Il viaggio dei dannati


Al di là di ogni convinzione personale in merito, fa sorridere sentire che Barak Obama e le varie “stars” miliardarie statunitensi abbiano accusato Donald Trump di mettere in discussione i valori americani. Evidentemente, non sapevano nemmeno di cosa stavano parlando.
L’America, lungo tutta la sua storia, ha fortemente limitato il fenomeno dell’immigrazione, anche da prima che il Presidente Calvin Coolidge, nel 1924, firmasse il famoso “Immigration Act”, atto che codificava rigidamente i flussi migratori negli Stati Uniti d’America. Ma che un ex Presidente non conosca la storia del proprio Paese, fa capire che è bene che sia finita come è finita.
La vicenda più emblematica delle politiche di immigrazione statunitensi è certamente quella, ormai piuttosto nota, del transatlantico tedesco “Saint Louis”, che con a bordo oltre 900 passeggeri ebrei in fuga dalla Germania nazista, fu respinto da Cuba, Usa e Canada e dovette tornare in Europa, malgrado i coraggiosi tentativi del suo Comandante, il Capitano Gustav Schroeder, di trovare una soluzione.
Tutto incominciò dopo la tragica “Notte dei Cristalli” (Reichskristallnacht), tra il 9 ed il 10 novembre 1938, notte in cui circa 400 tedeschi di razza semitica furono terrorizzati ed uccisi. Le vetrine ed i locali dei loro negozi (da qui il termine cristalli) furono distrutti, così come le loro case e le Sinagoghe. Il Terzo Reich aveva messo in atto una persecuzione mortale, un allucinante “pogrom” (termine storico di derivazione russa che significa letteralmente “devastazione” antisemita). In molti cercarono di abbandonare il Paese. In seguito alle numerose ed incalzanti proteste internazionali, il governo tedesco concesse il visto a tutti gli ebrei che avessero voluto lasciare la Germania. Un migliaio di questi decisero di andare a Cuba con il “Saint Louis”, pagando 800 Reichsmark per la prima classe e 600 per la seconda, oltre ad una tassa di altri 230, come copertura assicurativa. Secondo il racconto di un Addetto dell’Ambasciata Americana a Berlino, di allora, gli ebrei che volevano partire erano appartenenti alla classe medio-alta o studenti che desideravano proseguire gli studi Oltreoceano. Secondo il Capitano Schroeder, invece, e anche secondo le cronache, non tutti i passeggeri erano abbienti. Tra di loro c’era, infatti, gente che aveva dovuto lasciare il lavoro e la casa, perché perseguitata da tempo e non disponeva, quindi, di denaro. La prima parte del viaggio, iniziato il 13 maggio 1939, fu piacevole: si trattò, a guardarla con distaccato ottimismo, in tutto e per tutto, di una crociera, eccettuato il fatto che il biglietto era di sola andata.
Ma arrivati a Cuba, iniziarono i problemi seri. Una legge di quello Stato, il cui Presidente era un certo Laredo Brù, non consentiva l’ingresso di altri clandestini, né come rifugiati né come turisti. Un Paese che, nonostante i tantissimi chilometri di distanza, conosceva già l’antisemitismo, nutrendo un forte sentimento di avversione, sostenuto anche da numerosi quotidiani locali, nei confronti degli ebrei. Molti cubani, infatti, non vedevano di buon occhio il gran numero di rifugiati (circa 2500) che il governo aveva già ammesso all’interno del Paese. Secondo loro – stando ai documenti del “United States Holocaust Memorial Museum” – questi rubavano i pochi posti di lavoro a disposizione, un fattore che in breve tempo aizzò focolai xenofobi. E non era difficile che venissero indette proteste pubbliche, organizzate dai movimenti di destra, con il supporto di agenti nazisti attivi a Cuba, contro gli “ebrei comunisti”. Nonostante fossero a conoscenza di cosa li attendesse, una volta giunti a l’Avana, i passeggeri decisero comunque di partire. Per loro era comunque meglio che rimanere in Germania.
La nave quindi dovette rimanere ormeggiata, nel porto della capitale cubana, con tutti i passeggeri bloccati a bordo. Solo dopo estenuanti trattative, durate giorni, a 28 passeggeri venne concesso il permesso di scendere a terra ed entrare nel Paese. Gli altri 907 (uno era morto durante il viaggio) dovettero rimanere sulla “Saint Louis”. Tra l’altro, il Governo chiese un’ulteriore tassa di 500 dollari per sbarcare, che non tutti possedevano. Non mancarono, per di più, episodi di corruzione e di arricchimento illecito, tra i funzionari locali. Inutilmente, l’Amministrazione degli Stati Uniti cercò di persuadere l’Avana ad accogliere i rifugiati, ma il Presidente Brù non volle sentire ragioni, costringendoli ad abbandonare le acque territoriali cubane.
