Tutela dei bambini: no al decreto Pillon


Secondo il “Movimento per l’infanzia” il Ddl 735/2018, proteggerà i violenti e gli abusanti discriminando, al contempo, i bambini, le madri e, in generale, le donne e ha diramato un lungo documento, che vi proponiamo integralmente, dove in nove punti si spiegano le motivazioni delle loro preoccupazioni.
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1. Sintesi per la stampa
IL DDL 735/2018 (NDR: il così detto Decreto Pillon, dal cognome del senatore leghista proponente) è un vero e proprio attentato ai diritti dei bambini e delle donne, pone norme che favoriscono la violenza in famiglia e anzichè tutelare le vittime, proteggono i loro pesecutori.
Si pone in una posizione antistorica, di aperto contrasto con le convenzioni internazionali (Convenzione sui Diritti del Fanciullo 1989, Lanzarote 2007, Istanbul 2001) e di pericolosa deriva etica e civile, discrimina donne e bambini e vanifica i progressi ottenuti sul tema della tutela delle persone dalla violenza, nell’ipotesi in cui diventasse legge esporrebbe l’Italia alla pubblica derisione e alla condanna da parte della comunità internazionale.
Questo disegno di legge realizza le teorie perverse sull’Alienazione Parentale immaginate da Gardner (autore che giustificava la pedofilia – Cass. I sez. Civ. n. 7041/2013) e considerate oggi scienza spazzatura, piegate esclusivamente alle esigenze di difesa di padri accusati di violenze e abusi.
La teoria della PAS o dell’Alienazione Parentale creata dall’apologeta della pedofilia Gardner e ripresa da autori italiani tra i quali il dott. Camerini1 che ha contribuito a scrivere gli art. 17 e 18 del DDL, è quella di: spacciare per alienazione casi di violenza in famiglia.
Le paure dei bambini vittime di violenza e che, di conseguenza mostrano rifiuto verso il genitore indicato come violento o perverso, sono pregiudizialmente e automaticamente tradotte come espressione di alienazione, causata dalla manipolazione di madri malvage.
Questo DDL propone una disciplina legislativa apertamente misogina, si accanisce contro le vittime di violenza e abusi, rende difficile se non impossibile la tutela e scoraggia dal denunciare, ne risulta un impianto parossistico e di una impensabile rozzezza e inciviltà.
Il criterio e l’indicazione normativa data al giudice della separazione è quella diimporre anche ai figli vittime di violenza (fisica, psicologica, sessuale, assistita) la frequenza del genitore violento o perverso, in nome del diritto della bigenitorialità, alimentando una cultura della sopraffazione, del trauma, in dispregio della dignità e dei bisogni di tutela dei bambini.

Questo DDL 735/2018 risponde ad istanze ideologiche negazioniste e adultocentriche, rappresenta il culmine di un immeritato e pericoloso successo di una propaganda iniziata da attivisti della pedofilia qualche decina di anni fa (Gardner, Underwager, Brongersma, ecc) e ripresa dalla letteratura negazionista nostrana, amplificata da attivisti e associazioni che hanno finito per suggestionare, convincere, condizionare molti professionisti, procurando di conseguenza enormi danni alle vittime ed enormi vantaggi ai persecutori.
La bigenitorialità è lo strumento ossessivamente imposto dall’aspirante legislatore per schiacciare, con uno smisurato peso specifico, i diritti fondamentali delle persone dei bambini e delle donne.
È previsto l’allontanamento coatto del bambino che rifiuta un genitore (alienazione) per essere preso in carico da una struttura specializzata, sono provvedimenti degni di uno stato di polizia.

In riferimento alla mediazione obbligatoria va precisato che la quasi totalità delle separazioni altamente conflittuali derivano da ipotesi di violenza in famiglia ove il legislatore, in armonia con le convenzioni internazionali e con le istanze di evoluzione civile e democratica, dovrebbe proteggere le vittime anziché imporre l’accordo con i propri persecutori.

Il disegno di legge, al contrario, impone, in prima battuta una mediazione familiare e se il conflitto persiste impone la figura del coordinatore genitoriale, dandogli il compito di salvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori (art. 5 lett. C DDL 735/2018) e stiamo parlando, di separazioni drammatiche ove il conflitto è l’ultima risorsa che rimane alle vittime per chiedere protezione e tutela.
Relativamente al diritto di permanenza paritetica fra i due genitori dei figli il disegno di legge crea un vero e proprio diritto soggettivo, azionabile in ogni momento da ciascuno dei genitori, diritto che il giudice, al quale è sottratta ogni prudente discrezione, dovrà necessariamente applicare.
Questo meccanismo rischia di far deflagrare il conflitto anche nelle separazioni consensuali, ove l’esercizio del diritto alla permanenza paritetica diventerà termine di di minaccia e ricatto ad ogni scontro, dissapore o equivoco fra gli ex compagni.

In ogni caso questa soluzione spezza in due la vita dei bambini, toglie loro sicurezze e serenità, non tiene conto dell’età, né del bisogno della presenza della figura materna nella tenera età, né del bisogno di autonomia della fase adolescenziale, violando apertamente il diritto all’ascolto sancito dalla Convenzione sui diritti del Fanciullo del 1989, non tiene conto della qualità del tempo, del rapporto e delle competenze dei genitori, delle difficoltà dovute alla distanza, del bisogno di stabilità, di identità dei bambini.

Riguardo al mantenimento diretto va detto che è un istituto bizzarro e sconosciuto al mondo occidentale, rischia di aumentare in maniera esponenziale il conflitto genitoriale anziché placarlo.
2. Premessa: un disegno di legge che protegge gli imputati di violenza e abusi sessuali in famiglia e punisce le donne e i bambini:
Premessa: il DDL a firma di Pillon ed altri viene erroneamente presentato come un disegno di legge che tende innanzitutto a riequilibrare tempi di frequenza fra madri e padri e che introduce novità nel campo della mediazione, questi sono obiettivi secondari e comunque mal posti, i guasti e le storture più incisive ed evidenti che propone il disegno di legge sono nell’ambito della violenza alle donne e ai bambini, il DDL 735/18, con una serie di norme fra loro concatenate, come avremo modo di analizzare, si accanisce contro le vittime di violenza in famiglia rendendo difficile se non impossibile la tutela e penalizzante la denuncia.
Uno dei meccanismi utilizzati è l’introduzione, nel DDL Pillon, del concetto di “alienazione parentale” invenzione di un autore americano, tale Richard Gardner, che, come si legge nella Sentenza della Corte di Cassazione I Sez. Civ. Pres Luccioli n.7041/2013, giustificava la pedofilia.
Questo autore misogino e apologeta della pedofilia inventò la Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) che sosteneva che un figlio che rifiuta il padre accusandolo di maltrattamenti o abusi sessuali è in verità manipolato da una madre criminale che gli ha fatto il lavaggio del cervello.
Questa teoria, totalmente priva di conforto scientifico e finalizzata a creare un alibi parascientifico per i casi di incesto e maltrattamenti in famiglia, è stata acriticamente adottata e promossa da alcuni autori italiani (tra i quali Camerini, uno degli ispiratori ed estensori del DDL 735/2018).

Genera sconcerto grande preoccupazione che un modello di scienza spazzatura a favore di padri accusati di incesto e maltrattamenti (alienazione parentale) sia addirittura proposta in una legge dello Stato italiano.
Il tema dell’alienazione parentale è posto quando un figlio rifiuta un genitore anche quando (e questa ipotesi riguarda la maggioranza dei casi) giustifica la paura raccontando episodi di violenza fisica, psicologica, sessuale o assistita.
Tutta l’ideologia legata alla PAS (invenzione di Gardner) che ora è chiamata, appunto, Alienazione Parentale si sviluppa proprio sul tema delle false accuse di violenze e maltrattamenti; secondo gli autori vicini alle idee di Gardner, che chiameremo negazionisti, le false accuse oscillerebbero fra il 50% e il 90% dei casi e quindi i bambini rifiuterebbero il genitore perché manipolati da madri criminali.
Secondo un orientamento aderente invece all’etica della tutela delle vittime e ai risultati scientifici raggiunti, le false accuse, come vedremo, variano fra l’1% e il 7% dei casi e pertanto in caso di rifiuto motivato non si può parlare dialienazione parentale ma di autotutela di una vittima.
Il DDL ignora completamente l’aspetto della tutela delle categorie deboli (donne e bambini) in caso di violenza domestica e collude con le istanze rivendicative di padri accusati di incesto e maltrattamenti che, con il concetto di alienazione,presuppongono sia la falsa accusa che l’esistenza del reato di manipolazione di un figlio in caso di rifiuto, calpestando tutta la cultura etica, sociale e giuridica di ascolto e di responsabilità verso i bambini, di tutela delle donne, proponendo una società medievale basata sulla sistematica sopraffazione delle vittime deboli.
I casi in cui i bambini vengono davvero manipolati al fine di rifiutare un genitore, anche attraverso delle false accuse, sono casi rari che vanno dimostrati con elementi concreti, non con delle teorie spazzatura legate alla PAS e tantomeno presupposti per legge, nei casi gravi si tratta di gravi reati che vanno provati attraverso un processo.
Nell’analisi che seguirà sono state rinvenute numerose norme fra loro collegate che annichiliscono le chances di tutela per le donne e per i bambini vittime di violenza e rinforzano le rumorose e ingiuste rivendicazioni non tanto dei padri separati, quanto dei padri accusati di violenze o abusi, assicurando loro una legislazione che punisce le vittime e tutela i persecutori, anche quando questi sono stati condannati.
3. Il combinato disposto dell’art.11 e dell’art. 12 del DDL: disposizioni a favore della pedofilia e dei padri violenti e maltrattanti.
Il testo del DDL è grossolano, pone delle soluzioni che rispondono alle istanze rivendicative che i padri accusati di violenza e abusi in famiglia da anni invocano a loro vantaggio, escludendo dal campo visivo, invece, le esigenze di protezione e tutela delle vittime di violenza in famiglia.

