Quelle foibe arrossate dal comunismo


Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise a Trieste e nell’Istria controllata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito. E, in gran parte, vennero gettate (molte ancora vive) dentro le voragini naturali disseminate sull’altipiano del Carso triestino ed in Istria, le “foibe”.
Le foibe sono delle cavità naturali, dei pozzi, presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell’Istria) di profondità variabile da poche decine di metri ad alcune centinaia.
Alla fine della Seconda guerra mondiale i partigiani comunisti di Tito vi gettarono (infoibarono) migliaia di persone, alcune dopo averle fucilate, alcune ancora vive, colpevoli solo di essere italiane o non aderenti al regime comunista.
Le vittime dei titini venivano condotte, dopo atroci sevizie, nei pressi della foiba; qui gli aguzzini, non paghi dei maltrattamenti già inflitti, bloccavano i polsi e i piedi tramite filo di ferro ad ogni singola persona con l’ausilio di pinze e, successivamente, legavano gli uni agli altri sempre tramite il filo di ferro. I massacratori si divertivano, nella maggior parte dei casi, a sparare al primo malcapitato del gruppo che ruzzolava rovinosamente nella foiba tirando con sé gli altri nell’abisso. Chi non moriva sul colpo dopo un volo di decine e decine di metri (la foiba di Basovizza, una delle più tristemente famose, é profonda 200 metri) spirava tra orribili sofferenze a seguito delle ferite riportate urtando sugli spuntoni di roccia durante la caduta.
Gli infoibati erano prevalentemente italiani. Ma non solo italiani e, in generale, tutti coloro che si opponevano o non aderivano al regime comunista titino: vi erano quindi anche sloveni e croati. Tra gli italiani vi erano ex fascisti, ma sopratutto gente comune colpevole solo di essere italiana.
A Trieste, a differenza delle altre città italiane, la liberazione alla fine della seconda guerra mondiale, è coincisa con l’inizio di un incubo: per quaranta giorni le truppe partigiane e comuniste del maresciallo Tito hanno imperversato torturando, uccidendo e deportando migliaia di cittadini innocenti sulla base di processi sommari dei locali “tribunali del popolo”.
Quella delle foibe é stata per decenni una pagina strappata dai libri di storia e cancellata dai regimi insediatisi al termine della seconda guerra mondiale perché, si sa, la storia la fanno tutti ma la scrivono i vincitori, e ancora oggi c’è chi nega tali massacri o ne minimizza l’entitá parlando di non più di 300 uccisioni. Come dire un’inezia in rapporto ai tanti morti che la seconda Guerra Mondiale ha causato.
E la RAI, che è il portavoce privilegiato del regime, non fa eccezione concorrendo solo apparentemente e con doppiezza alla giornata del ricordo delle Foibe. É stato infatti programmato, con malcelato intento di boicottaggio, il bel film “Red Land (Rosso Istria)” in parallelo al Festival di San Remo col chiaro intento di sottrargli spettatori. Una pellicola peraltro bellissima nella fotografia e nelle intensità delle recitazioni dei protagonisti, che ben meriterebbe premi sia sul lato artistico che storico, e che tenta di riportare alla luce quegli avvenimenti attraverso la triste vicenda di Norma Cossetto, giovane universitaria ventiquattrenne, stuprata sino allo sfinimento e gettata nella foiba di Surani non prima, come alcuni documenti riportano, di averle pugnalato i seni, spezzate braccia e gambe nonché infilato un pezzo di legno nella vagina solo perché italiana e di destra in quanto aderente ai GUF (i Gruppi Universitari Fascisti), iscrizione pressoché automatica per gli universitari di quell’epoca. Tale vero e proprio sabotaggio RAI nei confronti di Red Land significa che siamo ancora lontani dall’aver davvero digerito la questione e del resto, se così non fosse, non si capisce perché il film non sia stato programmato per il giorno 10 febbraio, ossia per l’effettiva data istituita per ricordare le foibe, tra le altre cose a San Remo terminato.
Dà manforte alla RAI, ma con metodi molto più spicci, l’ANPI ossia l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, oggi non altro che il braccio militante della politica della sinistra più estrema e non più, se lo è mai stato, un sodalizio esclusivamente dedito a custodire la memoria dei partigiani, ossia di quegli uomini che hanno combattuto a suo tempo contro i nazisti al di fuori degli eserciti regolari. Una entità, quella dell’ANPI, che é forza politica nascosta dietro la facciata dell’associazionismo che percepisce laute sovvenzioni statali, nonostante la crisi esistente e a dispetto di ben differenti trattamenti riservati ad altri benemeriti sodalizi che non percepiscono un euro, sulla base di progetti di ricerca storica di dubbia efficacia se il risultato è quello di negare o minimizzare gli eccidi delle foibe. Ma forse è proprio per questa sua attività politica militante di sinistra che invece l’ANPI viene foraggiata e prosegue imperterrita nella sua politica negazionista sulle foibe. Il caso più eclatante a Rovigo dove le foibe sono state del tutto negate dall’ANPI in un post su Facebook.
Questo per non parlare della circostanza per cui addirittura il Presidente Mattarella liquida la questione delle Foibe come una mera ed estemporanea rappresaglia che gli slavi di Tito ebbero contro gli stranieri italiani, tentando di ridimensionare la responsabilità politica del comunismo che invece ha sempre avuto un’anima altrettanto feroce come il nazionalsocialismo. Mattarella nelle scorse ore, sforzandosi di fare inquadrare la questione come semplice rappresaglia di una popolazione straniera dei confronti degli italiani invasori, ha infatti detto: “Non si trattò come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Tanti innocenti colpevoli solo di essere italiani”.
È pur plausibile che una parte dell’odio dei partigiani comunisti di Tito può essere stato rivolto agli italiani in quanto stranieri al seguito di un esercito d’occupazione ma non si può liquidare la questione solo con la tesi che vennero perseguitati gli italiani solo in quanto tali e non anche per le idee politiche di destra di cui erano rappresentanti o putativamente portatori agli occhi dei comunisti. Non si può non far notare, infatti, che furono infoibati anche non italiani e che analoghi efferati delitti ed eccidi avvennero anche ben dentro l’Italia, ossia da parte di comunisti italiani contro altri italiani, rei solo di essere di destra, familiari di uomini di destra o solo per idee politiche di destra indiziariamente attribuite loro nel corso di processi sommari. Come quello di Giuseppina Ghersi, italiana, stuprata e uccisa dai partigiani italiani nel savonese a soli 13 anni per aver scritto un componimento scolastico adolescenziale, forse in forma di lettera al Duce, per il quale aveva ricevuto il compiacimento della segreteria di Mussolini.