La famiglia tradizionale non si discute


Quanto sta avvenendo in queste ore a Verona merita una profonda riflessione in ordine a famiglie, donne, minori e valori fondanti della nostra società.
Come noto nella città degli innamorati si sta tenendo il World Congress of Families, ossia il Congresso delle Famiglie, dove si discute sulle famiglie, sui diritti delle donne, di aborto, dei diritti dei minori.
Un’opportunità di interessante confronto giacché la famiglia, nel bene e nel male, è ancora il nucleo su cui si basa la nostra società. Ovvio, quindi, che c’è una differenza di vedute tra chi intende la famiglia come custode dei valori tradizionali e chi, in nome di una pretesa modernità, la intende invece in modo “arcobaleno”, ossia come potenzialmente fondabile anche sui valori della omosessualità.
Lungi da condannare talune scelte personali, ognuno nel privato delle proprie mura domestiche fa quello che vuole, sembra però doveroso che lo Stato, a tutela dei soggetti più deboli, possa fare dei distinguo.
Nelle così dette “famiglie arcobaleno” dove, cioè, ci sono due adulti dello stesso sesso che scelgono di convivere sotto lo stesso tetto, è certo che si debbano garantire i diritti e i doveri scaturenti da una unione civile tra persone che, deliberatamente, hanno scelto tale modalità di vita. Ciò, indipendentemente dal fatto che sia una unione eterosessuale o omosessuale, nella ovvia ottica di garantire una piena mutua assistenza tra i due adulti conviventi. Tuttavia il diritto che ogni cittadino maggiorenne ha di scegliere per sé un certo modus vivendi, non può costituire una base altrettanto valida per pretendere di estendere le proprie scelte personali anche su soggetti deboli come i minori, peraltro non generati, che lo Stato ha invece il dovere di tutelare. La natura stessa, prima che lo Stato, ha consolidato come forma preferita dal punto di vista evoluzionistico le unioni eterosessuali. È infatti evidente a tutti che se la natura avesse premiato le unioni omosessuali in luogo di quelle eterosessuali, sarebbe venuta meno la capacità riproduttiva della specie umana e il suo successo evoluzionistico. Tale semplice evidenza si riflette nella opportunità dell’incremento demografico dal punto di vista sociale degli stati moderni, con buona pace di chi sostiene la teoria delle mamme forno, utili solo per fare figli “per la Patria”. E’ indubbio, infatti, che se non ci fossero diffusamente nelle famiglie un papà è una mamma ma un “genitore 1” e un “genitore 2” ci saremmo estinti da tempo e un qualunque Stato in cui fosse questo il principio fondante delle unioni familiari, scomparirebbe nell’arco di un secolo.
Ciò si riflette nel preciso interesse che ha lo Stato di garantire la sua continuità. Inoltre, anche dal punto di vista etico, sembra una operazione scorretta arrogarsi il diritto di coinvolgere nelle proprie scelte personali soggetti deboli come i minori, in nome di un egoismo chiamaro pretestuosamente libertà. Se passasse questo assunto di non interferenza dello Stato, infatti, non si capirebbe perché i Servizi sociali, dovrebbero entrare nel merito di talune realtà familiari, ancorché formate da coppie eterosessuali, proprio per la tutela dei minori. Insomma, ad esempio, due adulti etero vogliono vivere di elemosina e senza fissa dimora? Nulla contro, ma non si può pretendere che un modo di vivere così alternativo possa essere imposto ad eventuali minori (specie se da adottare). Analogamente non si può violentare un minore costringendolo a rinunciare alla figura del papà e della mamma ma imponendogli le alternative figure del “genitore 1” e “genitore 2”.
Un altro tema fortemente dibattuto è sul così detto diritto all’aborto oggi regolato dalla legge 194 del 1978. Giusto garantirne la possibilità e la gratuità in tutti i casi di violenza carnale, di gravidanze a rischio dal punto di vista sanitario o, anche, nei caso di minorenni gravide ma sminuire la portata, anche psicologica, di un atto così invasivo e sostanzialmente porlo alla pari di un qualsiasi metodo contraccettivo, appare una operazione scorretta dal punto di vista etico, foriera di costi sociali ed economici e, comunque, non scevra di pericoli sanitari per chi lo subisce.
Dunque l’aborto non può e non deve essere visto come conquista sociale delle donne quanto, piuttosto, come un vero e proprio atto terapeutico, che purtroppo sceglie di sopprimere una vita per favorirne un’altra ed attuabile, quindi, solo se ricorrono gravi e fondati motivi. L’aborto, insomma, non può essere il paradigma dell’affermazione dei diritti delle donne moderne sulle quali, invece, oggi si addensano ben altri rischi. È indubbio, infatti, che la globalizzazione e la conseguente tanto auspicata integrazione culturale con immigrati provenienti da aree culturali retrograde produce un negativo effetto contaminante sulla nostra società. Esiste quindi realmente una possibile involuzione dei diritti delle donne. In tutti i paesi dove è avvenuto un processo di diffusione della religione musulmana, ad esempio, si è spesso notata anche una radicalizzazione dei costumi e le prime a farne le spese sono state proprio le donne. Ma anche senza arrivare a tutto ciò, insomma senza giungere a pensare a un’Italia islamizzata dove le donne devono portare il velo integrale e dove le bambine vengono di prassi infibulate, ci si dovrebbe anche solo semplicemente chiedersi come un datore di lavoro musulmano considererebbe davvero le dipendenti in confronto ai lavoratori di sesso maschile. Perché un conto è la teoria ma ben altro conto è poi la vita quotidiana fatta, talvolta, di sfumature che per quanto senza rilievo legale sicuramente incidono nei rapporti interpersonali e quindi nella qualità della vita in generale.
Dunque, nonsolo appaiono anacronistiche alcune accese posizioni femministe (slogan come “l’utero è mio e lo gestisco io” degli anni ‘60 suona un po’ patetico nel 2019), ma da parte delle stesse donne sarebbe da riflettere a sostegno di chi davvero manifesta chi sostiene certe tesi.