Il combinato disposto dell’art.11 e dell’art. 12 del DDL porta a conclusioni aberranti e inaccettabili sul piano dei diritti umani.
Il secondo comma dell’art. 11 del DDL, che intende rinnovare l’art. 337-ter c.c., stabilisce che in ogni caso deve essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre.
Stabilisce cioè una soglia minima di frequentazione presso ciascun genitore (dodici giorni al mese) sotto la quale non è concesso scendere, salvo in caso dicomprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore in caso di: violenza, abuso sessuale, trascuratezza, indisponibilità di un genitore, inadeguatezza evidente degli spazi predisposti per la vita del minore.
IL DDL con questa norma crea un vero e proprio diritto soggettivo in capo a ciascun genitore e permette al giudice di scendere sotto la soglia minima del numero di giorni di frequenza solo in alcuni casi determinati che enumera e specifica (violenza, abuso sessuale ecc).
Tale disposizione, già di per sé priva di senso2, va collegata al successivo art. 12, il quale dispone che, nei casi di cui all’art. 337-ter, secondo comma, e che sono proprio quelli relativi alla violenza e agli abusi che stiamo trattando, si deve in ogni caso garantire il diritto del minore alla bigenitorialità, disponendo tempi adeguati di frequentazione dei figli minori col genitore non affidatario.
Ne risulta un impianto parossistico e di una impensabile rozzezza e inciviltà che favorisce non tanto gli adulti accusati di violenza, quanto i padri3 pedofili e criminali, già condannati per gravissimi reati commessi a danno dei loro figli e che, in nome della bigenitorialità, utilizzata in maniera ipocrita e strumentale, vengono premiati con tempi adeguati di frequentazione proprio con i figli che erano stati oggetto di abusi o violenze.
Inoltre, secondo il tenore della lettera, (art. 11 II comma) non è sufficiente la condanna per violenze o abusi, ma è necessario che il giudice, al fine di limitare la frequentazione con il genitore condannato sotto la soglia dei dodici giorni, rilevi anche un comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore, in assenza del quale, il genitore abusante ben può frequentare il figlio vittima, per almeno dodici giorni al mese!
Tali imposizioni sono quanto di più incivile e inaccettabile si possa immaginare, violano i diritti fondamentali della persona-bambino, si pongono in contrasto con le convenzioni internazionali e precipitano la legislazione italiana ad uno stato di barbarie.

Il criterio e l’indicazione normativa data al Giudice è quella di imporre anche ai figli vittime di violenza (fisica, psicologica, sessuale, assistita) la frequenza del genitore violento o perverso, in nome del diritto della bigenitorialità, strumentalizzando le parole, i concetti giuridici (diritto alla bigenitorialità) al fine di imporre una cultura della sopraffazione, del trauma, in dispregio della dignità e dei bisogni di tutela dei bambini.
Tale aberrante principio è ripetuto al comma VI dell’art. 11 laddove si ribadisce che il genitore al quale sono affidati i figli in via esclusiva (il genitore protettivo) deve favorire e garantire in ogni modo la frequentazione dei figli minori con l’altro genitore (il genitore violento), la frase immediatamente successiva – a meno che ciò non sia stato espressamente limitato dal giudice con provvedimento motivato – assume un valore residuale e riconosce al Giudice l’estrema ratio, si badi bene, di limitare, non di escludere, il diritto di visita.
Non si può discutere sul potere del Giudice di escludere, comunque, nonostante l’insensata proposta di modifica legislativa, il genitore violento dall’esercitare il cosiddetto diritto di visita, vero è che la nuova politica legislativa, la lettura sistematica delle norme fra loro collegate, i termini utilizzati, i concetti veicolati pongono principi profondamente anticostituzionali che ledono il diritto alla salute del bambino, il diritto all’integrità psico-fisica, il diritto alla difesa e che favoriscono dissennatamente i genitori violenti e perversi (siano essi padri o madri) concedendo in via pregiudiziale il diritto di frequentare e vedere i propri figli ai quali hanno causato traumi e dolori di inaudita gravità.
Va notato ancora il fatto che per escludere la permanenza minima di 12 giorni di un figlio presso il genitore, è richiesto, come detto, un comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per il figlio, nei casi di violenza, abuso sessuale, trascuratezza ecc.
L’aspirante legislatore, in coerenza con l’impianto ideologico negazionista e adultocentrico e con quanto indicato nell’articolo successivo (art.12), ritiene non sufficiente di per sé l’abuso o la violenza a danno di un figlio per proteggere questi da un genitore perverso o criminale, ma richiede un aggravio di indagine volta a dimostrare nei fatti (comprovato) e nel ragionamento giuridico (motivato) l’esistenza di un pericolo.
Un’ultima considerazione va posta sul fatto che il secondo comma dell’art. 11 concedendo la limitazione della frequenza di dodici giorni al mese presso un genitore utilizza la locuzione in caso di: violenza, abuso sessuale ecc.
L’aspirante legislatore, pur esprimendosi in maniera generica e grossolana, non lascia dubbi sul fatto che la locuzione “in caso di: violenza, abuso sessuale…”intenda una sentenza passata in giudicato, per la quale, come è noto, necessitano tre gradi di giudizio e lunghi anni di dure e pesanti accertamenti processuali.
Che tipo di tutela il novello legislatore ha pensato per i bambini per gli anni in cui il genitore maltrattante, o perverso, pedofilo o abusante viene processato?

Nessuna tutela, per il genitore violento permane il diritto di frequentare i figli-vittime secondo tempi paritetici, anzi, proprio la disciplina che impone per legge la condivisione dei tempi di visita concede un vero e proprio diritto soggettivo al quale il giudice civile, pur in presenza di elementi gravi che portano ad una prognosi di condanna, non può derogare.

La versione attuale degli artt. 337-ter e 337-quater del c.c. lascia invece al Giudice ampio spazio e preziosa discrezionalità per decidere, di volta in volta, nell’interesse della prole, di adottare i provvedimenti opportuni anche in ordine al diritto di visita è scritto infatti, relativamente ai figli che il giudice … determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore (art. 337-bis II comma) e, ancora, che il giudice adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
Tale potere è oggi generico e concesso al Giudice senza altre indicazioni cogenti o senza altri automatismi, non limitato cioè dai diritti soggettivi di nuova creazione della condivisione materiale (tempi paritetici) e della frequenza minima(12 giorni) che possono essere limitati solo nei casi, come detto, espressamente indicati dall’aspirante legislatore.
L’inciso quindi che sopravvive al VIII comma dell’art. 11 che aspira a innovare l’art. 337-ter Il giudice, nei procedimenti di cui all’art. 337-bis, adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa assume un valore meramente formale alla stregua di una inutile clausola di stile.
4. Il DDL 735/2018 aderisce alla propaganda ideologica sulla scienza spazzatura della PAS e delle false accuse: un pò di chiarezza
Decine di ricerche svolte in tutto il mondo occidentale dimostrano come la violenza sulle donne e la violenza fisica o sessuale sui bambini sia un fenomeno sommerso e diffuso che riguarda un’alta percentuale di casi che non vengono alla luce e che rappresentano una vera e propria emergenza sociale4, nella maggior parte dei femminicidi troviamo denunce ignorate o sottovalutate dalle istituzioni e che sfociano in episodi di sangue.
Una propaganda di stampo negazionista, molto attiva e rumorosa ma anche una letteratura di aperta propaganda a favore della pedofilia e della violenza in famiglia (Gardner, Underwager, Brongersma) è impegnata da decenni a spostare l’attenzione del reale e drammatico problema sociale della violenza sulle donne e sui bambini al falso problema dell’ “alienazione parentale” per far passare i padri accusati di abusi o violenze come vittime di bambini manipolati da madri insane e criminali.
E’ esattamente questa la teoria della PAS o dell’Alienazione Parentale creata, come detto, dall’apologeta della pedofilia Gardner e ripresa da autori italiani tra i quali il dott. Camerini5 che ha contribuito a scrivere gli art. 17 e 18 del DDL:spacciare per alienazione casi di violenza in famiglia.
Nel momento in cui cioè i bambini mostrano rifiuto verso il genitore indicato come violento o perverso, si intende porre, pregiudizialmente, una diagnosi dialienazione parentale in modo da tutelare i diritti della bigenitorialità del genitore accusato, che sono, nella maggioranza dei casi, i padri, e punire i bambini e le madri che chiedono protezione.
Le paure dei bambini vittime di violenza e che, di conseguenza, mostrano rifiuto verso il genitore indicato come violento o perverso, sono automaticamente tradotte come espressione di alienazione, causata dalla manipolazione di madri malvagie.