Il Capitano Schroeder decise allora di puntare verso Miami, in Florida, ma la nave venne respinta dalle autorità statunitensi, anche se i contorni di questi avvenimenti non sono mai stati chiariti. Inizialmente, una piccola speranza si fece largo nei cuori dei poveri disperati. Fu inviata un’istanza di aiuto direttamente al Presidente Franklin D. Roosevelt. Ma la richiesta che non ebbe mai risposta. Forse una. Il Dipartimento di Stato inviò un telegramma agli esuli: “I passeggeri dovranno iscriversi e aspettare il loro turno nella lista di attesa per ottenere il visto, solo allora potranno entrare negli Stati Uniti”. Le autorità americane dissero che la nave avrebbe dovuto attendere che si liberassero le quote di immigrazione, ma fu subito chiaro che non c’era alcuna volontà di accoglierli. La legge Johnson-Reed era chiara. Solo una quota del 2% della comunità che già viveva negli USA, poteva essere ammessa.
Il calvario della “Saint Louis” divenne, ben presto, noto nel mondo, anche se nessun organo di stampa internazionale, si diede da fare per sollecitare un’accoglienza. Con il Canada non andò meglio, rifiutò categoricamente di far attraccare l’imbarcazione.
Il 6 giugno 1939, Il Comandante Gustav Schroeder, diede l’ordine di salpare per fare ritorno in Europa. La nave approdò ad Anversa, in Belgio, dopo quasi un mese in navigazione. Alcune organizzazioni, guidate da ebrei, si organizzano per accogliere e sistemare gli uomini, le donne ed i bambini, di ritorno da quell’inutile viaggio oceanico. Quattro nazioni diedero la loro approvazione a ricevere i superstiti della “Saint Louis”. La Gran Bretagna ne ospitò 288, l’Olanda 181, il Belgio 214, la Francia ne accolse, provvisoriamente, 224. Tutti quelli giunti in Gran Bretagna, sopravvissero al secondo conflitto mondiale; solo uno perse la vita durante un raid aereo nel 1940. A Schroeder non rimase che tornare verso il porto di partenza, Amburgo, dove era chiaro che gli ebrei sarebbero stati internati, giacché avevano ottenuto il visto, solo a condizione che non fossero tornati. Il Comandante ebbe persino l’idea di affondare la nave, al largo dell’Inghilterra, così che i passeggeri dovessero, per le convenzioni marittime internazionali, essere accolti come naufraghi, ma non successe.
I 532 passeggeri rimasti sul transatlantico “Saint Louis” vennero imprigionati dai nazisti; solo 278 di questi sopravvissero all’olocausto. Gli altri 254 morirono nei campi di concentramento.
Al di là di questa tragica vicenda, va detto che gli Stati Uniti, per tutto il periodo del conflitto, continuarono a negare aiuto a qualsiasi rifugiato dall’Europa. Lo spettro della “Grande Crisi” era ancora troppo vicino, la disoccupazione ancora troppo alta e si temeva che tra i profughi tedeschi potessero esserci sabotatori e spie naziste. E poi la stragrande maggioranza degli americani era contraria ad aumentare le quote immigrative. Il Congresso, del resto, era il fedele specchio di questo comune sentire: non solo non voleva rifugiati, ma neanche che l’America intervenisse nelle vicende europee. Insomma, le porte dei Paesi democratici rimasero chiuse per gli ebrei.
La soluzione più logica divenne la Palestina, ma qui il problema dei rifugiati si interseca con la questione mediorientale; e questa è un’altra storia, ancora oggi non risolta.
Dopo la Guerra, il Capitano Gustav Schroeder, per il suo nobile comportamento, fu insignito dell’”Ordine al Merito della Germania” e, nel 1993, fu nominato “Giusto tra le Nazioni”. Quanto alla “Saint Louis”, durante il periodo bellico fu “nave alloggio” per i soldati tedeschi e nel 1946 divenne un albergo di lusso. Fu disarmata definitivamente nel 1952.
La sua vicenda ha ispirato numerosi scrittori e, ovviamente, i cineasti di Hollywood, che ne trassero un film, “Il viaggio dei dannati”, vincitore di un Golden Globe, uscito sugli schermi mondiali nel 1976, con una splendida Faye Dunaway come protagonista femminile.