Una vicenda controversa


Fu suicidio per un amore impossibile o una duplice esecuzione, giustificata da un’ambigua “Ragion di Stato”? Sono trascorsi centotrenta anni dalla morte dell’Arciduca Rodolfo, trentunenne erede al trono degli Asburgo-Lorena e della sua amante, la Baronessina diciassettenne Marie Alexandrine von Vetsera, eppure, ancora oggi, non è del tutto chiaro ciò che accadde la notte di quel 30 gennaio 1889, in un piccolo castello, nel sud dell’Austria. Anche se, la scoperta di una lettera, di sicuro l’ultima, inviata dalla ragazza alla madre e rinvenuta, nel 2015, nel caveau di una banca austriaca, renderebbe veritiera la tesi dell’omicidio-suicidio, come tragico epilogo di una passione senza la speranze.
Quella mattina d’inverno imbiancata dalla neve, alle 6,30, nella residenza imperiale di caccia a Mayerling, località non lontana da Vienna, il cameriere personale del Principe Rodolfo, inquieto primogenito dell’Imperatore Francesco Giuseppe e della bellissima ed amatissima consorte Elisabetta “Sissi” di Wittelsbach, aprendo la porta della camera da letto patronale, si trovò di fronte una scena terrificante. Il giovane era seduto riverso sul letto, esanime, con la bocca ed il mento sporchi di sangue. Accanto a lui, giaceva il cadavere, disteso, di Maria Vetsera, che stringeva tra le mani congiunte, un mazzo di fiori campestri. Nella stanza verranno ritrovate due lettere di addio, entrambe scritte da Rodolfo, una alla madre e una alla moglie che, peraltro, era a conoscenza della “liaison” amorosa. La servitù, attonita, non seppe al momento cosa fare, se non avvisare immediatamente Vienna dell’accaduto. Apparve a tutti evidente, fin da subito, che il giovane si era tolto la vita, dopo aver ucciso la sua compagna, innamorata di lui fin da quel fatale incontro, avvenuto un anno prima, ad un ballo di corte. Era un uomo sposato, morto, per di più, in odore di peccato, un fatto assolutamente non trascurabile nella cattolicissima corte asburgica.
Gli elementi per imbastire una storia scandalosa c’erano tutti. Tant’è che il cadavere della ragazza, legato ad un manico di scopa che ne manteneva diritta la schiena per sembrare vivo, venne portato via in fretta e furia, su di una carrozza e sepolto nel vicino cimitero di Heiligenkreuz, senza dare, peraltro, alla madre la possibilità di un estremo saluto. Si fece in modo di far circolare la storia, divulgata freneticamente da tutti i giornali, della morte del principe dovuta a un aneurisma celebrale. Ma la realtà, quella che apparve agli occhi dei soccorritori presenti, emerse velocemente. Rodolfo, morto suicida, non avrebbe avuto diritto ad una sepoltura in terra consacrata. Ma il Papa, Leone XIII, fece finta di credere alla tesi di un suicidio commesso non in condizioni di intendere e volere e concesse la dispensa. Così l’erede al trono ebbe il suo funerale di Stato e fu inumato nella cripta imperiale di Vienna, posta nei sotterranei della Chiesa dei Cappuccini, insieme a tutti gli altri membri della famiglia. Questi ultimi i fatti accertati, ma tutto il resto?
Secondo alcune testimonianze la Vetsera era nuda, secondo altre vestita. Rodolfo era sdraiato sul letto, a fianco a lei; no, era seduto su di una poltrona, con accanto un bicchiere vuoto. Si udirono due colpi di pistola, in rapida successione, poco prima dell’alba. No, il Principe uccise prima la ragazza, con un sol colpo, la vegliò per ore e poi puntò verso di sé la pistola. Lei morta per un’emorragia, lui suicidatosi per il dolore. I proiettili sparati furono allora due, ma si trovò un solo bossolo. Da considerare che a quei tempi le pistole più diffuse erano i revolver, quelle a tamburo e senza espulsione automatica dei bossoli. Insomma, una gran confusione su quanto effettivamente accadde, peraltro senza testimoni e in una stanza da letto.
L’Arciduca era eccessivamente stravagante, in assoluta antitesi con i rigidi costumi della Corte viennese, sia per i suoi abituali atteggiamenti che per le sue discusse posizioni politiche. Liberale, favorevole a una maggiore autonomia del popolo ungherese, contrario all’alleanza di Vienna con la Germania guglielmina, era in costante attrito con l’inflessibile padre, che non gli affidò mai incarichi di rilievo. Sposato con Stefania del Belgio, da cui aveva avuto una figlia, l’Arciduchessa Elisabetta, era un donnaiolo impenitente. Fu di dominio pubblico una sua relazione con una famosa prostituta, Mizzi Kaspar, la quale sicuramente gli trasmise la gonorrea, infezione praticamente incurabile, in un’epoca che ignorava l’uso degli antibiotici. La malattia lo rese sterile. Infettò la moglie, che divenne a sua volta infeconda. Sfumato il sogno di un erede maschio, il rapporto tra i coniugi si incrinò irrimediabilmente. L’incontro con Mary fu fulminante, per entrambi. Rodolfo chiese al padre di poter rompere il matrimonio con Stefania, ma Francesco Giuseppe rifiutò drasticamente il consenso. Stessa sorte seguì una supplica al Santo Padre per ottenere l’annullamento rotale, unica soluzione concepibile, dal momento che un divorzio era assolutamente impensabile, sia per motivi religiosi che dinastici.