Lo scontro, molto vivo, fra chi difende le vittime e chi difende adulti accusati di violenza o abusi si sviluppa proprio intorno al tema dell’alienazione parentale e delle false accuse.
Professionisti e attivisti di associazioni che rappresentano una ideologianegazionista (che utilizza le teorie di Gardner sulla PAS) sostengono infatti che i bambini che rifiutano un genitore sono alienati e manipolati e che le accuse di violenza o abusi sono quasi sempre false accuse, secondo percentuali molto alte, che variano dal 50% al 90% dei casi, questa vera e propria epidemia di false accuse giustificherebbe un’opera costante di allarmismo.
Vi è una massiccia propaganda vittimistica portata avanti da alcune associazioni di padri separati (e accusati di violenza o abusi) proprio su questo tema, a titolo di esempio, Fabio Nestola6, uno degli esponenti di spicco dell’associazione Adiantum, scrive “Studiamo da anni il fenomeno emergente delle false accuse in ambito separativo, lo documentiamo, curiamo relazioni in convegni seminari di studio e corsi di formazione“7.
Nello stesso articolo, leggiamo: “i dati sulle false accuse non li crea certo Adiantum: a parlare di false accuse oscillanti fra il 75% ed il 90% sono le operatrici del diritto (sostituti procuratori, avvocatesse, criminologhe, psicologhe forensi, consulenti d’ufficio e di parte, esclusivamente di genere femminile) raccolte in un dossier depositato alla Commissione Giustizia del Senato nel luglio 2011 (…) Nessuna ha mai parlato di percentuali fisiologiche di false accuse nell’ordine del 2-3%, riferibili a persone in buonafede che denunciano l’ex coniuge credendo realmente – pur sbagliando – di aver intuito nei figli indicatori di abuso, Siamo attorno all’80% di “equivoci” , quindi l’elemento buona fede non è presente in questo genere di azioni che si configurano piuttosto come strategie studiate a tavolino.
Il senatore Pillon pare avere aderito proprio a questa posizione, Nestola infatti si riferisce senza mezzi termini alle false accuse nell’accezione peggiore le false accuse in mala fede, a strategie studiate a tavolino indicando percentuali insensate ed esorbitanti.
La propaganda sulle false accuse, alimenta un pesante e ingiusto clima di disprezzo e persecuzione verso donne e madri che hanno avuto il coraggio e la sventura di denunciare violenze domestiche a loro danno e a danno dei loro figli.
Nestola, per giustificare le sue convinzioni, si riferisce ad un dossier depositato alla Commissione Giustizia del Senato, si tratta di quattro pagine che rappresentano l’allegato “A”8 di una relazione presentata al Senato il 28 luglio 2011 dall’associazione FE.N.BI9, il cui presidente era, all’epoca, lo stesso Nestola10.
Il documento si intitola False accuse: un fenomeno emergente, evidenziato da fonti autorevoli e ci si riferisce all’utilizzo della denuncia per violenza di varia natura, pianificata per raggiungere obiettivi diversi da quelli dichiarati. Può essere un’arma di ricatto per ottenere vantaggi economici, uno strumento per allontanare il “nemico” dai figli con accuse costruite ad arte (…).
Nel documento si parla di dramma sociale, e di proporzioni macroscopiche del fenomeno delle false accuse e per giustificare tali mirabolanti dichiarazioni si citano diciassette dichiarazioni di altrettanti professionisti che riferiscono mere opinioni personali basate, sulla percezione soggettiva11, desolatamente prive di qualsiasi elemento obiettivo o serio riferimento scientifico.
L’unica12 pubblicazione richiamata nel documento di Nestola è un articolo13 a firma del dott. Camerini, ispiratore proprio degli artt. 17 e 18 del DDL735/2018che riguardano l’alienazione parentale, secondo questo autore le denunce non fondate nelle separazioni conflittuali, in base ad una ricerca dallo stesso portata a termine, sfiorerebbero addirittura il 100% dei casi14 (si parla del 92,4%), va precisato che questo studio non è mai stato pubblicato, ma oralmente riferito in un convegno e che riguarda un numero irrisorio di casi.
Il dott. Camerini, al quale il senatore Pillon si è rivolto, è uno dei professionisti che in Italia hanno maggiormente contribuito alla diffusione della Sindrome di Alienazione Parentale (PAS) citando e accreditando il suo inventore, Richard Gardner, quale studioso ed esperto, numerose volte e con diverse pubblicazioni15, mentre si tratta di un apologeta della pedofilia che ha prodotto vera e propria scienza spazzatura16.
Lo stesso Camerini, dopo avere per anni accreditato la PAS come una teoria valida e applicabile, in una recente intervista17, chiamato a difendere il DDL 735/2018, afferma: Non esiste la sindrome di alienazione parentale, esiste piuttosto l’alienazione parentale, che è un fenomeno per cui un figlio rifiuta di vedere un genitore sulla base di induzioni dirette o indirette ricevute dall’altro genitore.
In verità si tratta del medesimo concetto al quale si è semplicemente cambiato nome da Sindrome di Alienazione Parentale ad Alienazione Parentale, ne sono dimostrazione le pubblicazioni recenti del dott. Camerini che propongono di applicare il medesimo costrutto teorico della PAS inventata da Gardner anche alla semplice Alienazione Parentale18.
L’alienazione Parentale, che segue i criteri teorici di Gardner, così come li propone il dott. Camerini, rimane quindi scienza spazzatura utilizzata contro i diritti delle donne e dei bambini che hanno subito violenza in famiglia.
Questo DDL 735/2018 rappresenta il culmine di un immeritato e pericoloso successo di una propaganda iniziata da attivisti della pedofilia qualche decina di anni fa (Gardner, Underwager, Brongersma, ecc) e ripresa dalla letteratura negazionista nostrana, amplificata da attivisti e associazioni che hanno finito per suggestionare, convincere, condizionare molti professionisti, procurando di conseguenza enormi danni alle vittime ed enormi vantaggi ai persecutori.

Non vi è dubbio alcuno che il senatore Pillon, nel redigere il DDL 735/18 abbia avuto a cuore le sorti della categoria dei padri vittime di false accuse aderendo alla campagna di allarmismo lanciata da Adiantum e altre associazioni simili, non solo per avere congegnato una proposta di legge che li tutela sacrificando le vere vittime, ma anche per averlo espressamente dichiarato in una recente intervista a Vanity Fair, ove, presentando il suo DDL, testualmente dice19:
Pillon: (…) vogliamo punire tanto la violenza quanto le false accuse di violenza.
A cosa si riferisce?
A quelle accuse fatte strumentalmente, usate come minaccia per ottenere la custodia del figlio e alienarlo dal partner
Come le punirete?
Se uno o una va a fare una denuncia falsa, calunniando il compagno, sarà trattato come un partner che fa violenza. Dovrà risarcire il danno e perderà la responsabilità genitoriale.
Ammetterà che è difficile certificare la falsità di una denuncia
Quando un’indagine per violenza domestica viene archiviata, o il processo si chiude con una sentenza di innocenza, è evidente che qualcuno ha raccontato delle grandi bugie.
In questo breve passaggio è presente tutta la retorica sulle false accusepresentate strumentalmente dalla madre (di fatto ci si riferisce alle donne), accuse quindi intenzionalmente false finalizzate ad ottenere la custodia del figlio e, appunto alienarlo dal partner.
Si tratta, come vedremo, di pura invenzione, nulla di più che mera propaganda ideologica.
La falsa accusa, intenzionalmente prodotta al fine di accusare l’ex partner, alla quale si riferisce il senatore Pillon e che giustifica il ricorso al concetto dialienazione parentale, è un gravissimo reato di calunnia che, come tale, va provato in un giudizio, non può essere presunto come fenomeno sociale, nella desolante mancanza di dati statistici, ricerche scientifiche che ne confermino l’assurda tesi.
I genitori condannati in Italia per un (odioso) reato del genere, se ci sono, si contano sulle dita di una mano.

