Le assurdità della giustizia


Quando si parla di giustizia in Italia occorre dotarsi di una buona dose di pazienza, almeno di molto senso dell’umorismo.
Non è raro infatti imbattersi in assurdità che raggiungono vette incredibili. Vediamone alcune, prendendo in considerazione solo l’aspetto penale, ben più ‘pesante’ per il cittadino, sebbene anche il civile abbia le sue incoerenze.
Innanzi tutto il pubblico ministero può indagare chi gli pare e piace senza controllo; non vi è nessuna possibilità giuridica di far passare il principio che stabilisca che il pubblico ministero si è sbagliato nell’indagare una certa persona, sia che abbia proprio sbagliato di persona, sia che abbia indagato un soggetto a carico del quale non vi è nessun indizio (quante volte per un caso di omonimia un disgraziato si è fatto anni di carcere “gratis”?). I pubblici ministeri, aiutati da un codice di procedura penale poco chiaro, si sono dimenticati di stabilire la differenza fra sospettati e indagati.
Sempre in tema di indagini, accade sovente di sentir dire che un soggetto viene indagato per puro dovere formale. Non è vero: nel codice di procedura penale non è prevista questa eventualità! O vi sono degli indizi a carico di una persona, la quale andrà dunque indagata al solo fine di consentirle di difendersi, oppure si è di fronte semplicemente a dei sospetti. Facciamo un esempio: quando viene uccisa una persona tutti gli abitanti di un paese possono essere sospettati e qualcuno può addirittura avere un movente, ma ciò non prova nulla; si ha un indiziato solo se vi sono precisi elementi di fatto che ricollegano una persona con il delitto. Perciò è un puro assurdo giuridico (non previsto dal codice!) che nel caso di morte in ambiente ospedaliero, vengano indagati tutti i medici e tutti gli infermieri; tagliando così all’origine – tra l’altro – ogni possibilità di sentirli come testimoni anche quando essi sono gli unici testimoni disponibili. In questo caso sono solo dei possibili sospetti e il pm il quale sostiene che è un atto dovuto indagarli per poter fare un accertamento tecnico, farebbe bene a cambiare mestiere. È il tipico caso di procedimento contro ignoti e si devono applicare le regole per questo tipo di indagine.
Veniamo ora alle notizie di reato. Ogni notizia di reato che arriva al pm è soggetta al segreto istruttorio; normalmente vi è una persona denunziata la quale non può sapere né chi la ha denunziata né per quali fatti e quindi non si può difendere. È una situazione paradossale, già dichiarata contraria ai diritti umani e vietata da una direttiva europea, ma la giustizia italiana continua a far finta di nulla. L’indagato deve avere il diritto di difendersi fin dal primo istante ed ha il diritto in ogni momento di far accertare che il PM sta lavorando a vuoto o – peggio – che è prevenuto o interessato. Attenzione: la direttiva in questione, la 13/2012/CEE è stata recepita dal Decreto Legislativo 1° luglio 2014 n. 101, però il Legislatore ha fatto finta di non aver letto l’art. 6 della direttiva sul segreto istruttorio: una scorrettezza da procedimento di infrazione e un chiaro disinteresse per i diritti umani. Ciò che sorprende è il silenzio di giudici ed avvocati su questo fatto. La questione è comunque già stata sottoposta alla Commissione Europea e si aspettano gli sviluppi.
Va poi detto che le indagini a carico di una persona sono oggetto di segreto istruttorio e di segreto di ufficio; solo la persona indagata e il suo difensore dovrebbero essere a conoscenza di ciò. Invece si vede tutti i giorni che il segreto non vale per il pm rampante, desideroso di mettersi in luce, il quale ne dà immediata comunicazione alla stampa. È un reato bell’e buono, ma non risulta che nemmeno una volta sia stata intentata un’azione penale contro un pubblico ministero.
