Italia distratta


A volte, riflettendo su quello che accade nel nostro Paese, ci si rende conto di quante stranezze esso sia complice. Accadono fatti che, anche se banali, con assoluta naturalezza ed immediatezza, corrono sulla bocca di tutti, destando un interesse collettivo dalle proporzioni smisurate; capita, altresì, che eventi eclatanti e tragici vengano, invece, gettati nel dimenticatoio generale, come se non fossero mai avvenuti, triste patrimonio solo degli animi di coloro che, legati in qualche modo alle vittime, sono emotivamente coinvolti.
Uno di questi fatti avvenne nel dicembre del 1943, sulle montagne del Comune di Vallerotonda, una cittadina montana, in provincia di Frosinone. Quel luogo fu teatro di un eccidio di massa, del tutto sconosciuto a chi non vive da quelle parti.
Protagonisti e vittime furono quarantacinque, uomini e donne, tra cui sedici bambini, quasi tutti parenti tra loro. Sfollati da Cardito, frazione di Vallerotonda, allo stremo delle forze, tentavano disperatamente, nel gelo di quelle terre e di quella stagione, di ritornare nelle proprie case abbandonate molti mesi prima. Pensavano che tra le gole della Mainarde (catena montuosa appenninica che separa il Lazio dall’Abruzzo), il percorso sarebbe stato più facile, perchè al di là della linea del fronte. Ma oltre la località di Collelungo non fu più possibile andare. E lì si fermarono, in quel fitto faggeto e lì dovettero accamparsi. Durante quella sosta forzata, avevano incontrato numerosi nostri soldati che, disorientati dagli eventi dell’8 settembre, cercavano di ricongiungersi ai propri commilitoni, ai propri Reparti. A questi militari avevano, più volte, fornito accoglienza, cibo vicino ad un fuoco e qualche indumento di lana.
Il 27 dicembre decisero di muoversi da quel ricovero fatto di piccole grotte e folti cespugli e di tentare un nuovo itinerario, mentre in lontananza si stava scatenando un violentissimo duello di artiglierie. Procedendo lungo un sentiero scomodo e faticoso, gestendo con difficoltà il procedere dei bambini, incontrarono una pattuglia di soldati tedeschi appartenenti alla “Whermacht Alpenjager” (Cacciatori delle Alpi), che riconobbero dalla stella alpina cucita sull’uniforme, accampata, per una sosta, in quella zona. Era successo anche nel passato, ma prima dell’armistizio, che alcuni di loro, incrociandoli, si fossero fermati, ricevendo anch’essi una calda ospitalità ed un caldo boccone. Ma quel giorno, non c’era molto da poter dividere. Pierino di Mascio, uno dei superstiti, raccontò che i nazisti si erano sempre comportati in modo sereno e cordiale.
Uno di essi, rompendo ad un certo punto il silenzio, disse: “Domani, Americani”, volgendo lo sguardo verso la cima del Monte Mare, quasi a voler far intendere che ormai gli alleati si trovavano lassù. Poi, manifestando l’intenzione di andarsene, nel porgere loro un pezzo di pane nero, aggiunse: “E’ per i bambini. Al mio paese ne ho quattro anch’io”. Antonio Di Mascio, padre di Pierino, vedendoli andare via, con un pizzico di euforica speranza per l’arrivo degli alleati, disse di slancio, ma a voce bassa: “Meno male. Tra un po’ la guerra sarà finita. Dobbiamo tornare a casa. Abbiamo troppe cose da fare laggiù. Andiamo!”.
Nel frattempo riprese a nevicare e Pierino notò che i crucchi, da poco salutati e che li precedevano di poco, furono raggiunti da una staffetta portaordini. Dopo un breve confabulare, presero la direzione della montagna. Gli sfollati di Cardito, confortati dall’evolversi degli avvenimenti e sulla base delle ultime notizie ricevute dal drappello tedesco, pensarono che per la fine del loro calvario doveva essere solo questione di ore. Stanchi, infreddoliti ma contenti, cercarono il sonno su gelidi giacigli di foglie secche. Al risveglio, alle prime luci dell’alba, si accorsero che la neve aveva coperto ogni cosa.
Così, mentre riordinavano i propri oggetti personali, prima di una nuova giornata di cammino, riflettendo sulla possibilità di essere a Cardito già nella serata di quello stesso giorno, intravidero, in lontananza, uomini dell’esercito germanico scendere dal versante. La faccenda non li preoccupò, in realtà; con il via vai in quei boschi, sembrava del tutto normale la loro presenza. Infatti, una volta incontrati, qualcuno, bonariamente, con spontanea semplicità, chiese loro notizie sull’arrivo degli americani.