Il senatore Pillon però, aderendo pienamente alle tesi negazioniste dei padri separati accusati di violenza a danno di familiari, traduce automaticamente infalse accuse le archiviazioni o generalmente le condanne di assoluzione20, compiendo in questo modo imperdonabili errori logici e giuridici.
Lo stesso dott. Camerini già nel 2002, valorizzando il pensiero di Gardner, legava il concetto di false accuse a quello di Alienazione Parentale scrivendo“Nel suo (di Gardner nds) primo libro sulla sindrome, tuttavia, egli incluse anche il problema delle false accuse di abuso sessuale considerate, soprattutto, nei casi gravi di PAS, ossia quando il bambino si rifiuta di incontrare il genitore alienato”21
In senso contrario autori di indiscusso spessore, lontani da orientamentinegazionisti, fra le distorsioni che possono far sbagliare i professionisti nel non riconoscere un reale abuso sessuale a danno di un bambino individua il “preconcetto delle false accuse da parte di madri, soprattutto nelle cause di separazione o divorzio”22.
Per comprendere, anche se in via sommaria la complessità e la delicatezza del problema della violenza e degli abusi in famiglia e della tutela delle vittime si trascrive un breve brano tratto dal saggio “Rompere il silenzio23“
I processi per abusi e maltrattamenti a danno di minori sono molto difficili da provare perché la testimonianza dei bambini, a torto o a ragione, è considerata debole, perché non ci sono quasi mai segni sul corpo, perché gli abusi avvengono in assenza di testimoni, perché i bambini si esprimono male, hanno un lessico limitato, perché gli abusanti terrorizzano le loro vittime vietandogli di parlare24, perché le rivelazioni dei bambini avvengono spesso dopo tanto tempo dagli abusi, perché gli abusanti sono persone adulte abituate a mentire e a dissimulare e sono molto più abili nel difendersi di quanto siano bravi i bambini ad accusare, perché gli accusati sono spesso parenti che hanno ancora il potere di condizionare figli e nipoti, perché le norme, le teorie scientifiche o parascientifiche che si utilizzano in tribunale sono pensate per tutelare gli adulti, non i bambini.
In altre parole i processi per pedofilia e incesto sono i più difficili da celebrare perché si tratta di provare l’abuso, nell’assenza di elementi esterni di riscontro, con la sola testimonianza diretta di un bambino25, spesso traumatizzato e spaventato, testimonianza da contrapporre a quella di un adulto abituato da sempre invece a mentire e a nascondere le sue perversioni.
Bastano queste circostanze per far capire come il racconto di un bambino, riferito in presenza delle condizioni sfavorevoli descritte, non può essere tradotto in falsa accusa solo perché non ha avuto la forza di far condannare l’abusante o il presunto abusante.
Il giudice penale, come è noto, può condannare solo se è convinto della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, ne consegue ineluttabilmente che anche un solo dubbio porta inesorabilmente all’assoluzione. Questo vuol dire che la denuncia, sul piano storico, sia da considerarsi falsa?
Ovvio che no, siamo in presenza di una semplificazione grossolana utilizzata al solo fine di difendere, oltre ogni logica e correttezza adulti, padri, parenti violenti e perversi.
Nella maggior parte delle denunce che non giungono a condanna siamo in presenza della rivelazione di un bambino che non è stata così convincente da togliere tutti i dubbi al giudice penale, da non diventare cioè quella prova piena e concludente che dà certezza del reato e della colpevolezza, ne discende che la dizione corretta, in questi casi, è denuncia non provata, non falsa denuncia o falsa accusa.
Per potersi parlare quindi di falsa accusa è necessario un quid pluris, la presenza cioè di circostanze obiettive che inducano a ritenere che si tratta di un errore, di una denuncia, appunto, non basata su fatti reali.
Si tratta di applicare un principio banale e ragionevole sul quale si basa tutto il nostro ordinamento giuridico, se si afferma cioè che è stato posto in essere un determinato comportamento, che si è verificata una circostanza, che è stato commesso un reato, bisogna portare le prove o perlomeno indizi, elementi concreti e oggettivi che dimostrino ciò che sosteniamo.
Il principio si basa su una stringente logica, la utilizziamo continuamente nelle relazioni umane, a scuola, sul lavoro, siamo tenuti cioè a fornire elementi concreti e seri nel momento in cui sosteniamo una ipotesi.
Se così non fosse saremmo preda delle superstizioni, disposti a credere a tutto ciò che ci viene detto senza un controllo critico e argomentativo. (…)
Tornando all’ipotesi quindi che siamo travolti da diluvio di false accuse di cui sarebbero vittime migliaia di uomini e padri in tutto il mondo occidentale, dobbiamo verificare quella che, in mancanza di elementi seri e minimamente realistici e concreti, va relegata nel campo delle mere illazioni o delle scemenze.
Abbiamo visto come la testimonianza di un bambino che riferisce episodi di abuso o maltrattamento è, da un punto di vista storico e giuridico, un fatto, positivo e concreto, che non può in alcun modo essere tradotto in falsa accusa solo perché non ha avuto la forza di far condannare un imputato o di far processare un indagato.
Se è giusto e condivisibile quindi che un adulto debba essere punito solo se il racconto di un bambino sia convincente oltre ragionevole dubbio, è altrettanto giusto e condivisibile che le rivelazioni, le testimonianze che non convincono pienamente siano definite denunce non provate e non siano sbandierate come false denunce per alimentare un clima di odio e disprezzo verso le madri e i bambini che osano parlare delle violenze e perversioni domestiche.
La differenza, come si potrà notare, è abissale, se si afferma infatti che ci sono molte denunce non provate, si capisce che la causa può dipendere da molteplici fattori, primo fra tutti dal fatto che la testimonianza dei bambini è una prova difficile26 da ottenere, difficile da validare, dal fatto che non ci sono riscontri esterni ai racconti, come può dipendere da racconti imprecisi, da sospetti legittimi ma rimasti tali, da fraintendimenti, parlare quindi di denunce non provate non crea allarme sociale o pregiudizi perniciosi e restituisce un’informazione corretta.
A conforto della correttezza scientifica su quanto sopra riportato, su questo argomento, la professoressa la Faller, una delle personalità più autorevoli nel mondo scientifico in materia, scrive che non sempre i bambini forniscono resoconti completi e coerenti della loro vittimizzazione, nonostante essa sia vera e comprovata al di là di ogni ragionevole dubbio. I loro racconti sono invece caratterizzati da un tasso di falsi negativi che oscilla tra il 20 e il 60% e, quando ammettono di essere stati abusati spesso minimizzano27. (…) Le ricerche dedicate ai casi con prove estrinseche indicano che i falsi negativi variano dal 20% al 60% e che spesso l’abuso viene minimizzato dalla vittima“28.
Nell’ipotesi in cui invece vi sia stata una falsa accusa, non fondata su fatti realmente accaduti, le cause che hanno portato a rappresentare all’autorità giudiziaria violenze e abusi mai avvenuti su bambini possono essere diverse e numerose, si può trattare di casi equivoci, fraintendimenti, dubbi, accuse scaturite da paure, da ipersensibilità, ci possono essere state incertezze nell’interpretare elementi che consigliano una segnalazione, si può avere male compreso parole, disagi, comportamenti del bambino, che sono statisopravvalutati, in tutti questi casi possiamo e dobbiamo parlare di false accuse in buona fede perché presentate al fine di tutelare un bambino.
Come vedremo, solo in un’ipotesi residuale, statisticamente irrilevante, possiamo parlare di false denunce in mala fede, quelle cioè delle madri-mostro che strumentalizzano e manipolano i propri figli fino ad estorcere loro false dichiarazioni su violenze sessuali in realtà mai avvenute al fine di ottenere vantaggi nella separazione.
Ma questa tragica ipotesi è proprio quella alla quale, invero con ossessiva pervasività, si riferisce la propaganda dei padri separati (e accusati) e alla quale, in perfetta sintonia e adesione, si riferisce il senatore Pillon
L’automatica traduzione delle denunce non provate o accuse false ma fatte in buona fede in intenzionali false accuse, quale ignobile atto di calunnia compiuto da donne criminali al fine di ottenere vantaggi nella separazione, è una operazione culturale che integra, oltre che un falso storico, anche una grave forma di violenza culturale, di ingiustizia e discriminazione contro le donne e i bambini.
5. La verità sulle false accuse.
Tenendo come punto di riferimento il testo – Interrogare il bambino sull’abuso sessuale – scritto da Kathleen Faller29, nel capitolo dedicato alle false accuse di violenza, la prima cosa che la Faller intende sottolineare è proprio la differenza tra i casi non confermati (denunce non provate) e le false denunce al quale dedica un apposito paragrafo e nel quale sottolinea la necessità di “imparare a distinguere gli abusi non confermati dalle accuse false propriamente dette”30.
Scrive ancora la Faller: Purtroppo alcuni autori (per esempio Besharow 1990, Gardner 1991, 1992, 1995; Wexler 1990) riferendosi ai casi non confermati li fanno equivalere alle accuse deliberatamente false. Sulla base di questa distorsione, sostengono che sia in atto un’ “inondazione” di denunce per maltrattamento di minori false e sporte con cattive intenzioni31.
La Faller conferma la distorsione, della quale abbiamo innanzi parlato, che deriva dal far coincidere le false accuse, che abbiamo definito false denunce in mala fede, con le denunce non provate.

Veniamo ora a considerare gli studi compiuti sulle false accuse malevole o intenzionali così come le indica il senatore Pillon.
Tutte le ricerche scientifiche invece svolte in occidente sulle “false accuse” dimostrano come queste riguardino una percentuale (fisiologica per tutti i tipi di reati) che va dal 1% al 7% dei casi.

Due importanti studi americani sono stati realizzati e pubblicati da ricercatori del Kempe Center32; il primo da Jones e Mc Graw33, nel 1987, secondo il quale su un campione di 576 casi di segnalazione di abusi sessuali ai servizi sociali “fu confermato il 53% come autentico, il rimanente 47% non fu confermato per lo più per via dell’insufficienza di elementi (24%); a seguire, l’infondatezza di sospetti (17%) (…) Solo il 6% dei casi venne classificato come fittizio”34, ma di questa percentuale il 5% era costituito da false accuse presentate da adulti e solo l’1% da false accuse mosse con la testimonianza dei minori.
Vi è da dire che il sistema americano per il rilevamento di casi di maltrattamenti e abusi a danno di bambini è molto più evoluto di quello italiano, le segnalazioni infatti sono, fatte le debite proporzioni, enormemente superiori alle nostre e vige uno specifico obbligo di denuncia ai servizi sociali per chiunque abbia un motivo ragionevole per credere si stia consumando una violenza a danno di un bambino.

Di conseguenza molte segnalazioni giungono da adulti che non hanno avuto modo di parlare o di ricevere confidenze dirette dei bambini e per questo motivo possono risultare non fondate, da qui il dato del 5% di accuse (senza testimonianza dei bambini) rivelatesi false perché fittizie.

Per quanto riguarda l’Italia invece non possiamo tenere in alcuna considerazione il risultato del 5% in quanto le denunce, presentate direttamente all’autorità giudiziaria, vengono inoltrate, nella stragrande maggioranza dei casi, solo quando un bambino ha rivelato episodi di maltrattamento o abusi35, di conseguenza dobbiamo prendere in esame il dato dell’1% che si riferisce, appunto, ai casi in cui le accuse, poi rivelatesi fittizie, sono state mosse direttamente da minori.
Un secondo studio, svoltosi sempre presso il Kempe Center, portato a termine daOates36, su 551 casi analizzati ha rilevato che il 3,6% delle accuse sono state giudicate deliberatamente false (denunce false in mala fede), di cui però solo il 2% riguardava denunce formulate da bambini, stessa percentuale del 2% è stata indicata da un studio da Graham e Watkeys37 per quanto riguarda segnalazioni ove era presente una rivelazione diretta da parte dei bambini.
Un ulteriore studio condotto da Trocme e Bala38 nel 2005 sulle denunce per maltrattamento, comprese anche quelle per abuso sessuale, su 798 casi analizzati i ricercatori hanno rilevato il 5% di false denunce, ma ciò che è davvero interessante è il fatto che nessuna di queste era stata mossa da bambini (lo 0,0%) non era cioè rintracciabile alcuna rivelazione diretta da parte dei bambini, le segnalazioni erano solo frutto di autonome dichiarazioni di adulti (genitori, parenti, vicini o conoscenti).
In coerenza con questo dato la Faller ci informa che negli USA sette Stati hanno raccolto dati sulle segnalazioni non confermate, dividendole per categorie specifiche, fra le quali, appunto, le accuse deliberatamente false che, sulla base quindi dei dati ufficiali del 2003, è risultato essere dello 0,04%39.
Risultati leggermente più alti sono stati ottenuti solo da Everosn e Boat40 che hanno riferito di false denunce presenti in una percentuale che varia fra l’8% e il 12,7% e che si riferiscono a dichiarazioni di adolescenti, la percentuale scende drasticamente nel caso di bambini piccoli (1,7% – 2,7%).
Ancora, quattro ricercatrici australiane parlano apertamente delle false accusecome di un mito da sfatare e nei loro studi41 indicano nel 9% la presenza di false denunce in buona fede.
Da ultimo vi è da dire che fra le ricerche che sono state pubblicate, le percentuali più alte sono state indicate da Nancy Thoennes e Patricia Tjaden.

