare per le urne. Il fiorentino aveva caricato di attese la sua presenza da Vespa a Porta a Porta, ieri sera. Tutti si aspettavano un attacco a testa bassa contro il presidente arcobaleno, giallo-rosso-verde. Le frecciate non sono mancate, ma Matteo ha giocato di fioretto, lanciando un appello «da LEU alla Meloni» per fare le riforme, perché «il Paese è fermo». Siccome con la sinistra Italia Viva già ci sta, e male, è evidente che l’ invito è al centrodestra e il messaggio è: scompaginiamo tutto. Peccato che la richiesta a Salvini di fare un governo insieme è stata dallo stesso Renzi rimangiata poche ore dopo (e dopo che Salvini l’aveva rispedita al mittente senza troppi complimenti).
Fatto sta che con il Bomba, è proprio il caso di dirlo, non ci si annoia mai. L’ultima volta lo scontro fu sui vertici dei servizi segreti. Con gli stessi protagonisti – Giuseppe Conte e Matteo Renzi – e lo stesso obiettivo: rimuovere le persone scelte dall’ex premier. Nei tre vorticosi anni alla guida del governo, l’ex rottamatore ha avuto l’opportunità di fare centinaia di nomine. Oggi, da leader di un piccolo partito scissionista, Renzi vede sfuggire dalle mani un inestimabile patrimonio di relazioni.
Non è un caso se le tensioni interne alla maggioranza sono esplose dopo le notizie di un vertice fra Pd e Cinque Stelle a insaputa del leader di Italia Viva: Renzi non ha alcuna intenzione di farsi mettere ai margini, e per questo fa valere il suo potere di interdizione su una maggioranza che al Senato ha numeri piuttosto traballanti. La partita è complessa: il governo deve esaudire le richieste dei partiti della coalizione e cercare una sintesi tra i veti incrociati. Eni, Enel, Terna, Leonardo, Poste, per citare le più importanti. Basta muovere una pedina e i piani di ciascuno saltano.
Gli occhi sono puntati sulla poltrona più pesante di tutte, quella di Claudio Descalzi. L’Eni è un crocevia di relazioni ed equilibri internazionali che valgono più della poltrona del ministro degli Esteri. L’amministratore delegato è imputato in un processo per corruzione internazionale e fino a qualche mese fa i Cinque Stelle consideravano la sua rimozione una certezza ma con Conte premier e con l’appoggio del suo partito (ovviamente il PD) le lance grilline sembrano essersi spuntate, al punto da fare ipotizzare una sua riconferma. Se così non fosse, al suo posto il ministro dell’Economia Gualtieri vorrebbe il numero uno di Enel, Francesco Starace. Piccolo problema: Starace sta bene dov’è. E’ candidabile a un terzo mandato che lo farebbe passare alla storia come colui che ha trasformato Enel in un gruppo di rilevanza mondiale. Se Descalzi la spuntasse, entrambi verrebbero riconfermati, con gaudio di Renzi e scorno dei Cinque Stelle.
Più intricata ancora la vicenda di Leonardo, dove la lotta si concentra tra Domenico Arcuri, numero uno di Invitalia e Giuseppe Bono, capo indiscusso di Fincantieri da quasi vent’anni. Arcuri gode di grande stima a Palazzo Chigi ed è considerato uomo di riferimento di Massimo D’Alema e quindi di Gualtieri, da sempre vicino al leader maximo. Conte, e con lui il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, lo hanno confermato ai vertici di Invitalia contro la volontà di Luigi Di Maio. Ma sulla sponda grillina del governo c’è chi sussurra che Bono stia cercando un modo per arrivare alla presidenza di Leonardo con l’appoggio Renzi, col quale si sente spesso al cellulare. La trattativa fra i partiti sarà lunga: la prima poltrona pesante in scadenza è quella del Monte dei Pacchi, il 6 aprile. Se i veti incrociati avranno la meglio, c’è chi scommette in una conferma o quasi della gran parte delle poltrone in scadenza. Uno scenario che non dispiacerebbe al Quirinale, sempre più affascinato da un’antica massima latina: quieta non movere et mota quietare.