Sempre in tema di indagini, quando una persona viene indagata (anche se in modo totalmente sbagliato) egli è tenuto ad avere un difensore; in Italia è vietato difendersi da soli per non togliere il pane di bocca agli avvocati (poverini). Se egli pensa di non aver bisogno di un avvocato di fiducia e non lo nomina, il pubblico ministero gli nomina un avvocato di ufficio il quale deve poi essere obbligatoriamente pagato dall’indagato, anche se poi il processo non va avanti e quindi si accerta che l’indagato è innocente. È un principio contrario alla Costituzione che un organo dello Stato possa a suo piacimento far nascere un debito in capo a un cittadino, di solito per errore di quest’organo o sua incapacità di procedere o semplicemente per la smania di questo organo di far vedere che egli è attivo o che sa come colpire certe persone che la pensano in modo diverso da lui. Se invece il soggetto indagato non ha redditi sufficienti, può chiedere il patrocinio a spese dello Stato e nominare un avvocato di sua scelta che poi lo Stato di paga. Badate bene, forse non avete capito bene: se un onesto lavoratore che con i suoi guadagni riesce a mantenere la famiglia è indagato, lo Stato gli impone un difensore di ufficio, magari un principiante, e il lavoratore se lo deve pagare. Il disoccupato o l’extracomunitario può scegliersi il miglior avvocato sul mercato e lo Stato glielo paga! Situazione, come si può vedere, assurda e ingiusta. In altri Stati il gratuito patrocinio viene concesso solo se si rischia una condanna superiore ad un certo numero di mesi e solo se non vi è stata condanna. In Italia si si pagano le spese legali anche a chi combatte semplicemente per rinviare l’esecuzione della pena, a chi è già fuggito all’estero, a chi discute su come deve essere applicata la pena. In sostanza, per dirla con il giudice Edoardo Mori: “lo Stato paga le spese a chi combatte contro di lui, ma non dà nulla a chi è stato vittima dello Stato”.
Quanto poi alla necessità di istruire un processo, vi sono dei pubblici ministeri che mettono in moto processi sconclusionati in cui l’indagato viene poi assolto o che si prescrivono perché la giustizia non ha saputo fare in sette anni ciò che si poteva fare in sette mesi. Quasi sempre si assiste ad oscene forme di accanimento giudiziario in cui il pm si vede dar torto in primo grado, in secondo grado e in Cassazione senza che mai nessuno gli possa dire che è un cretino e che deve smetterla!
Eppure alla fine di questo iter tormentato e contorto, dopo che un poveraccio è stato minato nella psiche e rovinato nel portafoglio perché si è dovuto pagare decine di migliaia di euro di avvocato, il cittadino assolto si tiene assolutamente tutti danni dal primo all’ultimo euro. Egli non ha diritto ad alcun risarcimento e non ha diritto al rimborso delle spese legali, come dire: cornuto e mazziato!
In Europa sono rimasti tre Stati a non riconoscere questo diritto e fra di essi vi è ovviamente la Patria del Diritto. Per l’Italia è del tutto normale buttare milioni di euro per difendere persone manifestamente colpevoli, che magari hanno già ammesso le loro colpe, e non trovare i soldi per risarcire il danno a coloro che l’incapacità della giustizia ha danneggiato e magari ridotto in povertà. A qualcuno potrebbe sorgere il sospetto che in Italia sia più vantaggioso dare soldi agli avvocati che ai danneggiati!
