Yemen, storie di petrolio e di bambini


Dal marzo 2015, nello Yemen, si sta consumando una sanguinosa guerra intestina. I civili e, soprattutto, i bambini sono allo stremo. La piccola Amal non ce l’ha fatta.

Neppure tutti sanno dov’è, ma nel piccolo stato islamico si sta consumando un terribile conflitto fratricida di cui WeeklyMagazine si é già occupata (“Yemen, la guerra dimenticata” di Rosemary Fanelli, WeeklyMagazine del 3/6/2017). Non sorprende quindi che ora, con ben altri mezzi e risorse, lo abbia fatto anche un’autorevole giornale come il New York Times con toccanti foto e un lungo articolo dedicato ad Amal, una piccola yemenita di sette anni ricoverata in un ospedale di un campo profughi. Vera e propria guerra dimenticata, forse perché sino ad ora non sono intervenuti direttamente potenti stati mediatici come gli USA o la Russia, ma paesi come l’Arabia Saudita e l’Iran (e i rispettivi stati fiancheggiatori) non adusi all’impiego del mezzo mediatico come strumento di guerra e di politica estera. Tuttavia, é opinione diffusa che alle spalle di Arabia Saudita e Iran vi siano, rispettivamente, proprio gli USA e la Russia che per ragioni politiche, evidentemente, preferiscono lasciare ad altri il lavoro sporco dell’intervenro diretto. La ragione di tanto interesse internazionale, risiede in alcuni importanti fattori economici e strategici. Lo Yemen, infatti, oltre ad essere un paese produttore di petrolio, si trova in una posizione strategica perché controlla mezzo stretto di Bab el Mandeb, che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, una via di commercio piuttosto importante anche per il passaggio del petrolio produtto in altre nazioni.La violenta contrapposizione armata che è scaturita tra le opposte forze interne ed esterne il paese, si estrinseca ufficialmente tra le fazioni del sud, sunnita e  filo saudita, e del nord, sciita e filo iraniana, e va oramai ufficialmente avanti sin dal marzo 2015 anche se sin già dal 2012 se ne erano registrate le avvisaglie.

Il Presidente yemenita ʿAbd Rabbo Manṣūr Hādī, nel luglio del 2012, aveva infatti denunciato la scoperta di una rete di cellule iraniane creata, secondo le accuse della autorità locali, per finanziare e sostenere il movimento separatista degli Huthi. In questa situazione di grande conflittualità, in cui si innestano anche altre nazioni dell’area come l’Eritrea sospettata di prestarsi per far giungere gli aiuti iraniani agli Huti ed il Sudan invece affiliato ai sauditi, é la popolazione civile che ne fa le spese maggiori. Tra la generale ignoranza dello stato delle cose dell’opinione pubblica mondiale, dovuta anche alla oggettiva difficoltà di entrare nel paese per i media indipendenti, secondo l’ONU tra marzo 2015 e aprile 2016 fra 7.400 e 16.200 persone sono morte, di cui fra 4.125 e 10.000 solo tra la popolazione civile. Si tratta di dati evidentemente parziali e non aggiornati, dovuti alla impossibilità pratica di ottenere cifre ufficiali. Merito, quindi, del New York Times che nell’edizione del 26 ottobre scorso ha rilanciato la situazione yemenita agli occhi del mondo pubblicando la storia di Amal, corredata con alcune foto di grande impatto emotivo, una piccola bambina yemenita ricoverata in gravissime condizioni di malnutrizione in uno degli ospedali campali dell’area e poi morta il primo novembre scorso. Tra quelle foto, scattate dal premio Pultzer Tyler Hicks, veri e propri pugni alla bocca dello stomaco, ne abbiamo scelta una che rilanciamo per contribuire nel nostro piccolo, del resto come già fatto in passato, a dare una scossa all’opinione pubblica, perché tutti assumano le proprie responsabilità nei confronti delle 10, 100, 1000 Amal che soffrono e muoiono quotidianamente in Yemen, il paese arabo più povero del’area, dilaniato a causa di una feroce guerra indotta ed alimentata da potenti forze straniere che, senza troppo apparire, né tirano i fili.