Meditazioni sul 25 aprile


A settantaquattro anni dal 25 aprile del 1945 l’Italia appare più che mai ipocritamente divisa tra chi la guerra l’ha vinta e chi pur avendola persa non rinnega il proprio passato, avendolo vissuto con onore pur sapendo che si trattava di una guerra persa.
A tanti anni da quegli avvenimenti si potrebbe pensare che l’odio si sia ormai stemperato e la ragione ne abbia preso il posto, portando la memoria di quei giorni a razionalizzare gli eventi rivedendo con spirito critico atti e motivazioni.
Non è revisionismo ma semplicemente la più saggia visione del passato che il tempo dovrebbe portare con sé.
Purtroppo invece questa giornata – lungi dall’essere una festa nazionale – è una festa di separazione, quasi una trincea che divide in due il nostro popolo.
L’italiano di solito dimentica facilmente gli avvenimenti del passato, tanto che non festeggia le ricorrenze che meriterebbero di essere ricordate, come il 20 settembre o 4 novembre. Commemora invece, festività religiose a parte, giorni tristi e amari segnati dall’odio e dalla divisione nazionale, così come dedica vie e piazze a sconfitte memorabili come Adua o Amba Alagi, e meno male che non festeggiamo Caporetto!
Chi ha memoria degli anni della guerra, ricorderà che molti tra coloro i quali oggi si proclamano antifascisti fino al giorno prima avevano in tasca la tessera del PNF mentre oggi ipocritamente sputano su quel passato che fu anche il loro. Tra di loro non si può non ricordare Dario Fo, così come Eugenio Scalfari, Vittorio Gorresio, Giuseppe Ungaretti, Norberto Bobbio, Enzo Biagi, Indro Montanelli, solo per citare i più famosi. Tutti più o meno voltagabbana che pur di restare in sella non esitarono a rinnegare come e peggio di Pietro. Alcuni di loro nel tempo hanno fatto mea culpa, altri no e con ancor più maliziosa protervia hanno cercato di giustificare il loro tradimento.
Coloro i quali invece furono sconfitti oggi non vedono riconoscere, in questa mascherata imbandierata, nemmeno l’onore delle armi. Non viene loro lasciata nessuna dignità e addirittura si offende la memoria dei morti. Certi letamai a due gambe arrivano a giustificare l’omicidio di bambine e fanciulli (“se lo meritava comunque perché era fascista” ha dichiarato pochi anni or sono una di queste carogne che ancora respira dalle parti di Savona).
Ma essendo ormai morto e sepolto il fascismo (gli atti di qualche idiota dei nostri giorni non ne sono che la smorfia, lo scimmiottamento, l’esangue fantasma: scarsa immagine della prisca maestà) dovrebbe scomparire anche il suo antagonista, la cui ragione di vita è stata ormai da tempo raggiunta. Il fatto invece che esso sopravviva anziché attenuarsi col tempo, come sarebbe naturale, è segno che esso viene mantenuto vivo da ipocrisie preponderanti, i ‘poteri forti’ dell’intellighenzia sinistra che alligna al di là degli schieramenti per reggere e governare con le leve dell’economia e della finanza le macerie di questo Paese. Non c’è solo Soros o De Benedetti: sono molti a manovrare nell’ombra per i loro scopi non proprio nobili, e tutti succhiano lo stesso latte dalla stessa mammella ormai svuotata di una Nazione privata di valori , di conseguenza, di orgoglio e amor proprio.
I loro bersagli variano nel tempo: molti anni fa Almirante, poi i suoi successori, più avanti ancora Berlusconi e infine Salvini.
Così ogni anno una buona dose di ricostituente ridà vita a questa mesta cerimonia durante la quale è vietato ricordare le nefandezze e le ignominie compiute da entrambi i contendenti. Mentre il 4 novembre è permesso (e doveroso, aggiungo) rimembrare le infamità e le pagine dolorose della Grande Guerra, il 25 aprile non è concesso, perché è troppo scomodo ricordare anche le foibe, gli eccidi, quel porco di Moranino e i suoi compari, gli assassini titini e le bande partigiane fuori controllo che anziché alla libertà puntavano all’avvento di una dittatura comunista.
