Vite inutilmente sprecate (2a parte)


La RAF era quindi pronta ad intervenire in massa, anche se Dieppe, dislocata sulla costa francese della Manica e distante più di 100 chilometri dalla più vicina base aerea in Inghilterra, avrebbe limitato i tempi utili di copertura sullo sbarco, dal momento che i “Supermarine Spitfire”, caccia di punta dell’aviazione britannica, godevano di un’autonomia di volo piuttosto limitata.
L’operazione iniziò, come previsto, alle 05,00 del 19 agosto 1942, dopo un’attenta apertura di sicuri canali, da parte dei dragamine, dal largo fino alla costa. Guadagnata la spiaggia sui fianchi del porto, la violenza della battaglia non tardò a manifestarsi. Il fuoco nemico, a tiro incrociato, colpì ovunque e chiunque. Solo alle 10,50 del mattino, fu ordinato il ritiro dei soldati sbarcati e alle 14,30, su suolo francese, non era rimasto indenne un solo soldato inglese o canadese: tutti morti, feriti o fatti prigionieri. I tedeschi, sfruttando le alte scogliere che circondavano, come una barriera naturale, il porto di Dieppe, avevano posizionato su di esse le loro armi pesanti e le mitragliatrici, nascoste in bunker invisibili ed indistruttibili, riuscendo a battere l’intera area con estrema facilità, lasciando scoperti e vulnerabili i soldati a terra.
I carri armati Mk IV “Churchill”, che arrivarono in ritardo a causa di un terreno in forte pendenza, con massi larghi e sdrucciolevoli sui quali i cingoli non riuscivano a fare presa, complice anche tutta una serie di mendaci fotografie scattate frettolosamente e senza criterio prima della guerra, furono messi quasi tutti fuori combattimento. In ogni caso, quei pochi che ce la fecero a superare gli ostacoli naturali non erano dotati di un armamento così potente ed idoneo da annientare i bunker e le barriere artificiali anticarro.
Le perdite furono impressionanti. Dei 6086 soldati, tra canadesi ed inglesi, 3623 morirono o vennero catturati. Alcuni Reparti, come il “Royal Regiment of Canada”, furono praticamente annientati. Andarono distrutti 33 mezzi da sbarco ed un cacciatorpediniere. Anche il bilancio degli scontri aerei risultò negativo per gli alleati: 106 aerei della RAF furono abbattuti, contro i 48 velivoli della Luftwaffe, anche se, dopo tutto, l’area dello sbarco fu sufficientemente protetta, con una buona copertura; la fanteria non subì incursioni via cielo di particolare entità. I tedeschi persero solo (si fa per dire) 591 uomini tra morti e feriti.
Se non altro, la missione di Dieppe diede, agli alleati, importanti lezioni che risultarono utili e proficue nel successivo e determinante sbarco, quello in Normandia, il 6 giugno del 1944. Si ebbe consapevolezza che i porti francesi, in mano ai nazisti, erano troppo ben protetti e fortificati per essere presi d’assalto. Si decise di sbarcare sulle spiagge facendo ricorso, per assicurare ogni sorta di rifornimenti, ai porti artificiali, prefabbricati e trainati attraverso la Manica, denominati “Mulberry”. Sviluppati da un team del quale facevano parte lo scienziato irlandese John Desmond Bernal e l’ingegnere inglese Bruce White, fortemente voluti dal Primo Ministro britannico Winston Churchill, erano costituiti da una “testa” denominata “Spud”, una sorta di enorme piattaforma ancorata al fondale marino per mezzo di quattro lunghe gambe, alla quale poteva attraccare una nave da trasporto. La piattaforma era libera di oscillare in altezza, in modo da assecondare il moto ondoso e la marea. Questa, era collegata alla terraferma mediante una passerella formata da elementi metallici galleggianti, chiamati “Whale”, al di sopra della quale avrebbero potuto circolare i veicoli a motore.
Si imparò che gli uomini sarebbero potuti sbarcare solo con l’appoggio immediato e consistente di mezzi corazzati speciali, modificati per fare fronte a ogni tipo di terreno e di situazione, dai carri-ponte agli sminatori. Si capì quanto fosse determinante, per ammorbidire le difese, il fuoco navale e il bombardamento aereo e quanto lo studio particolareggiato dell’area della battaglia fosse un elemento imprescindibile, svolto necessariamente, nonostante la presenza del nemico, da unità speciali di ricognizione. E, soprattutto, che nessuno sbarco poteva avere luogo senza il massiccio impiego di forze, terrestri, navali ed aeree, preparate ad ogni evenienza, attraverso un’accurata pianificazione.