Queste ricercatrici sono ricorse agli assistenti sociali o ai periti dei tribunali per classificare i casi come a) probabili, b) improbabili e c) incerti. Esaminando 9.000 casi passati nei tribunali di dodici giurisdizioni per questioni di affidamento o regime di visite, trovarono 169 casi (meno del 2%) con accuse di abuso sessuale, di questi il 50% fu classificato come probabile, il 33% come improbabile e il 17% come incerto42.
Vi è da precisare che il concetto di denuncia probabilmente falsa è diverso perché molto più ampio da quello di falsa denuncia in mala fede, come la intende il senatore Pillon, ipotesi sulla quale le due ricercatrici non hanno fornito dati.
A conclusione di questi chiarimenti e dei dati forniti ora appare in tutta la sua evidenza la gravità dell’errore che si compie nell’adottare misure legislative che si piegano alle urgenze difensive di coloro che sono accusati di violenza in famiglia, seguendo propagande prive di serietà ed etica.

6. Il combinato disposto degli articoli 9, 16, 17 e 18: realizza le teorie perverse di Gardner sull’alienazione parentale e sulle false accuse.
L’analisi degli articoli del DDL 735/18 in epigrafe dimostra un tentativo di spostare l’attenzione dal pericolo della violenza intrafamiliare a danno di donne e bambini (reale emergenza sociale) all’ipotesi delle false accuse a carico dei padri.
Questa operazione, come abbiamo visto è di stampo ideologico e negazionsitaperché contraddetta da dati scientifici e statistici.
IL DDL 735 risponde esattamente alle istanze di tutela dei padri accusati di violenza o abusi, scoraggia le madri a denunciare e punisce i bambini che parlano e mostrano un legittimo rifiuto verso il genitore maltrattante.
Mentre, come abbiamo visto, i casi di abusi o violenza in famiglia sono ripresi da questo DDL non per proteggere i bambini, ma solo per ribadire il diritto alla bigenitorialità, usato, in questo caso come una punizione verso i figli e non come una opportunità di protezione, nel testo di proposta legislativa in analisi sono invece riprese più volte le ipotesi di false accuse al fine di punire le vittime e garantire gli adulti accusati.
All’art. 9 infatti si legge che “..in caso di gravi inadempienze, di manipolazioni psichiche … e comunque in ogni caso ove riscontri accuse di abusi o violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate mosse contro uno dei genitori”, il giudice potrà intervenire con provvedimenti punitivi (cambio affidamento, decadenza della responsabilità genitoriale ecc) nei confronti del genitore inadempiente.
Un’accusa autenticamente falsa di abuso o violenza, frutto di manipolazioni come si scrive nell’art. 9, è un fatto, come abbiamo visto, rarissimo e comunque molto grave che corrisponde al reato di calunnia e, come tutti i reati, va accertato da giudice penale, con una approfondita cognizione del fatto.

Il DDL pone una gravissima disparità di trattamento che discrimina donne e bambini e favorisce i padri accusati di violenza: nel momento in cui infatti dovrebbero essere protetti i bambini da genitori violenti o abusanti (la maggioranza delle accuse statisticamente infatti si riferiscono ai padri), pretende un accertamento giurisdizionale, la certezza cioè che l’abuso sia avvenuto (vedi tenore letterale dell’art. 11 … “in caso di: violenza, abuso sessuale…) nel momento in cui invece va punito il genitore che favorisce le false accusemanipolando i figli (statisticamente ci si riferisce alle madri) si prescinde dalla certezza penalistica e si dà al giudice civile il compito di valutare la falsità delle accuse o le manipolazioni e si usa la locuzione accuse di abusi o violenze fisiche e psicologiche evidentemente false e infondate.
Il DDL 735/2018 pare voglia operare nel superiore interesse dei padri accusati di violenza o abusi non certo a tutela delle donne e dei bambini.
Le cose peggiorano notevolmente se si analizzano gli articoli 17 e 18 del DDL.
L’art. 17 infatti pone l’applicazione delle misure di cui all’art. 342-ter c.c. (ordini di protezione e allontanamento dalla casa familiare) “quando la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore (…) e ostacolando il (…) mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore”.
È pacifico che ostacolare il rapporto con l’altro genitore è una condotta pregiudizioevole, dannosa e che va fermata e, nei casi gravi, punita anche penalmente, ma l’aspirante legislatore in questo caso, in perfetta coerenza con tutto l’impianto normativo proposto, intende tradurre automaticamente i casi di rifiuto o paura verso un genitore (esattamente come era intenzione dell’apologeta della pedofilia Gardner) in casi di alienazione, ove la colpa ricade sulla madre che manipola il figlio, scoraggiando, in questo modo, come detto, le donne dal denunciare e i figli dal parlare.
Nel testo dell’art 17, infatti, non si fa cenno alcuno all’ipotesi di accuse di violenza in famiglia formulate proprio dai figli, ipotesi che escluderebbe qualsiasi condotta manipolativa o alienante del genitore e che giustificherebbe il rifiuto dei bambini.

L’errore, imperdonabile, che si compie, è quello quindi di tradurre automaticamente le difficoltà di rapporto e il rifiuto che un figlio esprime nei confronti di un genitore in ipotesi manipolative che pongono ostacoli almantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore,mentre nella maggior parte dei casi, come detto più volte, alla base dei rifiuti e delle paure dei figli nei confronti di un genitore ci sono racconti ed episodi di violenze.
Ma ciò che davvero risulta inspiegabile e inaccettabile è il fatto che, nel comma successivo, si specifica che gli ordini di protezione possono essere adottati “pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori” quando cioè “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi“
Con tale indicazione si raggiunge l’apice del tentativo di illogicità, cinismo e imbarbarimento della legislazione italiana sul tema dei diritti delle donne e dei bambini, una disposizione del genere ricorda i campi di rieducazione della dittatura sovietica nei confronti dei dissidenti politici.
Si pongono tre principi di imbarazzante inciviltà il primo, desolatamente privo di logica giuridica, risiede nel fatto che il genitore non rifiutato può essere allontanato dal domicilio anche se non ha posto in essere alcuna condotta pregiudizievole, diventa inspiegabilmente colpevole, scomodo, confinato fuori dalla famiglia e di conseguenza è punito solo per il fatto di non essere stato rifiutato!
Il secondo principio, ancora più grave, risiede nel fatto che un figlio, nel momento in cui manifesta rifiuto, alienazione o estraniazione verso un genitore, sarà costretto a vivere, in una sorta di cinica e diabolica punizione di sapore medievale, esclusivamente proprio con il genitore temuto e rifiutato, ben sapendo che i rifiuti dei figli provengono quasi sempre dalla violenza subita (violenza sessuale, fisica, assistita).
Il terzo principio che, nel suo parossismo presenta aspetti tragici e comici al contempo, risiede nel fatto che in nome della bigenitorialità si esclude, con effetto immediato, un genitore dagli affetti di un figlio!
Ma per non farsi mancare nulla il DDL, in una sorta di esaltazione visionaria, se da una parte intende togliere il ricorso alle case famiglia e, in caso di inidoneità di entrambi i genitori, colloca i figli presso famiglie affidatarie, nella sola ipotesi dei casi di alienazione prevede addirittura, nell’ultimo comma dell’art. 18, il“collocamento provvisorio del minore presso una struttura specializzata, previa redazione (…) di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità”.
In altre parole se un bambino rifiuta il proprio genitore, anche motivando le paure con accuse di violenza e abusi, il DDL a firma Pillon ed altri, solo a causa di questo rifiuto, che battezza “alienazione”, può allontanare da casa il genitore “sano” e “amato” e mettere in una casa di ri-educazione il figlio perché impari ad accettare il genitore (spesso il padre) falsamente accusato, ove la falsità dell’accusa viene presupposta per legge!

A chiusura di questa operazione di sistematica violazione dei diritti dei bambini l’art. 16, nel disciplinare il diritto all’ascolto, vieta di porre ai figli “domande manifestamente in grado di suscitare conflitti di lealtà da parte del minore verso uno dei genitori”.
Il conflitto di lealtà, se può rintracciarsi nei casi di autentica manipolazione, lo si riscontra sempre anche quando un figlio, vittima di violenza, sente di essere stato difeso e tutelato dal genitore cosiddetto soccorrevole.
Per legge si vogliono vietare tutte le domande che, proprio intervenendo nel rapporto bambino – adulto soccorrevole, potrebbero essere utili per acquisire elementi di chiarezza al fine di fare emergere episodi di violenza e chiarire il rapporto fra il genitore protettivo e il figlio protetto.

Il conflitto di lealtà va, al contrario, compreso e affrontato nei suoi reali termini perché a ragione può essere il sano sodalizio che si instaura fra il genitore sano e protettivo e il figlio da questi tutelato.
Il divieto di domande sul conflitto di lealtà ricorda precetti di uno stato di polizia ove viene fatto divieto di far emergere il dissenso.
7. Un disegno di legge che spezza in due la vita dei bambini, toglie loro sicurezze e serenità, per esasperare il conflitto dei genitori: gli artt. 11 e 14.
IL DDL a firma Pillon interviene pesantemente sulla vita delle famiglie, ponendo delle regole prive di senso e che rischiano di ledere profondamente i diritti dei bambini e creare soluzioni traumatiche.

