Il 25 aprile? Una festa divisiva!


Viterbo, 25 aprile 2019. Durante gli Onori ai Caduti, dopo che era stata cantata “bella ciao” durante il silenzio militare, c’è stata l’allocuzione del Presidente dell’associazione Partigiani. Per 25 minuti questo Presidente ha arringato la popolazione presente parlando di tutto tranne che della resistenza partigiana. Lo stesso ha poi affermato che da uno studio emergrebbe che i militari “americani e non americani” impegnati in Afghanistan abbiano ucciso più civili che talebani.
Insomma un vero e proprio comizio elettorale, inveendo offensivamente anche nei confronti delle nostre Forze Armate.
A queste parole il Generale di Brigata Paolo Riccó, Comandante dell’AVES (NDR: l’Aviazione leggera dell’Esercito) ha salutato Questore, Sindaco e Presidente della provincia e se ne è andato, congedando il picchetto interforze che aveva reso gli onori, portandosi dietro il resto del personale di rappresentanza militare.
Un comportamento ineccepibile di grande compostezza da parte dell’alto Ufficiale poiché rappresentava in quel momento le Forze Armate la cui onorabilità e professionalità era stata messa così scostumatamente in discussione in un contesto pubblico di una ricorrenza istituzionale.
A distanza di 75 anni possibile che eventi accaduti durante il secondo conflitto mondiale possano suscitare ancora sentimenti contrastanti e che si usino queste ricorrenze per fare politica?
Tutto, ovviamente, nasce dal ruolo che la resistenza ha avuto in un Paese come l’Italia che all’epoca della seconda Guerra Mondiale non era invasa da alcun nemico ma belligerava volontariamente affianco alla Germania e al Giappone.
L’esercito tedesco, che è stato poi considerato come un esercito d’occupazione dalla lettura storica del dopoguerra, in realtà era semplicemente l’esercito di una delle nazioni alleate in una guerra che, almeno sino a quando si pensava di poter vincere, era piuttosto gradita nel comune sentire popolare.
Quando le cose iniziarono ad andare male, ossia dalla metà del 1942, ecco che si iniziò a parlare della resistenza italiana.
È pur vero che la resistenza affondava le radici nell’antifascismo ma bisogna anche dire che gli antifascisti erano una sparuta minoranza di italiani a fronte di una stragrande maggioranza di connazionali che era convintamente fascista.
Questo, come detto, fino a che si vinceva. Poi, come noto, dopo l’8 settembre 1943 si crearono due Italie che, ferocemente, furono indotte a belligerare l’una contro l’altra. Nell’impossibilita di proseguire la guerra molti, in effetti, si chiedono ancora oggi se un’armistizio senza il repentino cambio di casacca non sarebbe stato meno lacerante e tutto sommato più onorevole. Alcuni, anche all’estero, pensano che gli italiani sono un popolo di voltagabbana. L’accusa è che prima della guerra l’italiano medio era fascista perché convinto che le dittature avrebbero conquistato il mondo. Una volta che fu evidente che Mussolini aveva scelto male i suoi alleati molti divennero “anti” pur di saltare comunque sul carro del vincitore. In definitiva l’Italia sarebbe uno dei pochi Paesi dove una guerra è stata condotta come chi ha scelto di festeggiare l’addio al celibato con una partita di calcio tra amici: primo tempo con la maglia degli amici scapoli e secondo tempo con quella degli amici ammogliati.
Inoltre una parte della resistenza, per il tramite del Partito Comunista Italiano, era legata ad una catena di comando che giungeva sino all’URSS con la conseguenza sia di dare l’impressione di non fare sinceramente gli interessi nazionali ma rendendosi anche invisa in occasione dei tanti episodi di simpatia espressi in merito ai gravissimi fatti di sangue avvenuti nelle terre della Venezia Giulia e della Dalmazia come gli eccidi delle Foibe.
La resistenza quindi, a differenza di altri Paesi che avevano subito una vera occupazione militare non combatté una guerra di liberazione contro un nemico straniero oppressore in Patria per conto di tutti gli italiani ma, piuttosto, fu parte attiva e belligerante, anche per conto di potenze straniere, nella guerra civile di fatto che si verificò in Italia e che costrinse la parte soccombente a nascondersi e a rinnegare, almeno pubblicamente, il suo passato.
Celebri, a questo riguardo, le macchiette di Totò ed Aldo Fabrizi nel film “Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi” dove il compianto Totò, pasticciere “della premiata pasticceria Cocozza” e padre della futura sposina, cercava disperatamente di ricordare chi fosse il futuro consuocero, funzionario ministeriale interpretato da un impareggiabile Aldo Fabrizi, che si proclamava “anti” ma che poi si scopri essere stato un convinto gerente fascista (“lo schaffeggiatore di via dell’Impero”).
E che dire di Gianni Agus, altro grande della commedia italiana del dopoguerra, che nel film “I due marescialli” interpretò la parte del Podestà fascista del paesello di Scalitto che al sopraggiungere delle truppe americane preferì scappare via non senza prima di liberarsi del fascio littorio al bavero della giacca.
La commedia leggera italiana degli anni ‘50, a ben vedere, era leggera solo a una prima lettura ma ha saputo cogliere tutte le ipocrisie dell’italiano medio passato dall’essere convintamente fascista a antifascista pur di conservare il posto di lavoro al ministero o per evitare la persecuzioni, spesso assassine, delle squadracce partigiane.
Dunque se il 25 aprile 1945 significo la “liberazione dell’Italia” per alcuni, per altri ebbe il sapore dell’inizio di una nuova oppressione e, in ogni caso, fu un elemento di divisione nel sentire popolare che permane tuttora.
Se oggi, più d’un tempo, sembrano riprendere vigore alcune contestazioni alla storiografia ufficiale lo si deve solo grazie alla circolazione delle idee e alla visibilità consentita da internet a fatti e circostanze storiche taciute per anni dalla storia raccontata nei libri di testo e nelle aule scolastiche.
Non meravigliamoci, quindi, che la festa del 25 aprile sia una ricorrenza divisiva in quanto tale tratto distintivo sembra impresso nella sua genesi e nel suo dna.