Antonio Di Mascio, però, ebbe subito sentore che quello non fosse un incontro del tutto casuale. Infatti, i tedeschi, con movimenti secchi e decisi, si disposero in cerchio e, armi alla mano, li fecero riunire su di un lato della radura. Antonio ebbe la conferma che qualcosa di grave stava per succedere. Nella mente degli altri, invece, balenò solamente la preoccupazione che fossero venuti per rimandarli indietro. Ma che non sarebbe stato così lo si capì subito dal fatto che i soldati piazzarono a terra una grossa mitragliatrice e la puntarono verso di loro. Antonio Di Mascio abbracciò la moglie Teresa, che teneva in braccio, cercando di proteggerlo, il più piccolo dei suoi figli, Domenico, di un anno. Qualche donna si inginocchiò pregando ad alta voce. I bambini uno dopo l’altro incominciarono a piangere. Ci fu chi implorava compassione. Giunsero persino, all’improvviso, richiamati dal frastuono, quattro soldati italiani, che ignari, furono anch’essi coinvolti. Angelina Di Mascio strinse al seno, con tutte le sue forze, la figlioletta, fino quasi a soffocarla, gettandosi ai piedi del Sergente tedesco, che comandava il drappello, scongiurando pietà. Per tutta risposta, questi, nell’intento di estrarre dalla fondina la sua pistola, le sferrò un calcio sul volto, facendola rotolare a terra, sanguinante. Poi sparò su di lei e sulla piccola.
Quello fu il segnale che indicò alla mitragliatrice di compiere la sua missione di morte. Pierino Di Mascio fece appena in tempo ad indicare alle sue sorelle più piccole di nascondersi dietro dei voluminosi massi vicini ed a farlo lui stesso. E così, anche Carlo Dattilesi e Giuseppe Di Mascio, che venne però colpito ad un braccio. Luigi Rongione finì nel gruppo con il fratello Giovanni ed Alberto Donatella. Urla, invocazioni, gemiti echeggiarono nell’aria, fin giù nella vallata. Poi, il silenzio della fine calò su Collelungo. Il sangue arrossò la neve tutto intorno, sangue che i tedeschi nascosero, assieme a quell’ammasso di corpi, sotto un folto tappeto di secche frasche ramate. Dopodichè si allontanarono frettolosamente. Ernesto Rongione, Carlo Dattilesi e Giuseppe Di Mascio, ferito, ma non gravemente, si misero in piedi ed incominciarono a correre lungo il sentiero verso valle. Arrivati sulla strada, trovarono altri tedeschi che, vedendoli, incominciarono immediatamente a sparare. Dattilesi venne colpito mortalmente e cadde a terra. Gli altri due, alzarono le mani e si salvarono.
Pierino Di Mascio, una volta ripresosi dallo svenimento, si tirò su, muovendo confusi passi nel greto del Rio Chiaro che, con la consueta indifferenza, scorreva verso valle. Raccontò poi: “Quando ripresi i sensi, mi ritrovai sotto alcuni corpi. Anche le mie sorelle erano incolumi”. Rimasero lì seduti, fermi, attoniti. Qualche altro superstite, liberatosi a sua volta dal peso di quel tragico fardello, si riunì a loro. Mano nella mano, in silenzio, scesero la montagna e riuscirono ad arrivare verso casa. Dei quarantacinque che erano, ne restarono solo otto.
Queste le vittime: Giuseppe (3 anni), Italia (6), Luisa (8), Margherita (1), Sabatino (10), Stefano Bencivenga (35), Adelina Capardi (46), Carlo Dattilesi (29), Addolorata (1 mese), Alberto (3 anni), Angelantonio (39), Angelina (3), Angelina (25), Angelo (28), Antonia (50), Antonio (44), Antonio (56), Armando (5), Assunta (35), Carlo (39), Domenico (1), Domenico (30), Emilia (28), Ernesto (11), Francesco (37), Gaetano (53), Giuseppe (9), Giustino (9), Maria (34), Maria Civita (6), Modesta (57), Rosa (2), Teresa (35) e Vittoria (30) Di Mascio, Almerinda (39) e Esterina (19) Donatella, Maria Grazia Izzi (56), Giovanni Rongione (17).
Non sono noti i nomi di quei quattro soldati che, unitisi casualmente al gruppo, ne condivisero l’atroce fine.

Proprio per mantenere accesa la fiamma della memoria, domenica prossima, 4 agosto, si terrà a Vallerotonda, in località Collelungo, proprio sul luogo dell’eccidio, una manifestazione celebrativa del tragico evento, a ricordo di tutti coloro che, vittime innocenti, furono sacrificati dalla disumana furia nazista. La cerimonia, promossa dalla Sezione Bersaglieri di Cardito e fortemente voluta dal suo Presidente, Tenente Colonnello R.O. Giancarlo Di Mascio, si svolgerà alla presenza del Sindaco della Città, Ing. Giovanni Di Meo, e di numerose autorità civili, militari e religiose, sia locali che nazionali.
Essere lì, potrebbe rappresentare per tutti un motivo in più per conoscere, calati in una realtà ambientale ricca di paesaggi, aria salubre e prelibatissimo cibo locale, quella parte della storia nazionale che ogni italiano dovrebbe far sua e tramandare.