L’art. 11 del DDL (che intende modificare l’art. 337-ter del cc) stabilisce al secondo comma che “il figlio minore (…) ha anche il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità familiare”.
Il terzo comma dell’art. 11 con una disciplina stringente recita: Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudiceassicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti con ciascuno dei genitori.
Non si tratta più di principi generali al quale il giudice può attenersi o meno a seconda delle circostanze, con questa norma l’aspirante legislatore crea un vero e proprio diritto soggettivo in capo a ciascun genitore, diritto che il giudice deve necessariamente e automaticamente applicare anche solo su semplice richiesta.
Di nessun valore è l’inciso che precisa come i tempi paritetici si applicano ovenon sussistano oggettivi elementi ostativi sia perché proprio l’indicazione espressa della oggettività degli elementi esclude tutta la gamma degli interessi e dei bisogni invece soggettivi che fanno capo al fanciullo, sia perché il criterio della impossibilità oggettiva, non meglio specificato, richiama quello di impossibilità materiale che, quindi, nulla toglie e nulla aggiunge all’imperativo categorico dei tempi paritetici da applicarsi in ogni caso, salva, appunto, l’impossibilità alla quale nessuno è tenuto (ad impossibilia nemo tenetur)
Gli errori grossolani, i pericoli, le distorsioni e i danni ai quali porta una norma del genere sono molteplici e gravi.

Dato per scontato che la presenza paterna nella cura, ma anche nella quotidianità dei figli è una importante e ineludibile risorsa che realizza solo benefici e ricchezza affettiva e psicologica, tale soluzione viene recepita come disciplina normativa da applicarsi automaticamente e indiscriminatamente a tutte le situazioni separative, creando una serie di ingiustizie e paradossi, ingestibili proprio per quei bambini ai quali si vuole, non senza una robusta dose di ipocrisia, riconoscere il diritto alla bigenitorialità.

In primo luogo manca una distinzione fra le fasce di età, una intenzionale svistain grado di creare situazioni caotiche, soluzioni severamente adultocentriche e che rischiano di provocare veri e propri traumi, anziché realizzare diritti.
È incontestabile e incontestato che i bambini in tenera età hanno bisogno e “diritto” ad un contatto fisico, emotivo, psicologico con colei che li ha portati in grembo per nove mesi, è inutile citare le innumerevoli ricerche scientifiche che dimostrano i benefici di carattere neurofisiologico in tema di salute e sviluppo che i bambini ricavano da un quotidiano e costante contatto con la madre.

Oggi è il giudice che decide, caso per caso, la migliore distribuzione dei tempi di permanenza dei figli presso i genitori, tenendo conto non solo dell’età, ma anche di una innumerevole serie di altri parametri: distanza fra le abitazioni, abitudini di vita, disponibilità di tempo dei genitori, competenze specifiche genitoriali, qualità del tempo passato con ciascun genitore, il tipo di legame affettivo e psicologico, contesto familiare.

Questo disegno di legge, al contrario, spazza via ogni esigenza “soggettiva” che possa essere ricondotta all’interesse dei figli e intepretata dal giudice che conosce dei casi singoli e impone, per tutti i bambini, una soluzione pregiudiziale da applicarsi automaticamente anche su semplice richiesta di uno solo dei genitori.

Ma a questo punto va fatto un approfondimento che porta, come vedremo a conseguenze aberranti.

In Italia l’affido condiviso riguarda quasi il 90% delle separazioni, solo nel 9% dei casi il figlio viene affidato esclusivamente alla madre43, in coerenza con questo dato, più dell’80% delle separazioni sono consensuali44.
La stragrande maggioranza degli ex coniugi quindi si sono divisi mediante separazioni pacifiche che si sono concluse con un affidamento condiviso e che non hanno presentato, per fortuna, problemi rilevanti né con i figli né con gli ex partner.

Di conseguenza possiamo dire che quasi tutti trovano pacificamente un accordo anche sui tempi di permanenza dei figli, lo stesso articolo 11 del DDL riconosce ai genitori la libertà di accordarsi (art. 11 DDL comma IV Salvo diverso accordo fra le parti…).
Ben possiamo dire quindi che la richiesta anche solo di un genitore a vedere riconosciuto il suo diritto a tempi paritetici di permanenza dei figli verrà rivendicata e azionata anche e specialmente nelle separazioni conflittuali, nei casi in cui, appunto, non vi è accordo fra i genitori, di conseguenza anche in quelle separazioni ove di affacciano ipotesi di violenza intrafamiliare.
Nulla potrà opporre il giudice civile alla richiesta di tempi paritetici, anche nel caso questa provenga dal genitore sul quale vi siano fondati timori che sia violento, abusante o perverso nei confronti dei figli o della compagna.
Il giudice civile non potrà valutare eventuali denunce, elementi obiettivi, dichiarazioni del minore, rinvii a giudizio, condanne ancora non definitive, comportamenti inadeguati, aggressivi, minacciosi del genitore violento o abusante finché questi, dopo lunghi anni di processi penali, non verrà definitivamente condannato.

Anzi, come abbiamo avuto modo già di verificare, se un figlio vittima rifiuta il genitore violento o perverso, ma non ancora condannato in via definitiva, dovrà essere posto immediatamente in una “struttura specializzata” in quanto considerato alienato.
Ci si augura che ci sia qualcuno in grado di immaginare i patimenti e le torture che i figli vittime di perversioni o violenza potranno subire, durante gli anni in cui il genitore abusante verrà processato e ci si augura che ci sia qualcuno in grado di immaginare il dolore e il senso di ingiustizia che subiranno i genitori sani e protettivi.

Allo stesso modo e con la stessa rozza sensibilità giuridica l’aspirante legislatorenon distingue l’età adolescenziale, per la quale oramai da decenni gli accordi internazionali concedono al fanciullo, con età superiore ai dodici anni, il diritto all’ascolto, esercitato il quale il giudice deve tenere nella debita considerazione45la volontà e i desideri espressi dal fanciullo.
Il risultato è che ragazzi di quindici o diciassette anni, liberi, per legge, di esercitare la loro libertà sessuale, di guidare motocicli, di fare viaggi all’estero, con un alto grado di autonomia sociale e psicologica, secondo l’automatismo prodotto dal DDL 735, saranno costretti a frequentare entrambi i genitori secondo tempi ossessivamente paritetici imposti anche solo da un genitore e non secondo il prudente giudizio del giudice che, ascoltato il fanciullo e l’adolescente, tiene nella debita considerazione la sua volontà, i suoi desideri, i bisogni, le esigenze e, appunto, l’età e il grado di autonomia.

L’art. 11 cancella con un colpo di spugna cancella anche il diritto di ascolto riconosciuto dalla Convenzione di New York sui diritti dei fanciulli del 1989 che, di fatto, viene svuotato di ogni significato.
Altra grave disfunzione che provoca la soluzione adottata dall’art. 11 è l’esplosione del conflitto anche per quelle situazioni in cui gli ex coniugi o compagni che si sono accordati per una separazione consensuale e un regime di visita classico, con collocamento prevalente dei figli presso uno dei genitori.

In questi casi infatti, il genitore non collocatario, ad ogni diverbio, incomprensione, inasprimento dei rapporti potrà utilizzare come minaccia il ricorso al giudice per azionare il diritto alla equipollenza dei tempi di permanenza, con moltiplicazione delle separazioni giudiziali e di ricorsi al giudice per la modifica delle condizioni di separazione che può essere chiesta in ogni momento a norma dell’art. 337-quinquies oggi in vigore (che il DDL, con l’art. 13, vuole ampliare nella sua portata).

Una soluzione del genere è quanto di più dannoso, adultocentrico e antistorico si possa immaginare.

Da notare ancora come il terzo comma dell’art. 11 preveda un meccanismo di recupero durante i periodi di vacanza per i casi in cui non vi sia stata una perfetta equipollenza dei tempi di frequenza durante l’anno, distorcendo in questo modo la funzione dei ruoli genitoriali, creando cioè il genitore delle vacanze e del divertimento e il genitore delle regole e dei compiti.

In coerenza con soluzioni basate su un potere genitoriale anacronistico, adultocentrico e antistorico l’ultimo comma dell’art. 14 del DDL 735/18 stabilisce addirittura l’intervento delle autorità di pubblica sicurezza su segnalazione di uno dei genitori, al fine di ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice.
Si tratta dell’ennesima proposta di regressione civile che non solo impone l’uso della forza pubblica nei confronti di bambini, con le ovvie conseguenze sul piano dell’esasperazione conflittuale e, specialmente, dei traumi che i fanciulli ne ricavano, ma immagina pure l’ennesimo automatismo normativo che addirittura scavalca l’intervento, la mediazione e il controllo del Giudice in modo che la semplice segnalazione di uno dei due genitori legittima l’immediato intervento delle forze dell’ordine, si stenta a credere che si sia potuto immaginare e dare dignità di proposta legislativa ad una soluzione autoritativa del genere.
8. Mantenimento diretto e mediazione un pasticcio da evitare: drammatica violazione della Convenzione di Istanbul
Per le considerazioni sopra svolte il DDL 735/2018 non è da modificare è da ritirare e dimenticare prima possibile.

