Craxi driver


Circola un video (che vi invito a guardate) che racconta i fatti accaduti a Sigonella la notte del 10 ottobre del 1985 quando caccia degli Stati Uniti dirottarono e fecero atterrare nella base catanese (allora della NATO) l’aereo di linea egiziano che trasportava i terroristi palestinesi i quali avevano sequestrato la Achille Lauro uccidendo un turista statunitense.
Diciamo subito, ad onor del vero, che l’intervento USA era dettato unicamente dalla volontà di portare in America e lì processare i palestinesi per l’omicidio del turista ebreo americano Leon Klinghoffer, e che non gliene poteva fregare di meno della nave italiana con i suoi oltre 200 marinai italiani e di tutti gli altri turisti di qualsiasi nazionalità fossero. Come sempre gli americani cercano di avere giustizia a modo loro, sbattendosene allegramente del fatto che altri Paese possano avere altre leggi ed altre regole.
Purtroppo per loro, quella notte trovarono una risposta del tutto inaspettata: un uomo, un politico italiano, presidente del Consiglio dei Ministri, osò ribellarsi alla prepotenza USA e agì nel pieno del dritto nazionale e del rispetto della legalità. Come lui stesso ebbe a dire in seguito: “Abbiamo agito secondo la nostra coscienza, le nostra politica e secondo le nostre leggi. Questi i fatti, la verità dei fatti.”
L’uomo che pronunciò queste parole, colui che si oppose per ore a rischio di innescare un grave conflitto con l’alleato più forte, colui che tirò fuori “le palle” era Bettino Craxi.
A distanza di 35 anni da quei fatti e di 20 anni esatti dalla sua morte, ci sentiamo di affermare senza vergogna e senza alcuna paura di essere smentiti, che fu l’ultimo vero statista che l’Italia abbia avuto. Pur con tutti i suoi difetti e con gli errori che ha commesso (e riconosciuto) non mi vergogno, da uomo di destra, di ammettere che con Craxi finì l’era dei grandi uomini di stato. Dopo furono solo politici (ce n’erano tanti anche prima, comunque) e soprattutto furono dei nani al suo confronto.
Non voglio in queste righe ripercorrere i fatti di quella notte perché ciascuno dei miei 25 lettori (uno più di Manzoni, ne vado orgoglioso) potrà trovarlo su YouTube cercando “La notte di Sigonella”, ma è fattuale che il presidente Ronald Reagan alla fine dovette piegarsi alle ragioni messe in campo da Craxi, che dietro alle armi schierate aveva avviato nottetempo colloqui tramite i servizi (quelli seri, di allora, quelli di adesso farebbero solo del casino) con gli alti comandi NATO e USA.
Reagan era infuriato e aveva fatto contattare dai suoi consiglieri tutti i maggiori politici italiani, da Andreotti a Spadolini, al ministro degli interni Scalfaro e il direttore del SISMI Fulvio Martini. Ma Craxi si oppose strenuamente a tutte le pressioni di quella procedura anomala che andava contro al diritto internazionale. Alle 3 di notte dell’11 ottobre Reagan chiama Craxi tramite l’interprete Michael Ledine e gli ordina di consegnare i terroristi e i negoziatori, ma Craxi era prevenuto contro l’interprete, perché era convinto che non traducesse correttamente le sue parole. Nel frattempo la Delta Force USA che aveva circondato il Boeing fu a sua volta circondata dai carabinieri armati fino ai denti. Sotto scacco, e dopo che la trattativa al vertice con un interprete più affidabile aveva dato i suoi frutti, il generale americano sbarcato a Sigonella dagli aerei USA disse al Generale Annichiarico (allora colonnello) che i terroristi potevano essere portati a Roma.
Craxi incassò una vittoria clamorosa e diede un mirabile esempio di sovranità nazionale. Aveva tenuto sotto scacco la più grande potenza del mondo facendo valere solo la forza della legge italiana e del diritto internazionale.
La pagò cara. Tutto ciò che gli accadde in seguito, dai fatti di politica interna alle inchieste giudiziarie sono con molta probabilità state organizzate anche con l’aiuto dei servizi americani, che in un qualche modo dovevano farla pagare a quel maccheroni-pizza-mandolino che aveva osato mettere i bastoni tra le loro ruote.