Come già accennato nella prima parte, le motivazioni per intraprendere l’incursione di Dieppe, anche se non del tutto banali, non sembravano giustificare un’operazione tanto pericolosa, dagli sviluppi, in termini di vite umane, così disastrosi. Quella missione “suicida” rimase per anni, ed ancora ritorna alla memoria, come uno degli eventi più controversi dell’ultima guerra.
Nel 1993 lo storico canadese David O’Keefe, partendo dal casuale rinvenimento di un resoconto del Ministry of Defence (Ministero della Difesa britannico), iniziò una serrata ricerca che lo portò, attraverso lo studio di diverse centinaia di pagine di documenti storici sul secondo conflitto mondiale, ad affermare, con quasi assoluta certezza, che gli obbiettivi a cui avrebbe dovuto portare il raid di Dieppe non erano quelli dichiarati in partenza. La tesi nata da quelle indagini fu che l’intera azione sarebbe stata pianificata per coprire un’operazione del “No. 30 Commando”, dal 1943 noto come “30 Assault Unit”, un’unità dei “British Commandos” operante nella seconda guerra mondiale, formata, in prima battuta, per raccogliere indicazioni segrete.
Secondo quelle notizie, nel settembre 1942 ne fu ufficialmente autorizzata la formazione, alle dirette dipendenze del Director of Naval Intelligence. Il “No. 30 Commando”, conosciuto inizialmente come “Special Intelligence Unit”, comprendeva 33 elementi dei Royal Marines, 34 del British Army e 36 della Royal Navy. Uno dei personaggi chiave del sistema era il Comandante Ian Fleming, lo stesso Fleming che, a partire dal 1953, sarebbe diventato il famosissimo autore della collana dei romanzi di James Bond, Agente 007.
Tra i propri compiti istituzionali, l’unità doveva precedere le forze alleate in avanzata o compiere infiltrazioni clandestine nel territorio nemico, per terra, mare o aria, impadronendosi di informazioni preziose, sotto forma di codici, documenti, equipaggiamenti o personale. Spesso lavorava in stretto contatto con le sezioni “Field Security” dell’Intelligence (agenzia di spionaggio inglese per l’estero). Elementi della “Special Intelligence Unit” erano presenti in tutti i teatri operativi e di solito agivano indipendentemente, raccogliendo dati dalle strutture conquistate.
Sempre da quelle fonti, emerse che a Dieppe il Commando doveva cercare di mettere le mani su tutto quanto aveva attinenza con un nuovo modello di “Enigma”, la macchina di cifratura usata dai tedeschi. “Enigma” si basava sul movimento casuale di tre rotori alfa-numerici; “Ultra”, la struttura inglese addetta alla decrittazione dei suoi messaggi, aveva capito il meccanismo. Ma, all’epoca dei fatti, tedeschi avevano introdotto un nuovo modello, con quattro rotori, e “Ultra” era rimasta indietro. L’attacco, quindi, avrebbe dovuto consentire all’Intelligence di penetrare nel locale Comando tedesco e sottrarre tutto il materiale crittografico disponibile, senza essere scoperto. Un’azione rapidissima che gli inglesi avevano denominato “pinch” (pizzico). Ma la “pizzicata”, come si sa, non ci fu. La struttura “Ultra”, dopo l’immediata delusione, riuscì, alcuni mesi più tardi, ad impossessarsi del quarto rotore e la situazione rientrò.
Anche se prive di conferme ufficiali, le argomentazioni prodotte da O’Keefe apparvero subito degne di credito. La loro concretezza, confortata dalla divulgazione, negli anni ’70 della reale presenza di “Ultra”, ha fatto sì che molte pagine di storia del conflitto mondiale venissero riscritte.
Così come le accuse di alto tradimento rivolte ai vertici ed agli uomini della Marina Militare Italiana, a seguito del disastroso epilogo della battaglia navale di Capo Matapan (marzo 1941), sono state completamente cancellate. “Ultra”, decifrando le comunicazioni intercorse tra la nostra flotta e l’aviazione tedesca, ha riconsegnato all’Italia ed alla sua forza armata quella dignità che per anni era stata oscurata.
Perché non riscrivere, allora, anche la storia di Dieppe e del massacro consumato su quella spiaggia di sassi, 77 anni fa? Sarebbe giusto farlo.