Il neofeudalesimo dell’Europa


In questi giorni in cui il Presidente del Consiglio, da molti considerato uno zero politico, ha dato una grande lezione sulla virtù degli zeri, mettendosi in mezzo al 2,4 % della manovra, mentre la sinistra sempre più latitante manda i diversamente bianchi a sfilare nei cortei per bilanciare il saldo negativo della popolazione comunista, riflettevo su come i corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico siano sempre attuali.
Vediamo infatti come il sistema di governo su cui oggi è basata l’Europa non è per nua dissimile da quello che per tredici secoli ha retto gli equilibri del Continente.
Infatti, dalla deposizione di Romolo Augustolo per mano di Odoacre, che lo spedì a vita a Castel dell’Ovo, fino alla presa della Bastiglia con annesse decapitazioni di massa il regime ‘standard’ fu quello feudale, che pochi cambiamenti subì nel corso di così tanti secoli.
Il feudalesimo prevedeva che ogni regno fosse retto da una corona, con a capo un re o un imperatore appartenenti a una dinastia dominante. Naturalmente il dominio di tali famiglie era assicurato da un sistema complesso che comprendeva la violenza e la paura (dominio militare), la benevolenza (guarentigie, concessioni ai nobili), una rete di legami di sangue abilmente orchestrato e una tassazione che per lo più era affidata ai nobili e agli uomini fidati del sovrano, cui venivano assegnate terre di cui potevano disporre a piacere purché garantissero la propria fedeltà e la rendita alla corona. Essi imponevano quindi le decime ai contadini e – più tardi – le imposte ai borghesi.
Spesso accadeva che un feudo passasse di mano, e allora anche il popolo che vi abitava cambiava padrone. I contadini erano in condizione di servitù, simili a schiavi, e venivano venduti insieme alle terre che coltivavano. Erano insomma legati per la vita e per la morte alla terra su cui erano nati e sulla quale spargevano il proprio sudore: erano i servi della gleba.
A parte pochi illuminati esempi di governi liberali (citiamo San Marino e le repubbliche marinare) questo era l’andazzo in tutto il Vecchio Continente. Solo dopo la Rivoluzione Francese prenderanno piede i sistemi democratici degli stati moderni: la sovranità passa nelle mani del popolo e i suoi rappresentanti democraticamente eletti la esercitano in Parlamenti nazionali.
Tutto ciò rimane più o meno invariato fino al 1992, quando attraverso la nascita dell’Unione Europea – e successivamente dell’euro – ha vita una nuova forma di feudalesimo.
In cima una banca centrale che come un mago crea moneta dal nulla ma che è indipendente dal potere politico e non può fungere da prestatrice illimitata di ultima istanza. Il nuovo sovrano è dunque il sistema bancario (la BCE) unitamente a chi detiene il grande capitale internazionale.
Subito dopo abbiamo la Commissione Europea, una sorta di primo ministro che agisce per conto e nell’interesse del capitale e del sistema bancario. Un potentissimo organismo non eletto direttamente dai cittadini che impone agli Stati nazionali misure economiche e sociali tali da salvaguardare il nuovo Sovrano.
Al terzo gradino troviamo i Governi e i Parlamenti nazionali, cioè i nuovi feudatari, che rispondono al nuovo Sovrano ed operano secondo i voleri del suo primo ministro.
Infine c’è il popolo, che in questo neo-feudalesimo altro non è che la sommatoria dei nuovi servi della gleba. La piramide nell’illustrazione chiarisce bene questo concetto.
Sotto questa luce è facile intuire che i nuovi feudatari non possono certo fare gli interessi dei nuovi servi della gleba, ma dovranno sottostare al “primo ministro” e al “nuovo Sovrano”. È chiaro che anche i feudatari più vicini alle istanze popolari nulla possono contro il “nuovo Sovrano” e il suo “primo ministro”. Tranne se i nuovi servi della gleba non decidano di spezzare le catene e riprendersi la libertà.
Anche con l’aiuto di feudatari che decidano di voler liberare i loro popoli.