UE: Riprendiamoci la nostra sovranità!


Alla fine la Gran Bretagna ce l’ha fatta. La Brexit è realtà dalla mezzanotte dello scorso venerdì.
Non sappiamo se ce l’hanno fatta gli inglesi: alcuni certamente sì, quelli che venerdì sera festeggiavano per le strade di Londra e si ubriacavano nei pub di Cardiff e di Liverpool. Altri probabilmente no, come si vedeva nei volti tesi e abbattuti dei molti che di fronte a Westminster sventolavano fiaccamente la bandiera europea.
Non saranno i soli a rimpiangere la CEE: a loro si uniranno presto i gallesi, che hanno votato per la Brexit per poi accorgersi che adesso gli aiuti europei alla loro economia disastrata non arriveranno più.
Ma al di là dei discorsi, delle previsioni e dei proclami, il dato di fatto è che ora l’Inghilterra (chiamiamola così, alla francese) è più sola. Il che non significa più povera, come molte cassandre stanno gufando. Sicuramente uno scossone la sua economia lo subirà, non c’è da dubitarne, ma un regno millenario che è sopravvissuto ad ogni invasione dal tempo di Artù fino al terzo Reich, dominando i mari e creando un impero secondo solo a quello spagnolo di Filippo V, non salterà certo per aria per aver impedito a quattro burocrati prezzolati di comandare a casa loro.
Certo fa un po’ impressione un’Europa senza inglesi, che furono tra i sei fondatori della CEE al tempo dei trattati di Roma. E’ un po’ come se gli agnelli vendessero le loro quote della FIAT, come Manetti senza Roberts, come Procter senza Gamble, per dire. Ma guardando oltre, a quando la tempesta si sarà calmata e riprenderemo a fare i weekend a Londra viaggiando col TGV nell’Eurotunnel, quando torneremo al Barbican Theatre a vedere Jesus Christ Superstar (eh sì, è ancora in cartellone!), allora il resto d’Europa si renderà conto che non è cambiato nulla, non sono scopiate guerre, non sono crollate economie e non si sono acquisiti nuovi posti di lavoro. Tutto come prima. E allora, forse, qualcuno incomincerà a ragionare su questo e a pensare che tutto sommato dall’Europa si potrebbe anche uscire!
Qual è allora la lezione che questo popolo – antipatico come un dentifricio alla pasta d’acciughe ma maestro di democrazia da secoli – ci sta dando? Che cosa hanno fatto in realtà? Molto semplice: si sono riappropriati della loro sovranità. Una parola che è affermazione di principio, rivendicazione di competenza e di responsabilità, assegnazione di compiti e azioni conseguenti. Non è un concetto astratto ma si esprime in vari ambiti reali dove si esercita il potere e il consenso, la vita e lo spazio pubblico. La sovranità non è solo il potere esercitato sulle persone e sulle cose: è il riconoscimento di un principio che non si ferma alla banalità dello scorrere dell’esistenza, ma che la sovrasta, s’innalza sopra l’accadere e dunque lo modifica. Sovrano non è chi segue la realtà ma chi la cambia, decide un altro corso. Il male principale della nostra epoca è la riduzione dei processi storici e umani a puro automatismo: ovvero non si può fare che in questo modo, la tecnica o i bilanci hanno delle esigenze rigide, stabilite, da cui non si può prescindere e tantomeno derogare.
Un esempio? Le stupide regole che la CEE impone sulla lunghezza dei cetrioli o su mille altre cose che devono per forza aderire a uno standard. Le norme ci stanno soffocando. Non parlo di leggi, ma di ISO 9000, di standard elettrici e norme di buona fabbricazione, di GMP e di regolamenti per la fabbricazione della salsa di pomodoro.
Non voglio l’anarchia, per carità, ma non è possibile, non è logico e non è giusto cercare di uniformare il lardo di Colonnata a un disciplinare creato da un laureato in giurisprudenza e per giunta belga, che come tale non va al di là delle bistecche con la crema!