Le questioni, in ogni caso mal trattate, relative alla mediazione familiare obbligatoria, passano in secondo piano, posto che le innovazioni sull’alienazione parentale, false accuse e sull’automatismo della permanenza paritetica, così come sono state congegnate, hanno un potere distruttivo di una portata tale da oscurare i danni che farebbe il nuovo istituto della mediazione obbligatoria.
La mediazione obbligatoria non riguarda la stragrande maggioranza dei casi che oggi approdano già naturalmente ad una separazione consensuale (80%) ma si riferisce a quelle separazioni conflittuali che necessitano di un intervento da parte dell’organo giudicante.
Le separazioni conflittuali (meno del 20%) rappresentano i casi più complessi e delicati, ove spesso si annidano ipotesi di violenza domestica anche a danno di bambini.
Va preliminarmente tenuto presente che il termine “separazione conflittuale” è utilizzato in maniera ambigua, vi è infatti conflittualità sia quando fra i coniugi si innesca una escalation di reciproca e rancorosa svalutazione, che diventa una diretta causa di sofferenza per i figli, sia quando la conflittualità sorge nel momento in cui un coniuge o i figli sono vittime di violenza, in questo caso la conflittualità è una risposta sana e necessaria che salva, anziché danneggiare, i figli.
Nel DDL 735/2018 non vi è alcun cenno alla necessità di proteggere le vittime in caso di separazione conflittuale derivante da abusi o violenza domestica, la conseguenza è che la pretesa di una mediazione obbligatoria si traduce in una diretta violazione dei diritti costituzionali della difesa (art. 24 Cost.) e della salute (art.32 Cost.).
Al contrario, proprio nel momento più delicato, ove permane il conflitto, il giudice, secondo le rovinose soluzioni normative proposte dal DDL 735/2018,nei casi di conflittualità tra le parti, invita nuovamente i genitori a intraprendere il percorso di mediazione familiare per la risoluzione condivisa delle controversie.(DDL 735/2018 art. 13 II comma).
Ma, in una sorta di diabolica persistenza dell’errore, l’aspirante legislatore aggiunge che in caso di rifiuto o di fallimento della mediazione il giudice, qualora la conflittualità persista, propone alle parti la nomina di un coordinatore genitoriale, (DDL 735/2018 art. 13 IV comma) una sorta di delegato di un novello stato di polizia con il compito di far trovare un accordo a tutti i costi, anche e specialmente, se si tratta di persecutori e vittime.
Nel momento in cui neppure il tentativo di “normalizzazione” ha effetto, portato avanti dal novello superpolizziotto coordinatore, che tanto ricorda la fallita repressione del generale Jaruzelski, il DDL 735/2018 sancisce che il giudice decide della questione applicando i principi (…) di cui all’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 337-ter (DDL 735/2018 art. 13 ultimo comma), che altro non è che la disposizione per i tempi paritetici, ad ogni costo, in qualsiasi condizione quindi, dei figli presso i genitori.
Una proposta di legge brutale e imbarazzante che, come abbiamo più volte ribadito, favorisce la violenza e la perversione in famiglia e punisce le vittime,
Da notare come il testo del DDL in esame all’art. 5 nel disciplinare la figura del del coordinatore genitoriale scrive che ha espressamente il compito di assistere i genitori con alto livello di conflitto nell’attuazione del piano genitoriale (art. 5 lett. A DDL 735/2018)
La quasi totalità delle separazioni altamente conflittuali, come ribadito più volte, derivano da ipotesi di violenza in famiglia ove il legislatore, in armonia con le convenzioni internazionali e con le istanze di evoluzione civile e democratica, dovrebbe proteggere le vittime anziché favorire i persecutori.

Il Disegno di Legge, al contrario, impone proprio al coordinatore genitoriale disalvaguardare e preservare una relazione sicura, sana e significativa tra il minore ed entrambi i suoi genitori (art. 5 lett. C DDL 735/2018), e stiamo parlando, appunto di separazione drammatiche ove il conflitto è l’ultima risorsa che rimane alle vittime per chiedere protezione e tutela.
La bigenitorialità è lo strumento ossessivamente imposto dall’aspirante legislatore affinché possa schiacciare con uno smisurato peso specifico i diritti fondamentali delle persone legati all’integrità psicofisica, alla libertà, alla difesa e alla serenità dei bambini e delle donne.

Il DDL a firma di Pillon ed altri si pone in aperto e drammatico contrasto con la Convenzione di Istanbul e con le linee evolutive sul tema della tutela delle persone dalla violenza di tutti i paesi che vogliono chiamarsi civili, nell’ipotesi in cui diventasse legge esporrebbe l’Italia alla pubblica derisione e alla condanna da parte della comunità internazionale.

Nella convenzione di Istanbul, ratificata con L. 27 giugno 2013 n. 77, vi sono indicazioni esplicite e chiare sulla necessità di mettere a punto invece una legislazione di protezione dalla violenza domestica a favore di fanciulli e donne (artt.2,3,4,16,18).

Si legge infatti nel testo che: la Convenzione si applica a tutte le forme di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, che colpisce le donne in modo sproporzionato (art. 2 comma I).

In particolare modo gli stati firmatari si accertano che le misure adottate:

▪ siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima;
▪ mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria;
▪ soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili. (art. 3 Conv. Istanbul)
In relazione alle decisioni da prendere per l’affidamento, il collocamento e in generale per i diritti di visita in caso di separazioni conflittuali, la Convenzione di Istanbul affronta direttamente la questione considerando prioritaria la sicurezza e la tutela della vittima, soluzioni che vanno nella direzione opposta a quella indicata dalla proposta di riforma legislativa in esame.
In particolare modo l’ Art. 31 della Convenzione di Istanbul stabilisce che:

1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.
2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini.
Le vicende familiari ove si ipotizzino abusi o violenze a danno di donne e bambini, ma, ovviamente, anche a danno di uomini, presentano aspetti così delicati e complessi che non possono che essere gestiti da un giudice che ha la formazione, le funzioni, i poteri per assumere i provvedimenti del caso, potendosi, eventualmente, avvalere di consulenti d’ufficio nominati.

L’obbligo alla mediazione in questi casi è un vero e proprio delirio.

Le proposte legislative, se intendono continuare un lento ma costante processo di civilizzazione e non tornare a soluzioni tribali, devono assicurare strumenti di tutela e protezione alle vittime.

Infine vi è da dire che il mantenimento diretto, istituto bizzarro e sconosciuto al mondo occidentale, rischia di aumentare in maniera esponenziale il conflitto genitoriale anziché placarlo.
Il complicato sistema prevede un articolato e fiscale elenco delle categorie di spesa che devono essere individuate e ripartite equamente dai coniugi, questo complesso meccanismo crea e alimenta un clima di sfiducia fra i genitori perchè si basa sul presupposto che uno dei due potrebbe ricavare indebiti vantaggi dal contributo in danaro.

Tuttavia il maggiore rischio maggiore è quello di moltiplicare le occasioni di scontro e aumentare a dismisura la necessità di una sfibrante e perenne mediazione in quanto i figli, crescendo, cambiano in continuazione le loro esigenze e di conseguenza i relativi capitoli di spesa dovranno essere continuamente aggiornati.

1. Appello del Movimento per l’Infanzia
Il Movimento per l’Infanzia
In nome di tutte le bambine e i bambini e di tutte le donne e le madri vittime di abusi e violenza, chiede l’immediato ritiro del DDL 735/2018, orribile, incivile e impresentabile, invita la classe politica e il Governo a prendere le distanze dalle teorie negazioniste, dalla scienza spazzatura, dai deliri di apologeti della pedofilia (Gardner) e da coloro che hanno promosso le sue teorie prive di etica, equilibrio e rigore scientifico, chiede con urgenza di adottare provvedimenti che realizzino le pressanti richieste di tutela che provengono dalla società civile, da donne e da uomini, madri e padri, che hanno a cuore il benessere dei propri figli e che sono state recepite dalle convenzioni internazionali alle quali l’Italia ha aderito.
Firenze 15 /09/2018, Il presidente del Movimento per l’Infanzia, Girolamo Andrea Coffari

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NOTE

1 Per una approfondita critica alle teorie negazioniste di Camerini, considerato nel testo un “cattivo maestro” vedi: G.A. Coffari “Rompere il silenzio, le bugie sui bambini che gli adulti si raccontano” ed Laurana, in particolare Cap IV Le false accuse e CAP V Lo scandalo della PAS.
2 I bambini vittime di violenza vanno protetti infatti ben prima della sentenza passata in giudicato, che arriva dopo tre gradi di giudizio e anni di impegnative battaglie giudiziarie, e con provvedimenti molto più restrittivi.

3 Per i reati di maltrattamenti e violenza sessuale a danno dei figli nel 90% dei casi sono i padri anziché le madri ad essere condannati.

4 Secondo uno studio italiano portato a termine dal Censis (Caffarra,1994) il rapporto fra emerso e sommerso sarebbe di 1 a 100. Ricerche condotte in Italia (A. Pellai 2001 e 2006; Sos Infanzia e Movimento per l’infanzia 2005 e 2007; Istituto degli Innocenti 2006) e all’estero (D.Russel USA 1983; Kelly, Regan e Burton GB 1991; S. Finkelor USA 1994; J. Laederach CH 1996; Mc Milliam CDN 1997; Pereda, Guilera E 2009) dimostrano come l’abuso sessuale si consumi nella maggior parte dei casi in famiglia e riguarda almeno il 10% dei minori.

All’abuso sessuale vanno aggiunte altre forme quale la violenza fisica, psicologica e assistita. Con la risoluzione 92/2002, la Commissione sui diritti umani dell’ONU ha suggerito al Segretario Generale di incaricare un esperto indipendente per realizzare uno studio influente sulla violenza sui bambini, in collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, l’UNICEF e l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, ha incaricato il prof. Paulo Sergio Pinheiro, che il 12 ottobre 2006 ha presentato i risultati in un autorevole studio pubblicato dall’ONU e che conferma come una percentuale significativa (10% – 30%) della popolazione minorile dei paesi industrializzati è vittima di maltrattamenti e abusi sessuali. Inoltre è dimostrato come vi sia un’intima connessione fra violenza alle donne e violenza ai fanciulli, confermata dai dati diffusi dall’Istat (2014) in forza dei quali più di 6 milioni e mezzo di donne hanno subito violenza (fisica o sessuale) nella loro vita; le violenze più gravi, compresi gli stupri, sono stati commessi da partner (compagni, fidanzati, mariti) e le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%). Infine il 10,6% delle donne ha subìto violenze sessuali prima dei 16 anni e in questo caso parliamo ancora di abusi sui fanciulli. Considerando il totale delle violenze subìte da donne con figli, aumenta la percentuale dei figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre (dal 60,3% del dato del 2006 al 65,2% rilevato nel 2014).

In questo caso si parla di violenza assistita fenomeno diffuso, sommerso e ancora sottovalutato. Da tutti gli studi indicati emerge come la maggior parte delle forme di violenza a danno dei bambini (e delle donne) si consumi fra le mura domestiche.

