Le scarpe di Juncker


Alcuni (oggi anche nei palazzi romani) sostengono che la professione del giornalista andrebbe riformata, che l’Ordine andrebbe abolito, che il sistema attuale é anacronistico nei tempi di internet e Facebook.
É vero, le notizie oggi corrono spesso sui social diffondendosi spesso più velocemente che tramite le testate giornalistiche ma bisogna anche riconoscere che i social oramai ci hanno abituati alla ricorrente diffusione di notizie fake, le così dette bufale che spesso, proprio perché inverosimili, si diffondono in modo virale.
L’ultima, ma solo in ordine di tempo, ha riguardato le scarpe del Presidente della Commissione europea Juncker, che secondo una falsa notizia, ovviamente divenuta virale, sarebbero state spaiate in quanto di due colori differenti.
Tale notizia, ha suscitato più di un commento salato sui social, é stata poi clamorosamente smentita da un esperto di fact checking dopo aver analizzato l’immagine è il video da cui era stata estrapolata.
Ma il controllo delle fonti e quindi della veridicità di una notizia é solo uno dei molti aspetti che un vero giornalista considera prima di proporre una news.
Chi, dopo un lungo percorso (non sempre facilissimo) si iscrive all’Ordine, nel corso della sua formazione o durante il praticantato diventa consapevole che non é possibile lavorare sempre solo per il clickbait, ossia per attirare il maggior numero possibile d’internauti.
Certo ognuno colora la notizia nel commentarla e lo fa secondo cultura, sensibilità, esperienza, anche tendenza politica ma, di base, la notizia resta vera e verificabile in ogni momento.
La presenza dei “pennivendoli”, come qualcuno ha sarcasticamente definito i giornalisti, é l’unica garanzia di libertà di idee in un paese come il nostro.
E sembra strano, e non per la difesa di una presunta casta, che proprio alcuni politici dei giorni nostri, molti dei quali giornalisti essi stessi e che straparlano di democrazia e di garanzia dei diritti costituzionali, pensano che sia oramai obsoleta l’idea di un Ordine professionale per i giornalisti solo perché alcuni professionisti della notizia sono in disaccordo politico con essi.
Invece deve essere ben chiaro che è proprio la presenza di un Ordine professionale assicura il rispetto di un codice deontologico fondato sulla verità e non sulle fake news mentre lasciare che sia il mercato a premiare questa quella notizia cimcondurrebbe in una giungla mediatica a chi la spara più grossa.
Oggi invece, proprio da tale parte della politica, stiamo supinamente accettando un modus operandi fatto di esternazioni sul proprio profilo Facebook e di hashtag e, non ultime, di bufale.
L’apparato ordinistico, tra le altre cose deputato anche alla difesa del decoro professionale degli iscritti, in buona sostanza diventa garanzia di qualità verso il consumatore della produzione giornalistica che, alla fine, è la gente.
I social vanno bene, per carità, per scambiare quattro chiacchiere in relax e, talvolta, sono anche divertenti. Ma non ne snaturiamo la funzione e non pretendiamo che essi diventino la fonte da cui sistematicamente attingere alle notizie. I social, si deve sempre avere bene in mente, non sono la vita reale così come non si può ritenere consigliabile affidarsi a una ricerca su Internet per risolvere un problema di salute, per un consulto legale, per la dichiarazione dei redditi o per costruire casa.
Rivolgersi alle fonti qualificate per ogni problema è, semplicemente, una questione di superiore interesse pubblico e di intelligente prudenza.
Un modus operandi questo, se non si vuole un popolo di ignoranti creduloni, facilmente orientabili dalla politica del momento, che la scuola ben dovrebbe sottolineare nel corso della formazione culturale delle persone accennandolo sin dalle scuole medie inferiori e ribadendolo con forza nei licei.