Sovranità è libertà di decidere che il casu martzu di Orgosolo è buono e fa bene anche se ha i vermi, anzi: proprio per questo! Accettiamo culture di gentaglia chemangia cani e serpenti perché secondo alcuni mentecatti rappresentano il nostro futuro e poi ci lasciamo condizionare da borghesi infami che pretendono di levarci il formaggio di fossa? Nella fossa ci mettiamo loro, burocrati senza cultura affamati di carta e cuoio per poltrone!
Questa è la sovranità, di cui il sovranismo è un brutto qualificativo. Sovrano è colui che libera l’uomo dall’automa e lo restituisce alla responsabilità di decidere. La sovranità in questa fase si ribella al fatalismo della tecnica e della finanza, non sottostà alle sue imposizioni ma le supera restituendo al cittadino la facoltà di decidere non solo le azioni ma anche le norme su cui fondare l’autonomia. Vediamo dunque in quali contesti questa sovranità dev’essere declinata.
Innanzi tutto sovranità politica rispetto all’economia e ai mercati perché la politica resta, nonostante tutto, il luogo in cui si rappresentano e si tutelano gli interessi generali e i principi condivisi, il luogo in cui l’identità di un popolo si fa volontà e destino. Ad essa tocca decidere l’orientamento, la direzione, le priorità che la tecnica applicherà nelle sue procedure. Vi è poi la sovranità nazionale, per affermare l’importanza decisiva dell’identità di un popolo, delle sue tradizioni e della sua dignità che non può essere umiliata e svenduta da poteri plutocratici sovranazionali che rispondono solo ai propri obiettivi privati. Un esempio in chiave europea è stato il fiscal compact, che ha la pretesa di scavalcare la sovranità degli Stati membri dell’Unione. È possibile integrare nel contesto europeo le sovranità nazionali, ma per far questo non occorre disintegrarle!
La sovranità popolare, poi, deve esistere sempre e comunque, perché non si può calpestare la volontà di un popolo espressa dalla sua maggioranza subordinando un paese alle oligarchie finanziarie, burocratiche, giudiziarie, mediatiche e ideologiche. La democrazia non è perfetta, anzi per molti versi ha fallito, ma resta fondamentale aggrapparsi al sentire comune per evitare la deriva anarchica che fatalmente porterebbe alla dominazione altrui.
Non dimentichiamo poi la sovranità monetaria: un paese resta sovrano se dispone della sua moneta, se è in grado di governarla e non di essere strozzato dagli imperativi finanziari, dai paradigmi tecnici o dalle ingiunzioni delle agenzie di rating. La moneta dev’essere al servizio dei cittadini, e non il contrario. Il signoraggio bancario, di cui si parla sempre troppo poco, è un crimine più grave del genocidio!
Che dire poi della sovranità linguistica? Che la lingua italiana è e deve restare sovrana, sebbene vada incoraggiato il plurilinguismo, vada diffuso oltremodo la lingua inglese, e debbano essere tutelati e incoraggiati i dialetti. Ma l’italiano va difeso e promosso perché è il segno vivente e parlante della nostra identità, una delle lingue più nobili e gloriose al mondo e la quinta lingua per diffusione sul Pianeta.
Last but not least (come diceva la maglia nera al Giro d’Italia) non dobbiamo perdere mai e per nessuna ragione la sovranità dello Stato, perché uno Stato non può fallire ed elemosinare aiuti dalle banche; la nostra economia reale è solida, le nostre riserve auree sono rilevanti, abbiamo un avanzo primario da fare invidia alla Cina e alla Germania e le famiglie italiane dispongono di beni reali come le case, le terre, i risparmi. Lo Stato non può e non deve abdicare ai mercati, alle banche o ai poteri cosiddetti ‘forti’, che sono – per definizione – irresponsabili, nel senso che non rispondono a nessuno.
Infine, vorrei che l’Italia premiasse i migliori e punisse i peggiori, ma restando Italia. Con l’Europa o senza. Repubblica vuol dire che l’Italia è di tutti e lo spirito pubblico prevale sull’interesse privato. Ma dire Repubblica è troppo poco, c’è una parola più adatta: Patria. L’Italia è la mia casa, è il ritorno, è l’infanzia, il cielo e la terra che mi coprirà.