Per anni l’ipotesi più accreditata fu che tra due amanti, cadute tutte le speranze, si fosse raggiunto il lugubre accordo di morire insieme. Rodolfo avrebbe sparato alla tempia della Vetsera, pienamente consenziente, per sedere, poi, accanto a lei diverse ore e infine togliersi egli stesso la vita. Era un insanabile depresso, che aveva già manifestato tendenze suicide, confidate anche a Mizzi Kaspar. Visto il forte ascendente che aveva sulla giovane Maria, non è difficile pensare che l’abbia convinta a unirsi a lui nel gesto estremo.
Comunque, quella del suicidio, ebbe, alcune varianti, diciamo così, più gravi. La prima, che la ragazza fosse incinta, nonostante l’asserita sterilità di lui. Ciò avrebbe reso la loro storia d’amore ancora più tragica, con l’arrivo del figlio della colpa. La seconda, che a Mayerling, dopo un tentato aborto del tutto artigianale, con conseguente emorragia mortale di lei, il giovane Rodolfo, distrutto dal dolore e dal rimorso, abbia potuto commettere l’insano gesto su se stesso. La terza, che Maria fosse figlia illegittima dell’Imperatore, il che avrebbe reso fratellastri i due amanti. La quarta, infine, che la Vetsera, lasciata da Rodolfo, lo abbia avvelenato e poi si sia suicidata (tesi in evidente disaccordo con il riscontro delle ferite sui due corpi).
Nel 1983 arrivò un colpo di scena. L’ormai anziana ex Imperatrice Zita Maria delle Grazie di Borbone-Parma, vedova di Carlo I, l’ultimo degli Asburgo, rivelò, in un’intervista al “Neue Kronen Zeitung”, il più diffuso quotidiano austriaco, di Vienna, che quello di Mayerling fu un delitto di Stato, mascherato da suicidio. Secondo le sue dichiarazioni, tutto nacque da un macchinoso complotto, organizzato per uccidere Francesco Giuseppe, complotto del quale lo stesso rampollo imperiale era stato coscientemente coinvolto, così da rompere quell’odiata alleanza con la Germania, della quale l’Imperatore d’Austria era garante e convinto sostenitore, favorendo, altresì, un avvicinamento alla Francia. Rodolfo, però, alla fine, si rifiutò di aderire alla congiura e, per tale motivo, barbaramente “punito”. La morte della giovane, quindi, un danno collaterale necessario ed un eccellente depistaggio sulle vere motivazioni dell’omicidio. Freddo stratega di tutta quell’operazione, l’esponente politico radicale francese, Georges Benjamin Clemenceau, il “Tigre”, l’uomo che guiderà la Francia negli ultimi anni della Grande Guerra e punirà la Germania con il trattato di Versailles.
Furono ipotizzate, e sostenute da buona parte della stampa europea, tante altre verità. Ad esempio, che i tedeschi volevano eliminare un avversario nella corte viennese e che gli austriaci filo-tedeschi avevano analogo motivo. E ancora, che gli austriaci anti-tedeschi volevano punire il principe per non aver voluto assassinare il padre e che lo stesso Francesco Giuseppe voleva vendicarsi del figlio che complottava contro di lui. Di nessuna di queste tesi è stata finora trovata una prova documentale. Tante versioni, tanta confusione. Quindi, la conclusione più logica, quindi, resta sempre quella del doppio suicidio o dell’omicidio-suicidio.
Non meraviglia, pertanto, che questa storia, così torbida, oscura e romantica, abbia ispirato films, fumetti, libri, balletti ed opere musicali. La pellicola cinematografica più famosa è, sicuramente, quella del 1968, diretta da Terence Young ed intitolata semplicemente “Mayerling”. L’attore egiziano Omar Sharif interpretò il ruolo di Rodolfo, la splendida Catherine Deneuve quello di Mary Vetsera, il grande James Mason vestì i panni di Francesco Giuseppe e la divina Ava Gardner quelli dell’Imperatrice Sissi.
Un’altra curiosità. Tra i libri, il meno conosciuto ma, in un certo qual senso, il più “divertente”, fu il mini-romanzo storico, datato 1910, scritto da un giovane Benito Mussolini, nel pieno del suo periodo socialista. Il futuro Duce, che come romanziere ebbe sempre una vena “grandguignolesca” (termine divenuto nel tempo sinonimo di macabro o cruento), immaginò che Rodolfo, quella notte, dopo aver confidato alla sua amante l’intenzione di lasciarla, avesse fatto l’amore con lei un’ultima volta e si fosse, poi, tranquillamente addormento. Immaginò che Maria, per disperata vendetta, lo avesse evirato e che lui, in preda ad una delirante ira l’avesse uccisa, sparandosi subito dopo per la vergogna.
Certo, la verità, quella unica ed inconfutabile, rimarrà per sempre sconosciuta; ma ormai a che serve scoprirla? Che rimanga solo la storia d’amore e di romantica passione, quella che ancora oggi affascina migliaia di persone.