Oman: è quasi guerra tra USA ed Iran


Nuovo attacco a due petroliere in transito nel golfo dell’Oman, poco più a sud dello stretto di Hormuz, il budello che vede da un lato l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti e dall’altro l’Iran.
È accaduto alle 06.12 e alle ore 07.00, ora locale, del 13 giugno scorso, a due navi cisterna battenti bandiere giapponese, proprio nei giorni in cui il premier di Tokyo, Shinzo Abe, stava incontrando il leader supremo dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei.
Secondo le prime ricostruzioni, le petroliere sarebbero state attaccate con dei siluri e i danni sarebbero stati così ingenti da indurre gli equipaggi ad abbandonare le navi.
La vicenda mira evidentemente a destabilizzare la regione dissolvendo il flebile equilibrio esistente tra gli stati rivieraschi. Non è un segreto per nessuno, infatti, che dietro gli Emirati Arabi Uniti ci sono gli Stati Uniti che accusano l’Iran di non avere interrotto la produzione di armi nucleari e che stanno armando gli stati amici dell’area.
Non a caso il 29 maggio scorso, gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti d’America hanno annunciato l’entrata in vigore dell’accordo di cooperazione per la difesa. Quest’ultimo, a detta dei due partners, è teso a migliorare il coordinamento militare tra i due Paesi e, in questo momento critico per la sicurezza in Medio Oriente, a rafforzare le loro relazioni bilaterali a livello economico, politico e militare.
Ma né gli USA né gli Emirati Arabi Uniti hanno fornito prove concrete relativamente alla paternità degli attacchi alle petroliere di pochi giorni fa e ciò potrebbe anche far supporre uno scenario fantapolitico, ma pur sempre possibile, per cui sono proprio gli Stati Uniti a voler fabbricare prove per giustificare un intervento militare contro l’Iran.
Di recente Gérard Araud, fino a poco tempo fa ambasciatore francese a Washington, ha espresso la propria preoccupazione nel notare che gli USA sta utilizzando nei confronti dell’Iran la medesima strategia mediatica utilizzata per giustificare l’attacco condotto contro l’Iraq nel 2003.
E solo poche ore fa, un ulteriore preoccupante evento è accaduto nella stessa area in quanto l’Iran ha abbattuto un drone americano. Ferma la risposta statunitense, o almeno così si temeva, ma nonostante Donald Trump fosse entrato nella Situation Room della Casa Bianca con l’intenzione di attaccare per rappresaglia le installazioni da cui è partita l’offesa che ha abbattuto il drone, poco prima di rendere esecutivo l’ordine ai suoi generali ci ha ripensato.
Ufficialmente è perché gli analisti avevano avvisato della possibilità di 150 vittime civili. Lo stesso Tycoon ha, infatti, confermato la versione via Twitter: «La scorsa notte eravamo pronti a colpire tre diversi siti, quando ho chiesto quante persone sarebbero morte. La risposta di un generale è stata 150 persone», racconta Trump. Così, «dieci minuti prima che partissero i bombardamenti li ho bloccati perché non li ho ritenuti proporzionati all’abbattimento di un drone senza pilota».
In realtà Trump si è fermato, preferendo mordere il freno, solo perché il rischio che l’azione si rilevasse politicamente un boomerang era troppo alto e il Tycoon non vuole e non può sbagliare. Le notevoli incertezze dello scenario in cui sarebbero avvenuti gli eventi dell’abbattimento del drone e le conseguenze mediatiche nel denegato caso della morte di 150 civili a seguito di un’azione di rappresaglia avrebbero, di fatto, raffreddato il consenso della comunità internazionale, e in particolare dell’Europa, che continua a mantenere un canale diplomatico con Teheran dopo gli accordi sul nucleare del 2015.
A riprova che l’America sta disperatamente tentando di assicurarsi il consenso diplomatico e mediatico prima di valutare di sferrare, o far sferrare dai paesi suoi alleati presenti nell’area, un eventuale attacco militare contro l’Iran è la circostanza, puntualmente verificatasi nelle ultimissime ore, per cui Trump ha proposto con apparente disponibilità la rinegoziazione dell’accordo sul nucleare iraniano ma, contestualmente, ha anche annunziato nuove e più pesanti sanzioni contro Teheran. Nella buona sostanza, del resto come farebbe qualsiasi giocatore di scacchi che sottraesse pedoni all’avversario, il Tycoon sta manovrando in modo da sottrarre risorse a Khamenei sperando di spingerlo a una reazione plateale e rendere così moralmente sostenibile l’opzione militare.