In un’intervista resa a Marcello Veneziani dall’ospedale di Hammamet, con un piede già nella fossa Craxi disse: “Ho fatto tutto di corsa in una specie di frenesia che mi bruciava l’animo. Ho così commesso anche molti errori. E tuttavia, quello che io penso è che nella mia vita ho reso grandi servigi all’Italia. La storia, se non sarà scritta da storici di regime, dirà quanto questo è vero. Certo non merito di essere condannato a morire lontano dal mio Paese”
Craxi non fu mai molto amato. Si circondava di nani ma non si ergeva da sé come gigante. Aveva il senso della Grande Politica e della storia, e la interpretò – l’una e l’altra – a modo suo, sbagliando certo, ma si sa che chi non sbaglia mai probabilmente è stanco di non fare nulla.
Craxi mise in crisi il compromesso storico, grazie al supporto di laici e grandi firme del giornalismo tentò di modernizzare una sinistra vecchia, ancora preda delle grinfie del comunismo post-bellico e al contempo cercò di tendere una mano alla destra meno oltranzista e e più avanzata, distruggendo il concetto di arco costituzionale che fu creato a suo tempo per emarginare il MSI; firmò un nuovo Concordato e varò la nuova scala mobile, ponendo la prima pietra ad un nuovo concetto delle istituzioni che mettesse la politica al centro del potere decisionale, con l’elezione diretta del Capo dello Stato. Favorì anche la revisione storica, e la passione nazionale e risorgimentale per il socialismo tricolore. Fu suo il governo più longevo della prima Repubblica, che coincise con quella che oggi chiameremmo bolla economica, ma che fu il periodo di maggior vitalità, ottimismo, benessere e prestigio internazionale dell’Italia che – nonostante il debito in crescita – era diventata la quinta potenza mondiale.
Con tutto ciò non dobbiamo sottovalutare le sue responsabilità nella corruzione politica, nella partitocrazia e nel sistema di tangenti che strangolava gli appalti.
Ma Ghino di Tacco, come amava firmarsi su “L’Avanti!” o il ‘Cinghialone’ come lo chiamava allora Feltri non fu colui il quale avviò la corruzione politica e il finanziamento occulto e losco dei partiti, già in uso in tutta la sinistra parastatale DC già dagli anni ’50 e poi negli anni ’60 con i primi socialisti al potere negli anni Sessanta. Ma Craxi cercò di liberare il Psi e il Paese da un PCI che godeva anche di sostegni anche economici tramite i sovietici e le cooperative rosse e da una DC che gestiva il potere visibile e pure il sottobosco.
Con Craxi si era avviata una spinta ai consumi e un freno all’inflazione grazie al progetto di uno Stato che strizza un occhio al mercato ma conserva il primato della politica sull’economia, che apre alla religione senza essere clericale. Craxi non ha mai inteso sottomettere o silenziare la Chiesa, ma pretese che il prestigio dello Stato fosse laicamente superiore ed autorevolmente laico.
Dopo “mani pulite” il vuoto politico è stato colmato da succedanei, da indecisionisti, da supplenti che hanno prodotto altro vuoto in tu.ti i campi, dalla finanza alla magistratura, dalla politica estera ai rapporti col papato. E tutti, manco a dirlo, se ne sono approfittati.
Diciamolo pure: il suo concetto di laicità e di emancipazione dell’Italia non lo avrebbe mai portato a ridurre la sinistra a un marcescente difensore di gay, clandestini, eutanasie , aborti, zingari e tossicodipendenti, e allo stesso tempo immobilizzata in un antifascismo fuori tempo massimo. Con Craxi avemmo l’unica efficace sinistra di governo che ha avuto la nostra repubblica, l’uomo che davvero guidò, condusse – come un tassista nel traffico o un pilota provetto su una pista pericolosa – il Paese verso una prospettiva più prospera. Ovviamente, come già detto, non si vuole plaudere allo sguazzare tra affaristi, corruttori e banditi vari. Nessuno vuole idealizzare o scordare ciò che è stato, ma è necessario vedere tutti i lati della questione, da veri storici, non da faziosi con la testa montata da vent’anni di giudizi di parte sbandierati da stampa e TV. La politica aveva certamente un prezzo che pretendeva fosse pagato per poter agire, quasi in tutti i campi, ma la morale e le leggi spesso trascurano gli effetti sul benessere di un Paese. La storia la scrivono i vincitori, ma la raccontano i loro discendenti, e questi non potranno far altro che benedire chi li ha posti nella condizione economica di cui si sono in seguito giovati. Uno Stato e il suo benessere si misurano dagli effetti che produce sulla vita dei suoi cittadini, sul suo ruolo nello sviluppo e nella pianificazione di un futuro ancora migliore. Insomma il rapporto tra costi e benefici, se vogliamo. E oggi possiamo vedere quanto più danno riescono a fare gli incompetenti autoproclamatisi onesti rispetto ai malandrini capaci.