Fattura elettronica, un asteroide sul capo dei contribuenti


Vi ricordate la bufala dell’asteroide che stava per colpire la Terra? Secondo i soliti catastrofisti avrebbe dovuto centrare il nostro pianeta nel giorno del solstizio d’inverno di qualche anno fa, decretando inderogabilmente l’estinzione di ogni forma di vita superiore, assai peggio quindi di com’era andata ai dinosauri.
La cosa si era poi rivelata un’innocua pagliacciata, essendo il sasso siderale transitato a oltre 2 milioni di chilometri da casa nostra.
Un’altra pagliacciata, ben più pericolosa e certamente più catastrofica sta per tramutarsi in tegola e cadere sulle teste dei contribuenti italiani il prossimo 1° gennaio: l’obbligo della fatturazione elettronica da e verso tutte le partite IVA pubbliche e private, con pochissime eccezioni.
Prima di capire quali perniciosi risvolti abbia questo malefico trucco escogitato dal fisco italico, cerchiamo di capire di cosa si tratta.
La fatturazione elettronica è stata introdotta come concetto dalla Banda della Finocchiona. Sotto i governi Renzi e poi Gentiloni è stata quindi affinata e resa obbligatoria per le fatture emesse verso la pubblica amministrazione.
Infatti da circa tre anni ogni azienda o privato titolare di partita IVA che debba fatturare anche solo un euro ad un qualsivoglia ente pubblico (dall’ospedale al municipio del paese di Pinocchio) è costretto a emettere questo documento in formato elettronico attraverso un iter che si rivela una vera e propria corsa ad ostacoli.
Il proposito era indiscutibilmente valido: garantire il pagamento dell’imponibile alle imprese evitando un versamento dell’IVA al sostituto d’imposta da parte della pubblica amministrazione (P.A. per gli amici, se ne ha…) che in questo caso si rivela essere non una normale partita di giro ma un semplice passaggio di denaro da una tasca all’altra dello stesso soggetto. Che senso ha infatti che lo Stato versi l’IVA ad un privato il quale poi entro un breve periodo è costretto a sua volta a versarla allo stesso Stato?
Purtroppo la strada per l’Inferno è lastricata di buone intenzioni e la burocrazia non si lascia scappare l’occasione di semplificare la vita a sé stessa anziché al contribuente.
Infatti per poter emettere questa benedetta fattura “immateriale” (quasi che fosse un fantasma!) è necessario fare le seguenti cose: innanzitutto dotarsi di un computer, e già qui molti piccoli artigiani pensano di chiudere bottega, tanto sono lontani dalla mentalità cibernetica. Poi occorre saperlo usare (e anche qui vale quanto appena espresso), quindi caricare su detto computer un apposito programma che prende i dati della nostra fattura e li trasforma in un file (altro concetto per molti assolutamente alieno) in un formato particolare: una specie di linguaggio macchina che un cervellone più grande in un altro spazio ma si spera nello stesso tempo è in grado di capire e di tradurre in un documento che, finalmente, viene recapitato al destinatario.
A questo punto accadono due cose: la fattura (o meglio, la sua immagine virtuale) viene archiviata dal cervellone e noi possiamo tranquillamente fregarcene di qui all’eternità (salvo controlli, e allora non è chiaro come fare a rintracciarla!); il cliente invece dovrebbe affrettarsi a pagare, in quanto un’altra legge voluta da Pinocchietto & Co. impone alla P.A. di saldare i fornitori entro 30 o, al massimo, 60 giorni (tranne l’IVA, che va direttamente al destinatario finale: l’Erario).
Già qui non si capisce una cosa: se si deve pagare entro trenta giorni, perché devo prevedere – già nella legge – una proroga di altri trenta? E’ un vizio tutto italiano: in Germania e in Austria le fatture vengono emesse a partenza merce o ad avvenuta erogazione della prestazione e regolate entro un periodo che va dai 10 ai 30 giorni.
Lo stesso vale in quasi tutti i paesi civili, non solo europei. In Cina addirittura i pagamenti sono quasi sempre anticipati, come in India e Corea. Noi ci siamo inventati (in realtà la scoperta è di casa FIAT) la storia dei 60 e poi 90 giorni a cui si vanno ad aggiungere postille-trappola come il fine-mese e il fine-mese-data-fattura, veri e propri arzigogoli per procrastinare i pagamenti, tanto si sa: da noi è il debitore ad essere tutelato, mica il creditore!
Come si diceva, la bufala che adesso le P.A. pagheranno puntuali l’avevano bevuta solo Biancaneve e Barbie: il Bomba ha fatto la legge a sua immagine e somiglianza, e non si può pretendere di ottenere Michelle Hunziker mettendo Cristiano Malgioglio in un tritacarne (anche se un tentativo lo farei).
Tornando agli effetti della fattura elettronica, occorre dire chiaro che il tempo necessario ad emettere il famigerato documento è di gran lunga maggiore di quello che occorreva per scrivere due dati e mettere un timbro sul blocchetto comprato da Buffetti che poi periodicamente veniva dato al commercialista. E questo tempo di solito l’artigiano o il piccolo imprenditore non ce l’ha, perché campa di ciò che produce e se deve perdere tempo perde di conseguenza denaro. Se poi deve andare a cercare la ‘app’ o il QR Code e guardare cosa prescrive il tale sito internet finisce che gli sale il porco e, dopo avere inneggiato alla Trimurti in modalità hard, molla tutto al commercialista o a “quello dei computer”. Perché chi non ha il tempo per occuparsi di queste amenità deve necessariamente comprare il tempo di altri, e tutto ciò genera nuovi costi!
Da che nasce questa perversa spirale? Ovviamente dal fatto che la burocrazia trova sempre il modo di rigenerare se stessa e di riprodursi all’infinito incrementando i metri quadri di impronte di natiche sedute su comode sedie. Però nasce anche dall’incapacità dell’Agenzia delle Entrate di controllare in modo adeguato il fenomeno dell’evasione. E quindi che fa? Pone come condizione preliminare ad ogni suo atto la presunzione di colpevolezza di tutti i contribuenti, nessuno escluso:
E’ molto grave a tal proposito ciò che ha dichiarato lo scorso 3 ottobre in un’audizione pubblica alla VI Commissione (Finanze) della Camera il direttore dell’Agenzia, Antonino Maggiore: “Tanto chi evade di sicuro non fa la fattura elettronica!”
Ma allora cosa la si fa a fare? Continuano a controllare chi paga e chi non paga non sarà mai pescato? Forti coi deboli e deboli coi forti, come si usa nelle migliori burocrazie borbonico-ottomane!
Occorrerebbe invece invertire il concetto e dare fiducia a chi emette fattura, perché, come dice l’on. Galeazzo Bignami nella stessa audizione: “Senza il popolo che emette fatture nessuno di noi (parlamentari) ha lo stipendio”, concludendo che “…Le burocrazie hanno solo due modi per giustificare la propria esistenza: spendere i soldi dei contribuenti e generare dei problemi.”
Meditate gente, meditate.