Così i festeggiamenti vengono accuratamente preparati, con una regia attenta e ben coordinata (ne diamo atto) da partiti e associazioni, tra cui l’ANPI spicca come una mosca bianca su uno sterco di vacca. Ci chiediamo: che senso ha tenere in vita una associazione di partigiani se oggi i partigiani vivi saranno sì e no dodici? Risposta ovvia: lo stesso senso che avrebbe mantenere attiva l’Associazione dei Reduci Napoleonici. E chi sono gli altri 124.000 ufficialmente iscritti all’ANPI? A quale titolo sono iscritti? Chi la regge? Chi la finanzia? E chi ne usa le risorse?
Sapete quanto riceve l’ANPI ogni anno? Il conto è presto fatto: i circa 124 mila iscritti versano 15 euro ciascuno, per un totale di oltre 1.800.000 euro, cui si aggiungono 250.000 euro l’anno dal 5 per 1000 dell’IRPEF e altri 100.000 dal Ministero della Difesa (perché???). Quindi non meno di 2,2 milioni di euro l’anno. A me sembrerebbe giusto chiedersi chi se ne giova e se non sarebbe meglio destinarli a cose più utili e meno faziose. Invece si tiene in vita un dinosauro e parte del denaro raccolto dai suoi paleontologi viene speso per celebrare una festività civile che con il 2 giugno rappresenta solo il passato più recente e diviso di un popolo la cui civiltà e cultura millenaria meriterebbero assai di più.
Invece gli occulti burattini che manovrano dietro a questo palcoscenico non lesinano elogi agli assassini di allora, sperequando tra essi e classificandoli tra buoni e cattivi.
“Sì, anche i partigiani si sono macchiati di colpe, ma erano tutti altri assassini”, dicono.
Perché tutti altri assassini? Esistono forse assassini migliori e assassini peggiori?
Pare quasi che i morti contino di più o di o meno a seconda del loro colore politico. I morti sono morti e i loro aguzzini sono, devono essere, tutti uguali.
E giù a insultare chi osa pubblicare una foto che ritrae una povera ragazza seviziata, mezza nuda, poco prima di essere uccisa dai suoi aguzzini: “Non è lei la levatrice seviziata e uccisa a Trausella! La foto è di un’altra donna (innocente pure lei, ma che importa?) e gli assassini sono i fascisti ucraini! Ecco i soliti bastardi di destra che mestano nel torbido e spargono infamità sui poveri partigiani!” Anche per il caso di Giuseppina Gershi (vedasi “Il volto della vergogna”, pubblicato il 24 settembre 2017) i soliti sanfedisti hanno insinuato che la notizia fosse falsa perché una foto pubblicata sarebbe da riferire ad un’altra vittima dei partigiani.
Ma se le carogne che hanno assassinato la ragazza nella foto di cui sopra hanno un altro nome e un’altra fede non sono per questo meno colpevoli. E una vittima è da compatire come un’altra. Non mettiamo forse noi l’immagine di Gesù crocifisso nelle nostre case e scuole? E Gesù non rappresenta forse tutte le vittime del mondo e della crudeltà umana? Non abbiamo forse a Roma (e come noi molti popoli) un altare consacrato al milite ignoto? Non per questo rispettiamo di meno tutti gli altri caduti, anzi! Se della povera ragazza di Trausella non esiste una foto dovremmo per questo evitare di ricordarla?
Non abbiate fretta di elargire rispetto ed onore a chi vi pare ne sia degno, perché forse ha nell’armadio più scheletri della valle di Giosafat, e non lesinate rispetto e onore a chi viene spesso oltraggiato: persone come Oskar Schindler o Giorgio Perlasca non ne sarebbero contenti.