5 Per una approfondita critica alle teorie negazioniste di Camerini, considerato nel testo un “cattivo maestro” vedi: G.A. Coffari “Rompere il silenzio, le bugie sui bambini che gli adulti si raccontano” ed Laurana, in particolare Cap IV Le false accuse e CAP V Lo scandalo della PAS.
6 Fabio Nestola è stato parte del Consiglio Direttivo e delegato nazionale per le “politiche di genere e pari opportunità” fino ai primi mesi del 2018.

7 Articolo a firma di Fabio Nestola del 29 settembre 2013http://www.adiantum.it/public/3434-false-accuse–i-negazionisti-sanno-da-dove-provengono-i-dati—–di-fabio-nestola.asp – pagina consultata il giorno 14 settembre 2018.
8 Visionabile sul sito del Senato al seguente indirizzo:https://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm02/documenti_acquisiti/957%20FENBI%20-%20A.pdf
9 Federazione Nazionale per la Bigenitorialità con sede a Pordenone il cui sito è stato chiuso.

10 La relazione presentata da FE.N.BI alla Commissione Giustizia presso il Senato nella seduta del 28 luglio 2011 è firmata infatti da Nestola in qualità di presidente.

http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm02/documenti_acquisiti/957%20FENBI%201.pdf
11 Le dichiarazioni sono di questo tenore: I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni…», «…è appurato che le versioni fornite dalle presunte vittime sono gonfiate ad arte. Solo in 2 casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri, il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione (…) Inutile dire che per l’esperienza fatta le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli…». (…) «L’accusa di violenza sessuale è il modo più facile per estromettere il padre dalla vita dei figli. La donna non solo si libera del partner come coniuge ma anche come padre, facendolo uscire definitivamente dalla sua vita (…) le querele costruite al solo scopo di eliminare l’ex marito dalla vita dei figli – oscillano nelle procure italiane da un minimo del 70 ad un massimo del 95% (…) Si tratta di affermazioni drammatiche, le donne sono prese di mira in maniera diretta, violenta, si arriva addirittura a negare l’esistenza stessa della violenza maschile sulle donne: Uno dei miti diffusi nella nostra società è che la violenza domestica è qualcosa che gli uomini fanno alle donne, definendolo un mito.
12 È citata un’altra pubblicazione a firma Jolanda Stevani, ma si tratta di un lavoro di nessun pregio perchè utilizza un articolo scritto dall’apologeta della pedofilia Underwager. Per una approfOndita critica: G.A. Coffari, Rompere il silenzio, ed Laurana 2018 pag. 369 e segg.

13 G. Camerini, D. Berto, L. Rossi, M.Zanoli, Disturbi psicopatologi e fattori di stress in procedimenti penali relativi all’abuso sessuale, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2010), vol. 77, pp. 127-137

14 Più avanti vedremo come questo risultato sia destituito di fondamento e smentito da numerose ricerche e studi, regolarmente pubblicati, che collocano lefalse denunce in una percentuale che varia dall 0% ad un massimo del 7% dei casi.
15In G. Camerini, D. Berto, L. Rossi, M.Zanoli, Disturbi psicopatologi e fattori di stress in procedimenti penali relativi all’abuso sessuale, in Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2010), vol. 77, pp. 127-137 cita la Sindrome di Alienazione Parentale PAS quale spiegazione per una denuncia non fondata – Già nel 2002 Camerini presentava la Sindrome di Alienazione Parentale, alla guisa di una teoria scientifica, in E. Caffo, G B. Camerini, G. Florit, Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia, McGraw-Hill, 2002. Camerini presenta la PAS ancora in: G.B. Camerini, Aspetti legislativi civilistici e psichiatrico-forensi nei procedimenti riguardanti i minori, in Psichiatria Forense, Criminologia ed Etica Psichiatrica, a cura di V. Volterra, Elsevier 2010.
16Per una critica alle teorie e al pensiero di Gardner vedi : G.A. Coffari Rompere il silenzio, le bugie sui grandi che i bambini si raccontano, CAP V “Lo scandalo della PAS” ed Laurana 2018 – S. Vaccaro, C. Barca, PAS Presunta Sindrome di Alienazione Genitoriale, ed.it press, Firenze, 2011
17https://www.interris.it/sociale/ecco-perch-il-ddl-sull-affido-condiviso–dalla-parte-dei-figli

18 G. B. Camerini, Alienazione Parentale, in Psicologia Contemporanea, n. 249 maggio-giugno 2015, pp. 12-17 nella quale ripropone i criteri diagnostici inventati da Gardner – ancora lo stesso costrutto della PAS in G.B. Camerini, M. Pingitore, U. Sabatello, L. Volpini, La Parental Alienation: Considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM-5, in Neuropsichiatria dell’età evolutiva, 34: 39-48, 2014.
Infine nel 2016 Camerini presenta l’Alienazione Parentale secondo la costruzione teorica di Gardner – G.B. Camerini, L’Alienazione Parentale considerazioni nosografiche ed esiti evolutivi, pp. 21-35, in G.B. Camerini, M. Pingitore, G. Lopez,Alienazione Parentale, Franco Angeli, 2016.
In questa pubblicazione Camerini presenta per l’ennesima volta, Gardner con tutti gli onori dello studioso, leggiamo infatti: “Nel 1985, Richard Gardner, psichiatra infantile e forense, membro del Dipartimento di Psichiatria Infantile della Columbia University di New York coniò il termine parentale alienation syndrome (pag. 21) si legge ancora nel testo citato: Le conseguenze legali della PAS possono comportare la perdita dell’affidamento del figlio e con una certa frequenza si connettono a denunce infondate (false allegations) di maltrattamento o di abuso sessuale.
19 Intervista a cura di Francesco Oggiano a Vanity Fair del 10 settembre 2018 visibile su: https://www.vanityfair.it/news/politica/2018/09/10/divorzio-simone-pillon-labolizione-dellassegno-e-solo-linizio-puniremo-le-false-vittime – pagina consultata il 14 settembre 2018.
20 Dichiara infatti nell’intervista: Quando un’indagine per violenza domestica viene archiviata, o il processo si chiude con una sentenza di innocenza, è evidente che qualcuno ha raccontato delle grandi bugie.
21in E. Caffo, G B. Camerini, G. Florit, Criteri di valutazione nell’abuso all’infanzia, McGraw-Hill, 2002. pag. 181.
22D. Dèttore, C. Fuligni L’abuso sessuale sui minori ed. McGraw-Hill 1999
23 G.A. Coffari Rompere il silenzio, le bugie sui bambini che gli adulti si raccontano, ed. Laurana, 2018 pag. 337 e segg.
24 Con l’ingiunzione al silenzio, che spesso deriva da minacce dirette o indirette che spaventano il bambino.

25 Statisticamente sono rarissimi i casi in cui si avviano dei procedimenti o anche solo si presentino delle denunce ove manchi la testimonianza del bambino, può succedere nei casi in cui ci siano dei testimoni esterni o elementi obiettivi.

26 Sono molteplici gli elementi che possono rendere debole una testimonianza del bambino la suggestione, l’induzione, la manipolazione.

27 K, C. Faller Interrogare il bambino sull’abuso sessuale, Centro Scientifico editore, 2008, pag. 237.
28K. C. Faller, op. cit., pag. 244.

29 Testo con prefazione di Guglielmo Gulotta che definisce la Faller eminente studiosa e che loda il volume perché “si distingue per l’ottima connessione realizzata tra i dati e le acquisizioni derivanti dalla ricerca scientifica” . Faller, op. cit., prefazione di G. Gulotta.
30 Faller, op. cit., pag. 228.

31Faller, op. cit., pag. 230.

32 Kempe National Center for the Prevention and Treatment of Child Abuse and Neglect
33 Jones D. P.H., McGraw E.M., Reliable and fictitious acconuts of sexuale abuse to children, in Juournal of Interpersonal Violence;,2(1): 27-45, 1987 – citato nel libro della Faller a pag. 229.
34 Faller, op. cit., pag. 229.

35 In Italia i casi in cui le denunce per abusi sessuali si basano sull’osservazione di comportamenti dei bambini, di disagi e sofferenze indipendentemente da dichiarazioni esplicite, sono molto rari.

36 Oates R.K., Jones D.P.H., Denson A:, Sirotnak A., Gary N., Krugman R.,Erroneous concerns about child sexual abuse, in Child Abuse and Neglect, 24 (1), 2000, pagg. 149-157,, citato nel libro della Faller a pag. 229.
37 Graham A., Watkeys J., False allegations in child sexual abuse of children: theory and research,vol.1, pp 285-306, Laurence Erlbaum: Hillsdale, NJ,1991.
38 Trocme N., Bala N., False allegations of abuse and neglect when parents separate, in Child Abuse and Neglect; 29 (11), 2005, pagg. 1333- 1346. citato a pag. 239 del libro della Faller.
39 Il rapporto è fra il totale delle indagini pari a 1.590.905 e le accuse deliberatamente false che sono 436.

40 M. Everson, B. Boat, False allegation of sexual abuse by children and adolescents, in Journal of American Academy of Child and Adolescent psichiatry, 28, 1989, pp. 230-235, citato da Malacrea a pag. 319.
41 T. Brown, M. Frederico, L. Hewit, R. Sheehan The Child Abuse and Divorce Mithin Child Abuse Review march/April 2001, vol 10 pagg. 113-124.
42 Cit. in Faller, Interrogare il bambno sull’abuso sessuale, Centro Scientifico editore, 2008 op.cit., pag. 236 – Nancy Thoennes & Patricia Tjaden, The Extent, Nature, and Validity of Sexual Abuse Allegations in Custody/Visitation Disputes, in Chlid Abuse & Neglect, 151,1990.
43 Dati ISTAT 2015 https://www.istat.it/it/archivio/192509
44 https://www.linkiesta.it/it/article/2016/02/12/quando-lamore-finisce-50mila-italiani-divorziano-ogni-anno/29255/

45 Art. 12 Convenzione sui diritti del fanciullo, New York 1989 – Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

Fonte: Movimento per l’infanzia