Salendo ai livelli superiori della classifica dei principi che dovrebbero essere considerati sacrosanti, l’Italia è uno dei pochi paesi in cui l’imputato che è già stato assolto può essere di nuovo chiamato a difendersi, senza che vi siano fatti nuovi, di fronte a un giudice di appello o di Cassazione. Ciò contrasta con il principio costituzionale secondo cui l’imputato si presume innocente se non è escluso ogni ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza; è di tutta evidenza che se tre giudici hanno deciso che è innocente, non ha senso portarlo davanti ad altre tre giudici i quali dichiarino che è colpevole, perché il fatto che su sei persone tre la pensano in modo diverso dagli altri tre dimostra che nel caso vi è un ragionevole dubbio! La questione è stata in effetti sottoposta ala Corte Costituzionale, ma a decidere poi è stato un ex pm ed ex ministro della giustizia (non faccio nomi per carità di Partia) il quale ha sostenuto questa geniale tesi: siccome ci deve essere parità delle parti e può ricorrere in appello l’imputato, deve poter ricorrere anche il pm! Bestialità galattica, perché non si può parlare di parità quando da una parte vi è un singolo che combatte per la sua esistenza con i propri pochi soldi e dall’altra parte vi è la potenza dello Stato e dei suoi mezzi asservita alle fisime (o all’incapacità o alla malafede, fate voi) di un pubblico accusatore. Ma nessuno ha avuto il coraggio di riproporre la questione all’Alta Corte, sebbene dall’epoca della sentenza vi sia stata un’enorme evoluzione in materia di tutela del diritto alla difesa e di valore del principio di innocenza. Se il pm dovesse rispondere con i propri soldi per le sue strampalate alzate d’ingegno, così da avere una vera parità fra le parti, siate certi che gli appelli temerari sarebbero rarissimi!
Per chiudere questa non certo esauriente carrellata vorrei ancora considerare due casi: Anzitutto l’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo in cui si celebrano tre gradi di giudizio per stabilire se sia giusto infliggere al reo cinque anni oppure sei anni di galera, pur sapendo benissimo che egli non sconterà un giorno di prigione! È l’unico paese con pene draconiane sulla carta e penne inesistenti nella realtà. È l’unico paese che ha trasformato molti reati in sanzioni amministrative, il che vuol dire che chi non ha soldi per pagare può commettere tutti i reati meno gravi che vuole. Nessuno si è mai posto il problema di come far pagare queste sanzioni che pure incidono spesso sul contesto sociale molto più di reati gravi. Lo Stato italiano infligge sanzioni pecuniarie di ogni genere per miliardi senza rendersi conto che si tratta solo di frasi scritte sulla carta destinate a restare nei suoi archivi. Da un lato i delinquenti continuano a delinquere, dall’altro lo Stato fa finta di averli puniti e poi straparla di lotta al crimine. L’importante è che quadrino le statistiche, non la realtà! Un chiaro esempio è la lotta al possesso delle armi da parte dei cittadini incensurati. Da decine di anni si cerca di disarmare la popolazione (per paura? e di che, di una rivoluzione? mah!) infliggendo vessazioni ai legali detentori di fucili e pistole, fingendo di ignorare che i delinquenti non vanno certo ad acquistare armi e munizioni in armeria! Il risultato è quello di controllare sempre più i bravi cittadini (che oltretutto non possono difendersi) mentre il farabutto continua a impazzare indisturbato.
Infine, l’Italia è certamente l’unico paese al mondo in cui chi viene sorpreso in flagranza di reato non rimane in carcere a scontare la pena, ma immediatamente viene rispedito a casa in attesa di un inutile e costoso processo. Per contro si esagera con le misure cautelari preventive contro gente puramente sospettata, sebbene sia chiaro che nel 90% dei casi il pubblico ministero applica le misure cautelari solo per estorcere confessioni e risparmiarsi del lavoro (vedasi Pio Alberto Trivulzio e Mario Chiesa!) o solo per apparire sui giornale e mostrare il suo potere o per anticipare ad oggi una pena per chi prevede di non riuscire a far condannare domani o fra qualche anno.
Sebbene gli attuali partiti al governo, come d’altronde i loro predecessori, continuino a belare che la riforma della giustizia non è più rimandabile, non riusciamo a capire come essa continui ad essere così disattesa e come il resto dell’Europa se ne stia ad osservare un tale sfacelo senza fiatare.
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Fonti:
Codice di Proc. Penale
libertaegiustizia.it
giustiziacaffe.it
dr. Edoardo Mori (scritti vari)